Il grande affare del mercato del selfie che sfrutta l'ingenuità degli utenti. Vi spiego perché
Un far west pubblicitario su cui scommettono centinaia di brand e testimonial
"La tecnica dell'autoritratto esiste da quando è nata la fotografia, ma il selfie è una cosa parzialmente nuova che rientra nella cultura dei social network. Oggi va di moda anche perché è facile da realizzare grazie agli strumenti a disposizione: gli smartphone e la connessione immediata.". Così il filosofo Alessandro Alfieri descrive il fenomeno dei selfie. Una vera tendenza - lo sarà anche di più nel 2017 - che riguarda tutti. Senza esclusione e con ogni inclusione. Per gioco e per passare il tempo, per narcisismo ma anche per business. Si, anche (soprattutto se si pensa ai cosiddetti Vip) per questioni di marketing visto che sono sempre di più le aziende e i brand che usano i social per fare pubblicità attraverso i selfie. Un mercato esploso nel 2016 sfruttando la moda dell'autoscatto grazie alle migliaia di fan e follower che ogni giorno segnano attori, soubrette, cantanti e calciatori. Mentre l'antitrust inglese ha deciso di porre la giusta attenzione alla questione ammonendo 40 vip e 15 aziende contro la cosiddetta unlabelled advertising (pubblicità senza etichetta) e chiedendo di inserire l'hashtag #ad (advertising) nei post pubblicati in rete, in Italia il problema resta ancora da affrontare.
Il mercato del selfie
Quello del selfie pubblicitari è un mercato che fa gola. Un far west pubblicitario su cui scommettono centinaia di brand e testimonial. E dentro ci finiscono anche i conduttori di popolari trasmissioni sportive, ben sapendo che il regolamento del loro Ordine vieta ai giornalisti di fare pubblicità. Mentre il consumatore social andrebbe informato, quando un contenuto postato sul web contiene espliciti richiami pubblicitari. Poi ci sarebbe da chiarire anche la questione degli introiti incassati dai testimonial che, evidentemente, sfuggono al fisco.
Il selfie advertising
Per il momento, però, il selfie advertising è una pratica che rende, sia alle aziende che ai testimonial, ma alle spalle dei consumatori. Ma come si fa a capire se un selfie contiene pubblicità o meno? Bisogna fare attenzione ai dettagli. Se la foto è scattata in una doccia, ad esempio, è quanto mai sospetto vedere l'autore con un cappello in testa in cui è ben visibile il logo dell'azienda. Attenzione agli accessori. Spesso nelle foto compaiono: profumi, borse, gioielli, abbigliamento griffato in bella mostra, e anche noti marchi alimentari. Guardate anche i tag. A volte le star dei social condividono i loro contenuti direttamente con gli sponsor.
Dal consumatore passivo, al promoter
In un primo momento le aziende hanno sfruttato il fenomeno dei selfie per ottenere dati preziosi per le loro analisi di mercato. Una pratica iniziata nel 2014, con l'esplosione di social come Facebook e Instagram e che ora ha raggiunto livelli di ricerca sempre più accurati. Basti pensare all'interesse di big come Facebook, Google, Yahoo e Twitter per i software di face recognition, in grado di riconoscere i nostri volti nella foto e suggerirci i vari tag. I selfie hanno aiutato i grandi marchi a stabilire cosa ci piace, a definire le nostre abitudini, chi frequentiamo, in quali luoghi e a quale ora. Oggi che la mania dei selfie non è più una moda, ma un vero fenomeno globale, i brand hanno capito che lo strumento degli autoscatti postati in rete può davvero essere una forma pubblicitaria nuova e redditizia. Grazie alle ricerche sui selfie, Adidas ha scoperto che il 13 per cento dei suoi consumatori è anche un fan del cantante Justin Bieber, mentre Heineken ha appreso come il fan del gruppo heavy metal Metallica siano appassionati della birra di Amsterdam. Ecco individuati anche i testimonial perfetti per le loro campagne pubblicitarie.