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La morte di Matacena diventa un giallo: ordinata la riesumazione della salma. Indagata per omicidio l'ultima moglie

Tre mesi prima, a metà giugno 2022, sempre a Dubai, era morta la madre dell’ex esponente di Forza Italia, Raffaella De Carolis. Secondo la Procura le due morti collegate

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   

Di sicuro, per adesso, si sa solo che è morto. Il 16 settembre del 2022, per l’esattezza. Fino a oggi, ufficialmente per infarto, da latitante a Dubai. Ora, però, la Procura della Repubblica di Reggio Calabria sembra avere un’idea molto diversa, dato che ha disposto la riesumazione della salma dell’ex parlamentare di Forza Italia, Amedeo Matacena, e della madre, Raffaella De Carolis, deceduta circa tre mesi prima, il 18 giugno 2022, con l’iscrizione nel registro degli indagati dell’ultima moglie dell’ex parlamentare.

La morte di Amedeo Matacena

Già negli scorsi mesi, alcuni avevano sollevato dubbi sulla morte di Matacena, deceduto ufficialmente per infarto del miocardio, sebbene non avesse una storia clinica a rischio. Tre mesi prima, a metà giugno 2022, sempre a Dubai, era morta la madre dell’ex esponente di Forza Italia, Raffaella De Carolis.

E ora, secondo gli inquirenti, le due morti potrebbero essere collegate. Per questo, il procuratore aggiunto Stefano Musolino e la pm Sara Parezzan hanno disposto di riesumare le salme di Matacena e De Carolis (che si trovano rispettivamente a Formia e Reggio Calabria), al fine di effettuare l’autopsia, che sarà eseguita dal medico legale Aniello Maiese e dalla tossicologa Chiara David. La Procura di Reggio Calabria, che recentemente ha salutato il procuratore Giovanni Bombardieri, divenuto capo della Procura di Torino, indaga l’ex moglie di Matacena, che ancora oggi fa la spola tra l’Italia e Dubai.

Il latitante Matacena

Lì dove l’ex deputato forzista era latitante, dopo una vita borderline, in cui è rimasto invischiato in diverse vicende torbide, alcune delle quali culminate con vicende giudiziarie. Nel 2013, infatti, era stato condannato definitivamente dalla Cassazione a cinque anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, in uno dei rivoli del maxiprocesso “Olimpia”, uno dei primi, negli anni ’90, ad accendere i riflettori sulla ‘ndrangheta.

Astro nascente del neonato partito di Silvio Berlusconi, Matacena, secondo alcuni collaboratori di giustizia, sarebbe stato assai vicini alle consorterie mafiose di Reggio Calabria e della sua provincia, rivestendo anche un ruolo di collante tra l’ala militare della ‘ndrangheta e i livelli più alti, spesso con l’ombra della massoneria deviata che si ergeva su queste vicende.

La vicenda giudiziaria di Matacena, comunque, è tra le più complesse. Condannato nel marzo 2001 dal Tribunale di Reggio Calabria a 5 anni e 4 mesi di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa, nel marzo 2006 viene assolto dalla Corte di Assise di Reggio Calabria, in seguito all'annullamento della sentenza. Oltre quattro anni dopo, l'11 maggio del 2010, la Corte di Assise di Appello di Reggio Calabria conferma la sentenza di assoluzione già emessa in primo grado. Poi il ricorso, il nuovo processo di fronte a una diversa sezione della Corte d’Assise d’Appello e le condanne.

Per i giudici, infatti, verrà provato il rafforzamento delle capacità operative della cosca Rosmini, ponendola in una posizione di prestigio nei confronti delle altre cosche dal momento che era divenuta, per diretta investitura di Matacena, un punto di riferimento per le altre cosche e di coordinamento delle strategie attuate dalle stesse.

L’inchiesta “Breakfast” e il coinvolgimento dell’ex ministro Scajola

Proveniente da una famiglia di armatori che, per anni, hanno avuto il trasporto nello Stretto di Messina come core business, Matacena, nella sua vita, anche un processo per corruzione in atti giudiziari, in cui era stato coinvolto anche il presidente del Tar di Reggio Calabria, che avrebbe accettato la promessa di ricevere duecentomila euro allo scopo di favorire l'ex deputato e il suo gruppo nei ricorsi contro il provvedimento con il quale l'Ufficio Marittimo di Villa San Giovanni aveva rigettato alcune richieste della "Amadeus S.p.A.", la società, di proprietà di Matacena, colosso nel settore del trasporto marittimo. Una condanna da cui si salverà per via della prescrizione.

Trasferitosi dunque a Dubai per sfuggire alla giustizia italiana, negli ultimi anni, il nome di Matacena è ritornato in auge per via dell’inchiesta “Breakfast”, in cui sarà coinvolto anche l’ex ministro degli Interni, Claudio Scajola, accusato di procurata inosservanza della pena, proprio in favore di Matacena, uccel di bosco a Dubai.

Secondo l’accusa, negli anni, si sarebbe attivato un sistema transnazionale per impedire che Matacena venisse estradato dagli Emirati Arabi. Nel 2014, l’ex ministro Scajola (oggi sindaco di Imperia) sarà anche arrestato anche dalla Direzione Investigativa Antimafia, insieme a Chiara Rizzo, l’ex moglie di Matacena, condannata in primo grado a un anno di reclusione, con pena sospesa.

Un’inchiesta mastodontica, con coinvolgimenti internazionali, che, però, di fatto partorirà un topolino, dato che, un paio di mesi fa, all’inizio di luglio, la posizione dell’ex titolare del Viminale sarà dichiarata prescritta, per via dell’esclusione delle aggravanti mafiose.

Indagata l’ex moglie di Matacena

Ora, nella vita da romanzo di Matacena, si aggiunge un altro tassello, post mortem. L’inquietante ipotesi che il politico-latitante possa non essere morto per cause naturali. Per questo, infatti, la Procura di Reggio Calabria ha iscritto nel registro degli indagati l’ultima moglie di Matacena, Maria Pia Tropepi, originaria di Lamezia Terme, ma che vive ancora tra Dubai e l’Italia.

Essendo indagata, Tropepi potrà ora monitorare, tramite un legale e un consulente tecnico, le attività di riesumazione e la conseguente autopsia, che inizieranno il prossimo 1 ottobre. E potrebbe pesare, almeno come sospetto, il comportamento della donna che, nelle settimane successive alla morte del marito si era opposta al rimpatrio della salma di Matacena sostenendo che l'ex parlamentare aveva espresso il desiderio di essere cremato. Cosa che non è poi avvenuta per volontà dei figli che hanno seppellito il padre nel cimitero di Formia. Questi, individuati come parti offese, hanno ricevuto l’avviso della Procura di Reggio Calabria per partecipare agli atti irripetibili di riesumazione e autopsia che, forse, potrebbero dare risposte sulla morte del padre.

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   
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