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[Il commento] Giusto togliere la concessione ad Autostrade. Ma non sia una punizione per la strage

Giusto chiedersi perché il gruppo Atlantia debba fare profitto sulla base di un monopolio naturale. Giustissimo chiedersi perché dei privati debbano guadagnare mettendo a reddito una infrastruttura che non è stata pagata con i loro investimenti, ma con i soldi degli italiani nel corso di generazioni e - addirittura - a cavallo di due (ma contando l’Italia pre-repubblicana anche tre) secoli. Giusto proporre Un piano straordinario di investimenti per la messa in sicurezza del Paese

Luca Telesedi Luca Telese, editorialista   
[Il commento] Giusto togliere la concessione ad Autostrade. Ma non sia una punizione per la strage

È giusta la scelta del governo, ma è sbagliata la prima motivazione con cui viene giustificata. Sono convinto che sia improprio legare la revoca della concessione ad Autostrade al crollo del Ponte Morandi, con una sistema di nesso colposo causa-effetto, come se si trattasse di una ordalia, di una sorta di punizione contro i reprobi. In uno stato di diritto questo aspetto di garanzia è essenziale, la logica del capro espiatorio non è mai utile né accettabile. L’inchiesta sul crollo del viadotto Polcevera - infatti - non è ancora iniziata, non esiste una sola versione ufficiale (né di parte aziendale e nemmeno una degli inquirenti) che spieghi la dinamica dell’accaduto. Non esiste nemmeno una semplice perizia giudiziaria che ipotizzi - e non potrebbe essere altrimenti - la causa scatenante del crollo. Molto giusto, e legittimo, invece, è prendere questa tragedia - qualunque ne sia la causa ultima - come la goccia che fa traboccare il vaso, come l’ultimo anello di una catena di di errori e di follie avviati dopo la privatizzazione delle autostrade che deve produrre un ravvedimento immediato nelle strategie di lungo periodo del governo presente e di quelli che verranno. È giusto collegare il ritiro delle concessioni ad Autostrade ad un interesse nazionale superiore. Giusto spiegare che la catastrofe di Genova - qualunque ne sia la causa ultima - è figlia di un sistema che si è strutturato in modo sbagliato e a tratti persino perverso. 

Giusto riflettere sul fatto che la privatizzazione di Autostrade abbia prodotto profitti e rendite - senza investimenti e senza rischio - superiori a qualsiasi altra attività industriale mai realizzata in Italia. Giusto chiedersi perché il gruppo Atlantia debba fare profitto sulla base di un monopolio naturale. Giustissimo chiedersi perché dei privati debbano guadagnare mettendo a reddito una infrastruttura che non è stata pagata con i loro investimenti, ma con i soldi degli italiani nel corso di generazioni e - addirittura - a cavallo di due (ma contando l’Italia pre-repubblicana anche tre) secoli. Giusto proporre Un piano straordinario di investimenti per la messa in sicurezza del Paese. Giusto porsi il problema di un soggetto concessionario privato che ha agito in totale libertà (e con la benevolenza degli ultimi governi) avendo come controllore sostanzialmente unico se stesso (e con quelli effetti lo stiamo scoprendo non solo a Genova ma in tutta Italia).

Giusto chiedersi come sia possibile che Atlantia vantasse come una medaglia l’aver speso un milione di euro di manutenzioni l’anno (anche se in effetti persino la cifra reale era di molto inferiore) amministrando l’80% della rete italiana, mentre - solo per fare un esempio congruo - una società che amministra il 3% della stessa rete (il gruppo Totó) ha speso da solo mezzo milione di euro nell’ultimo anno. Giusto mettere a fuoco che -da Torino a L’Aquila - è l’Italia delle opere figlie del boom economico -imponenti ma datate - ad essere logorata e pericolante. L’Italia dei padri raccontata bene da Michele Serra deve essere ereditata dall’Italia dei figli che si sono dimenticati di pagare la tassa di successione.

Si torna al grande dibattito del 1962, quando fu il governo di centrosinistra a fondere e nazionalizzare - con una scelta epocale fatta dal governo democristiano, non da quello bilivariano di Nicola Maduro - tutte le compagnie energetiche che operavano in Italia, in nome e per conto dell’interesse nazionale. Quelle nazionalizzazioni furono un passaggio di crescita decisivo per il futuro del paese, per lo sviluppo, per i piani di industrializzazione pesante. Sembra che di questa esigenza il governo gialloblù sia faccia interprete senza nemmeno avere memoria dei fatti e dei numeri, dei costi e delle procedure: tuttavia meglio la premonizione avventata di qualcosa che è giusto e utile in un determinato momento storico, che la sapiente ignoranza di qualcosa che è indispensabile.

È curioso, se non incredibile, che in questo paese tutto al contrario di oggi, una battaglia che fu il cardine identitario della sinistra italiana (si pensi al ruolo di Eugenio Scalfari, al primo Partito Radicale, agli amici del mondo, a L’Espresso, ai convegni organizzati da Rinascita percomto del Partito Comunista, alla sinistra democristiana, ai convegni di San Pellegrino) oggi sia totalmente disconosciuta dagli eredi di quella storia: nell’Italia di oggi se Palmiro Togliatti, Pietro Nenni e Amintore Fanfani potessero tornare in vita e affacciarsi per un giorno al panorama della rassegna stampa quotidiane, troverebbero i loro spaesati eredi alleati dei liberisti (ad esempio quelli di Forza Italia) intenti a difendere le rendite e i monopoli privati e i partiti eredi del centrodestra impegnati a sostenere le nazionalizzazioni nel nome dell’interesse pubblico. Incredibile ma vero, è questa la terribile nemesi per una classe dirigente che, anche per via di questo spaesamento, viene fischiata, non certo per la furbizia delle claques (che pure ci sono state, ma che mai prevalgono sul mood, sul sentimento collettivo se non sono in qualche nodo in sintonia con gli umori di una platea).
Non si tratta oggi di tornare alle vecchie partecipazioni statali, ai carrozzoni del parastato, ma di recuperare un modello di governance efficiente in cui con normali standard di management si amministra una azienda in nome e per conto di una proprietà pubblica, che non gestisce ma garantisce (basti pensare all’Enel, o all’Eni), anche se sottoposto al vincolo ultimo di una Golden share governativa.

È giusto pensare che l’enorme gettito di profitti garantiti da Autostrade debba essere messo a garanzia di un enorme piano di investimenti che - come si è scoperto in queste ore drammatiche - è necessario per rimettere in piedi una rete di infrastrutture datate che cade a pezzi. I Monopoli naturali - con le loro rendite copiose e certe - devono diventare il grande salvadanaio per finanziare la ricostruzione dell’Italia che cade a pezzi. I Benetton, o chi per loro, potranno continuare a fare profitti con i loro maglioni e con i panini degli autogrill, un altro mercato protetto e redditizio, ma non strategico per la tutela dei cittadini. 

Luca Telesedi Luca Telese, editorialista   
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