Feto sepolto con il nome della madre, due interrogazioni e la denuncia: "Inaccettabile pratica criminalizzante"
L'Uaar: "Il diritto all'anonimato a Roma è di fatto a pagamento". Investite della questione Parlamento e Governatore Zingaretti: "Il governo intervenga"

E' bastato un post pubblicato sul suo profilo Facebook e la questione ancora irrisolta dei "cimiteri dei feti" è tornata in auge con tutto il suo dramma irrisolto. Dopo che M. ha denunciato la sepoltura del feto che aveva abortito nel cosiddetto "giardino degli angeli" del Flaminio di Roma, con una croce e una targhetta con su scritto il nome e cognome materno e la data riportata sul certificato medico, il dibattito partito dalle pagine social si è spostato nelle aule istituzionali. Due interrogazioni sono state presentate in Parlamento e alla Regione Lazio.
La richiesta contenuta nei due atti è che il governo intervenga per dare impulso a una norma che faccia chiarezza su una materia ancora fumosa - contenuta, nel silenzio della Regione, nel D.P.R. 285/90, "Regolamento nazionale di polizia mortuaria" - che lascia spazio, con ogni evidenza, alla violazione della riservatezza della donna che esegue una interruzione di gravidanza (che sia terapeutica, spontanea o volontaria) e la cui volontà espressa non sembra essere necessaria per una sepoltura di tipo cristiano. "Così abbiamo sempre fatto", ha risposto ieri a Tiscali News un responsabile dell'ufficio mortuario dei cimiteri capitolini gestiti da Ama, denotando la scelta della "tradizione".
A firmare le due istanze è un nutrito numero di parlamentari e consiglieri regionali del Lazio, ciascuno nelle assemblee di propria competenza. L'iniziativa è partita dall'esponente di Leu, Rosella Muroni, e la capogruppo della Lista Zingaretti, Marta Bonafoni. Tra i firmatari si leggono anche il nome del capogruppo radical e del Lazio Alessandro Capriccioli e l'ex presidente della Camera, Laura Boldrini.
"La croce è il segno tradizionalmente in uso"
La legge del 1999 prevede che dalla 20ma settimana di gestazione la sepoltura possa avvenire su richiesta dei genitori o comunque su disposizione della Asl. E così è avvenuto. M. chiarisce però di non aver dato il suo asseenso alla sepoltura e alla croce cristiana. tanto meno alla targhetta con il suo nome, esibito "in pubblico". Ieri però Ama ha respinto ogni responsabilità: il cimitero di Prima Porta si è limitato "a eseguire la sepoltura a fronte di un consenso già dato per espresso" dalla Asl, la croce è il segno "tradizionalmente in uso" e l'epigrafe "deve riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura".
Si discolpa anche il San Camillo di Roma, ospedale dove era stato praticoato l'aborto terapeutico. Secondo la procedura i feti vengono identificati con il nome della madre "solo per la burocrazia legata al trasporto e le carte vengono conservate da Ama al momento della presa in carico dei feti. Palla rimbalzata su Ama dunque: dopo quel momento, "gestione e seppellimento sono di completa ed esclusiva competenza di Ama". Come dire che la violazione della privacy è eventualmente avvenuta "all'interno del cimitero Flaminio".
L'Uaar: "Di default pratica criminalizzante"
C'è materiale per sufficiente per parlare di garbuglio amministrativo. Ma per Adele Orioli dell'Uaar, l'Unione atei agnostici e razionalisti, è evidente che "di default c'è questa pratica criminalizzante, che non è solo seppellire con la croce ma addirittura di indicare il nome della madre". E punta il dito su quella che definisce una "ingerenza confessionalista": le sepolture del Comune di Roma, spiega, "sono affidate in convenzione alla Caritas e a Sant'Egidio" ma anche "all'associazione 'Difendere la vita con Maria'" la cui convenzione sarebbe stata rinnovata solo lo scorso anno.
Inoltre l'alternativa al procedimento "d'ufficio" della Asl (cioè quello che è scattato nel caso di specie) "è occuparsi personalmente dello smaltimento, cioè con un esborso economico. Questo crea un diritto a pagamento e il diritto all'anonimato non può essere a pagamento. Di fatto però - conclude Orioli - oggi a Roma lo è". A chiudere il cerchio sono le portavoci dei Verdi, Silvana Meli e Laura Russo: "Il Garante della privacy agisca per assicurare il rispetto della dignità delle donne e la sindaca di Roma Raggi avvii le dovute verifiche".