Filippo Turetta, l’aggravante ‘relazione affettiva’ e la premeditazione. Cosa rischia davvero l’assassino di Giulia Cecchettin?
Il ventiduenne di Torreglia trascorrerebbe in carcere poco più di 22 anni se non si dimostrerà che ha “organizzato il crimine”, ma tra sconti e buona condotta potrebbe uscire anche prima
Il caso di femminicidio che ha coinvolto Giulia Cecchettin, scomparsa sabato 11 novembre dopo una giornata al centro commerciale Nave de Vero di Marghera e ritrovata morta una settimana dopo in un bosco vicino al lago di Barcis, nel Pordenonese, va avanti. Le indagini sono ancora in corso e la chiusura dell’inchiesta, con il rinvio a giudizio, almeno per il momento risulta lontana. Sebbene il quadro generale delle responsabilità sia chiaro agli occhi degli inquirenti, vanno messi in ordine alcuni pezzi del puzzle, che ancora mancano.
Per Filippo Turetta, l’assassino di Giulia rimasto in fuga per giorni tra montagne venete, tirolesi, Austria e Germania – dove è stato fermato sabato scorso alle 22.00 non distante da Lipsia – non c’è infatti nulla di certo, né in un verso che nell’altro. Filippo è infatti indagato per sequestro di persona (articolo 605 del Codice penale), omicidio volontario (articolo 575 del Codice penale che prevede una pena non inferiore ai ventuno anni di reclusione) con l’aggravante, si legge nell’ordinanza, della “relazione affettiva tra i due, ora cessata” (articolo 577 comma 2, pena tra i ventiquattro e i trenta anni). E fin qui ci siamo, perché per Turetta il capo d’imputazione era già stato cambiato da tentato omicidio ad omicidio volontario e, appunto, sequestro di persona.
Ma c’è un ‘ma’: senza l’aggravante della premeditazione (non semplice da provare, anche per norme che si prestano a interpretazioni diverse), Turetta non rischierebbe il grado più alto della condanna previsto dalla giustizia italiana, ossia l’ergastolo, ma potrebbe cavarsela con circa 22 anni di carcere, a cui però vanno sottratti eventuali tempi relativi a buona condotta e altri sconti in divenire.
Come dice il legale Nicola Granato, “sulla premeditazione cambia tutto perché – se accertata – farebbe scattare quasi certamente l’ergastolo e forse non gli darebbe neanche la possibilità di accedere al rito abbreviato, con cui avrebbe invece un processo più breve e una pena ridotta, senza però la possibilità di presentare prove a sua discolpa”.
Il tema del rito abbreviato è ciò che potrebbe indignare – e lo sta già facendo – l’opinione pubblica italiana ma, soprattutto, la famiglia di Giulia che chiaramente, da parte in causa, si aspetta il massimo della pena detentiva per Filippo, l’ex fidanzato della figlia.
AGGRAVANTE E RITO ABBREVIATO. COSA RISCHIA DAVVERO FILIPPO TURETTA?
Al momento, al ventiduenne ora in carcere in Germania, non è stato contestato il fatto di aver organizzato il crimine di cui è ritenuto colpevole. “Prematuro parlare di premeditazione”, ha osservato a sua volta la procura di Venezia.
Turetta, se ottenesse il rito abbreviato (procedimento penale speciale adottato per accelerare i tempi della giustizia), potrebbe accedere al classico sconto di pena fino a un terzo e ad una riduzione della durata del processo. In cambio, però, come sottolineato da Granato, dell’”impossibilità di presentare prove a sua discolpa”.
AUTO E CELLULARE
La procura ha chiesto il trasferimento in Italia dell’auto del giovane. Spostamento che, se non dovesse essere possibile, porterebbe i periti a visionarla in loco, recandosi sul posto. Saranno i sacchetti neri ritrovati al Barcis, lo scotch utilizzato, i coltelli e le tracce di sangue rivenute per terra a Fossò – nel veicolo e pure sugli indumenti di Turetta – a fornire maggiori dettagli. Altro nodo da sciogliere, i dati del cellulare ritrovato in auto (pare lui possa aver acquistato un’altra Sim), i contenuti dei computer e, soprattutto, l’autopsia. Non da ultimo, le dichiarazioni che Filippo farà agli inquirenti al suo rientro. Tutti, infatti, si aspettano che quantomeno fornisca la sua versione dei fatti e non decida di percorrere la strada del più totale silenzio.