Gratteri, la giustizia lenta e la giustizia giusta in Italia
Lo stallo sulla giustizia causato dal decadimento etico della politica e una Chiesa convertita al Vangelo potrebbe aiutare di più a superarlo. In Sardegna due vescovi intervistano il magistrato

Mentre da Roma papa Francesco chiede ai politici buone leggi per governare la tecnologia informatica in vista del bene comune, in una diocesi della Sardegna, due vescovi in un pubblico dibattito interpellano il magistrato Nicola Gratteri sulla condizione della giustizia in Italia e, in particolare, sul rapporto Chiesa-giustizia. I due fatti, sulle prime, possono sembrare tra loro incomparabili: il papa ha inserita la sua richiesta in un orizzonte internazionale scosso dalla pandemia e stretto dall’urgenza di ricostruire un tessuto sociale sconvolto dalla frammentazione selvaggia della tecnica informatica e dai social sempre più ingovernabili; il dibattito nella diocesi di Lanusei e Nuoro retta dal vescovo Antonello Mura, attuale presidente della Conferenza episcopale della Sardegna, si è interrogato tra giustizia lenta e giustizia giusta in Italia, mettendo insieme esperienze e interrogativi diffusi tra la gente. Al magistrato Gratteri sono sati proprio due vescovi – cosa mai vista prima – a rivolgere le domande. Infatti al vescovo Mura si è unito il vescovo Giuseppe Schillaci di Lamezia Terme.
Voci inserite dentro un convegno sulla pastorale del turismo che da alcuni anni a fine agosto si svolge a Tortoli con molta partecipazione popolare. Ad ascoltare l’insolito dibattito sulla giustizia erano presenti circa 500 persone. Tra le tante risposte del procuratore della Repubblica di Catanzaro, reduce da incontri in altre parte d’Italia e forse per questo apparso piuttosto stanco, degne di nota sono apparse quelle sollecitate dai due vescovi a proposito del garantismo e del giustizialismo che sembra dividere in due gruppi i magistrati italiani, quella circa la raccolta di firme da parte della destra per un referendum sulla giustizia. Inoltre le risposte sulla richiesta della gente di istituzioni giuste, sul rapporto tra Chiesa e giustizia in Italia, sulla fiducia dei giovani nella giustizia, sul fenomeno mafioso e ‘ndranghetista.
Sebbene inedito nella formulazione e nel contesto, il dibattito ha confermato la sensazione diffusa che la giustizia rappresenti nel nostro Paese un nodo importante da sciogliere per la salute della democrazia e della politica. L’ostacolo principale a raggiungere l’obiettivo è rappresentato dal rapporto tra politica e magistratura. Da una trentina d’anni a questa parte le cose non funzionano più bene come prima, causa la contrapposizione rigida tra i politici e magistrati. E non funzioneranno fin quando non si rispetterà la reciproca autonomia garantita dalla Costituzione trovando un punto di equilibrio. Da quando la magistratura ha moltiplicato le inchieste sulla corruzione, la politica cerca in tutti i modi di imbrigliare l’indipendenza dei magistrati a loro volta diventati permeabili alla corruzione. Nei territori di più antica presenza mafiosa e malavitosa le mafie interagiscono con il potere e il consenso popolare. Ormai – rileva Gratteri – l’interlocutore del popolo è il capomafia e non più il politico eletto sul territorio. La situazione in generale è talmente degenerata che anche i referendum sulla giustizia che si profilano all’orizzonte non cambieranno nulla. Se non si disarma il braccio di ferro tra politici e magistrati nel rispetto della Costituzione, stemperando l’odio diffuso nei confronti dei magistrati alimentato da una politica che vuole asservirli, lo stallo della giustizia continuerà con danno comune.
Non se la passa bene neppure il rapporto tra Chiesa e giustizia poiché, a differenza del passato, non esistono più santuari protetti dove la giustizia non indaghi. Ricordando il suo volume “Acqua santissima”, Gratteri ha sottolineato i problemi che il volume gli ha creato. Ha infatti portato a galla l’esistenza di numerose figure di preti collusi con la mafia e la superficiale bonarietà con cui alcuni vescovi hanno offerto comprensione a questi sacerdoti o a noti capimafia nell’illusione di poterli redimere. Rispetto al passato Gratteri ha tuttavia riconosciuto un reale miglioramento poiché, grazie all’insegnamento dei papi, si sono fatti passi da giganti. Papa Francesco ha sollecitato l’invio di preti non di potere, ma aperti a un servizio generoso degli ultimi e ha nominato vescovi che si sono rivelati interlocutori trasparenti che si guardano bene da legittimare i mafiosi. Inquietante, invece, la risposta di Gratteri sul rapporto tra giovani e giustizia. Si tratta di un interesse labile poiché, a suo parere, la maggioranza dei giovani attuali è disincantata e disinteressata. I giovani pensano per lo più ai soldi, ai telefonini, ai videogiochi, a disporre di scarpe e di capi di abbigliamento firmati. Sono furbi proprio a motivo della decadenza certificata nell’ambito educativo e scolastico.
L’iniziativa di coinvolgersi per motivi pastorali in un pubblico confronto ha convinto il vescovo Antonello (così viene chiamato dalla gente) a sperare e operare un’attenzione maggiore sulla giustizia che resta sempre una delle quattro virtù cardinali insegnate dal catechismo cattolico insieme alla prudenza, la fortezza, la temperanza. La Chiesa – ha osservato il vescovo di Lanusei e Nuoro – ha detto belle e importanti parole sulla giustizia e la legalità, ma è meno preparata a leggere il momento attuale del Paese piuttosto confuso anche sulla giustizia divenuta terreno di contesa politica. Il “sistema Palamara” è un campanello di allarme di una situazione al limite. Le comunità cristiane sono distratte, generiche sul tema della giustizia e la Chiesa italiana di suo è molto garantista. Per il benessere sociale comune un buon funzionamento della giustizia è essenziale. Più si rinviano le riforme necessarie più aumenta il malessere e decade il senso di responsabilità personale. Senza la convinzione che politici e magistrati, nei rispettivi ambiti, sono al servizio del bene comune e non di interessi individuali o di lobby, sarà impossibile una riforma efficace. E senza una riforma della Chiesa che renda credibile il suo magistero morale sarà difficile contribuire a riformare politica e magistratura con il consenso. Ogni riforma esige una conversione, senza la quale ci si dovrà contentare delle grida manzoniane.