Ci sono prigioni che non finiscono neanche quando hai scontato la tua pena: la condanna di Annamaria Franzoni
Appena uscita ha chiesto di essere dimenticata e ha detto che vuole andare via dall’Italia. Suo figlio Davide lavora già all’estero.
Annamaria Franzoni, appena tornata libera, ha chiesto l’unica cosa che nessuno potrà mai darle: quella di essere dimenticata. Perché la sua storia appartiene ormai alla Storia più grande del nostro Paese, ne ha cambiato i modi, i tempi e i cuori. Prima di lei, del piccolo Samuele ucciso nel grande letto in quella villetta delle bambole, una sola volta, tanti anni prima, gli italiani si erano ammucchiati davanti alla tv per un fatto di cronaca, nel 1981, quando il piccolo Alfredino Rampi trovò la morte nel pozzo senza fondo di Vermicino.
Ma se allora erano state la pietas e la speranza a catturare il pubblico di fronte a una tragedia che si consumava sotto gli occhi delle telecamere, come se tutti noi volendo assistere alla vita avessimo incontrato la morte, è solo l’orrore della morte a radunare la stessa folla 21 anni dopo. Quando il 30 gennaio del 2002, in quella casetta di pietra e di legno e di balconi riempiti dai gerani, sulla salita di Montroz, sopra la strada di Cogne, viene trovato Samuele, di 3 anni appena, con la testa maciullata, gli americani sono già entrati a Kabul per vendicare le 2974 vittime dell’11 settembre e il mondo sta affacciato sulla guerra con tutto il suo carico di odio e di paura.
La cronaca di quel delitto comincia alle 8,28 della mattina, nel momento in cui Annamaria Franzoni chiama il 118 con la voce concitata e le parole spezzate perché suo figlio sta vomitando sangue e non sa che cosa possa essergli successo. Nel tardo pomeriggio, Meo Ponte, inviato di Repubblica, dice alla moglie che aspetta l’arresto della madre e poi «stasera sono già a casa, perché è tutto finito». Non è finito ancora adesso, che sono passati 17 anni. Ma non è il giallo a catturare il pubblico: la stragrande maggioranza degli italiani è colpevolista, come i giornali e le televisioni.
Gli innocentisti sono tutti e soltanto racchiusi nel suo paese, a Monteacuto e Ripoli Santa Cristina, sugli appennini bolognesi, fra la gente che conosce Annamaria da sempre e pensa che sia impossibile. Quello che rende la vicenda così mediatica è invece il canto del cigno della tv, prima del grande avvento del web e dei social. La televisione cattura la storia e la rende propria come un grande reality con la scansione di una fiction, cominciando a sviluppare ed eccitare la partecipazione del pubblico con tutto il suo carico prorompente di odio e di condanna.
Nell’era del Grande Fratello, inaugurato due anni prima su Canale 5, la Franzoni sembra prestarsi incredibilmente a questo Gioco Assurdo come un qualsiasi concorrente da nominare per uscire dalla casa. La prima intervista la rilascia a Studio Aperto, spezzando continuamente le sue parole con lacrime e singhiozzi, per poi chiedere al giornalista, alla fine dell’intervista: «Ho pianto troppo?». Ma con il Grande Fratello le regole sono diverse e l’occhio della telecamera ti insegue sempre. Quella domanda la distrugge. Ma la sua processione continua, va a piangere a Porta a Porta e confessa al Maurizio Costanzo Show di aspettare un altro bambino.
E mentre Vespa inaugura i plastici e le aule di tribunale dentro uno studio televisivo, lei cerca invano di scappare, richiudendosi nella sua casa di Ripoli Santa Cristina. Ormai è troppo tardi. Quello che conta non è più la cronaca dei fatti, ma la sua personalità. Non importa che la vicenda abbia punti oscuri che non spiegano la certezza della colpa, dall’orario effettivo della morte di Samuele all’arma mai ritrovata, dalle lesioni della vittima alle posizioni dell’assassino. Il tempo è il dubbio che unisce le due tesi, le due facce dello stesso momento: lei esce di casa dalle 8,16 alle 8,24 per accompagnare l’altro figlio Davide allo scuolabus.
Se il delitto è avvenuto attorno alle 8 e 10, sostiene la sua difesa, come avrebbe potuto in così poco tempo uccidere, lavarsi, cambiare l’abito, disfarsi dell’arma, preparare il bimbo e andare a prendere il pullman come se niente fosse? L’accusa sostiene il contrario: che non c’è traccia di nessun’altro in quella casa e che 8 minuti (il tempo in cui lei non c’era) comunque non basterebbero per entrare, uccidere e scappare. Ma non conta niente, perché quello che interessa adesso alla gente è solo lei. La sua personalità è oggetto di rilievi psicologici e psichiatrici oltre che di dibattiti assurdi in tv. Le ultime perizie (che lei rifiuta invano) le attribuiscono una personalità affetta da «nevrosi isterica», cioé portata alla teatralità e alla simulazione, perché incapace di elaborare in modo maturo le problematiche della quotidianità.
Nessun’altro protagonista della cronaca prima di lei ha mai avuto tanta attenzione dalla tv. Anche la scelta del suo legale è condizionata dalla televisione e così decide di affidarsi a Carlo Taormina che a differenza di Federico Grosso è molto presente e battagliero nel piccolo schermo.
Finisce persino dentro a un mucchio di canzoni. Da «Cattiva» di Emanuele Bersani («cattiva e spietata è la mia curiosità, impregnata di pioggia televisiva») a «La paranza» di Daniele Silvestri («la paranza è una danza che si balla nella latitanza... Così uno di Cogne andrà a Taormina in prima istanza»). Miss Keta canta «In gabbia non ci vado», «in Smart con la Franzoni nella cerchia dei bastioni». E Marco Richetto scrive «Finche nulla cambierà»: «In tv zoomano sulla bara, le tragedie alzano l’auditel. Avrei voluto fermare la Franzoni quando il diavolo le faceva compiere quelle azioni».
Al processo d’appello a Torino distribuiscono i biglietti per entrare in aula e ci sono persino i bagarini nelle lunghe code che si formano davanti ai cancelli. In questa soap opera senza fine lei non smette mai di piangere, come fanno i concorrenti dei reality per conquistare il voto del pubblico, e lo fa fino all’ultimo chiedendo alla giuria «il coraggio» di crederle. Il 27 aprile 2007 è condannata a 16 anni e un anno dopo, il 21 maggio del 2008, la Cassazione conferma la sentenza. C’è una gran folla quando i carabinieri vengono a prenderla.
Se è vero che da quel momento ha cercato il silenzio, quello che non ha mai ottenuto ancora adesso è l’oblio. Non te ne puoi andare così dalla tv, dal suo Grande Show senza rete, se non è lei a deciderlo. Annamaria Franzoni ha detto che vuole andare via dall’Italia. E suo figlio Davide lavora già all’estero. Tanto tempo è passato e tante cose sono cambiate. Ma ci sono prigioni che non aprono mai le sbarre, che sono peggio di un tribunale e di qualsiasi sentenza, che non finiscono neanche quando hai scontato la tua pena. Sono le nostre prigioni.