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[L’analisi] La famiglia Benetton “padrona” del ponte Morandi con il manager che viene dalla pasta. L’autostrada è un grande affare

Se le maglie non vanno tanto bene, il business delle autostrade ha dimostrato invece di essere un investimento a prova di rischio, molto remunerativo, come attestato dai numeri della società, che detiene appunto nel suo pacchetto Autostrade per l’Italia, cioè una rete di tremila chilometri (solo nel nostro Paese), oltre gli Aeroporti Roma, Nizza e altri piccoli scali. Atlantia sforna ogni anno numeri in costante crescita. Nel 2017 ha visto i ricavi salire fino alla soglia dei sei miliardi, contro i 5,4 di un anni prima. La crisi qui non c’è

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«Il Ponte Morandi è un fallimento dell’ingegneria. E’ sbagliato. Prima o poi dovrà essere sostituito, perché è in agonia». Non l’ha detto adesso, ma lo diceva due anni fa a Primocanale, Antonio Brenchich, docente di Costruzioni in cemento armato all’Università di Genova. Giovanni Castellucci, amministratore delegato di Autostrade per l’Italia, invece ha detto: «Non mi risulta che il ponte fosse pericoloso e che andasse chiuso. Abbiamo fatto e continuiamo a fare investimenti per la manutenzione». E l’ha detto adesso, non due anni fa. Stefano Marigliani, direttore del tratto ligure, ha aggiunto pure: «Il crollo del Ponte Morandi è qualcosa di inaspettato e imprevisto rispetto alla manutenzione fatta. Quei lavori erano sottoposti a costante osservazione. Su quel tratto non c’era stato segnalato alcun tipo di rischio». Eppure è difficile pensare che questa strage di Genova, queste macerie del ponte crollato finite sulle prime pagine di tutti i giornali del mondo come un marchio d’infamia, sia solo una tragica fatalità.

Toccherà alla magistratura stabilire cause e responsabilità

Ma c’è qualcosa che non torna in questa disgrazia, come in quelle che l’hanno preceduta, perché appena un anno fa era crollato un altro ponte sull’autostrada, ad Ancona, al chilometro 235,800, tra Camerano e Castelfidardo, con due vittime, quella volta; e in chissà quante altre potrebbero ancora capitare. Nella sola Liguria, ha scritto il Secolo XIX, cinquemila ponti e viadotti sono sotto esame, perché, salvo poche eccezioni le manutenzioni sono carenti, visto che i fondi si preferisce destinarli a opere nuove. Il fatto è che tutti queste strutture sono state costruite tra gli Anni 50 e 70 con il calcestruzzo, che non è un materiale eterno, ma che invecchia pericolosamente, perché ci sono le infiltrazioni d’acqua che corrodono le ossature ferrose.

C'erano dei fondi Ue per la manutenzioni del ponte

Come se non bastasse, i fondi ci sono, visto che appena il 27 aprile la Ue ha sbloccato 8,5 miliardi di euro per rifare il nuovo passante genovese, che riguarda proprio il tratto in cui è compreso il ponte Morandi. Le manutenzioni sono state fatte? Non lo sappiamo, e la verità è che non possiamo saperlo perché non si riesce a conoscere nel dettaglio questi capitolati d’intesa. Qualsiasi nostra affermazione in merito sarebbe solo pretestuosa. Sappiamo però che ogni anno aumentano le tariffe delle autostrade, e il sospetto che ci sia una sproporzione fra gli incassi dei pedaggi e le spese di manutenzione può anche insinuarsi in qualche modo. Tanto più ora che il ministro Danilo Toninelli ha fatto più di una dichiarazione in questo senso. Neanche un’ora dopo la tragedia ha detto a Sky che «la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di incontrare i vertici di Autostrade. Ci hanno detto che i lavori sono stati fatti. Ma quello che è importante dire è che sono quelli che gestiscono le autostrade ad avere la responsabilità. E se ci fossero delle carenze per una manutenzione ordinaria non sufficiente per quello che è successo, il mio ministero si costituirà parte civile».

Manutenzione non fatta

E poco dopo i giornali hanno riportato un’altra sua dichiarazione, un po’ più pesante: «Da cittadino italiano mi dispiace constatare che su queste infrastrutture non sia stata fatta manutenzione e questi fatti ne sono testimonianza. In questi 60 giorni di governo avevamo dato immediato mandato di lavorare su manutenzione e messa in sicurezza dei viadotti e il loro monitoraggio attraverso dei sensori». Solo il presidente della Regione, Giovanni Toti, ha preso le difese di Autostrade: «C’è anche da dire, come testimone oculare, essendoci passato io quasi tutti i giorni, che quel ponte era mantenuto costantemente. Poi, non posso entrare nel merito delle dichiarazioni del ministero, perchè loro e le Autostrade hanno le carte giuste per giudicare meglio».

Certo è che ieri, anche dal punto di vista finanziario, per Autostrade per l’Italia non è stata una bella giornata: in Borsa il titolo è crollato di dieci punti, per riprendere qualcosa (fino a meno 5,39) solo in serata. La bufera, piccola o grande che sia, potrebbe essere solo all’inizio. Per Atlantia, la holding posseduta al 30 per cento da Edizioni, la cassaforte dei Benetton, è un brutto momento dopo anni di successi. Se le maglie non vanno tanto bene, il business delle autostrade ha dimostrato invece di essere un investimento a prova di rischio, molto remunerativo, come attestato dai numeri della società, che detiene appunto nel suo pacchetto Autostrade per l’Italia, cioé una rete di tremila chilometri (solo nel nostro Paese), oltre gli Aeroporti Roma, Nizza e altri piccoli scali. Atlantia sforna ogni anno numeri in costante crescita. Nel 2017 ha visto i ricavi salire fino alla soglia dei sei miliardi, contro i 5,4 di un anni prima. La crisi qui non c’è. Nel 2010 il fatturato valeva poco meno di 4,5 miliardi. Eppure il traffico sulla rete autostradale era anche diminuito in questo periodo. Nessun problema. A far salire il fatturato in continuazione ci hanno pensato le tariffe, che ovviamente non sono mai scese. Anzi. «Anche nel 2017», ha scritto il Fatto Quotidiano, con un pezzo molto documentato, «per Autostrade per l’Italia le tariffe hanno corso più dell’incremento dei volumi di traffico. La sola Autostrade, l’asset più redditizio per l’intera Atlantia, ha fatto ricavi per 3,94 miliardi sui 6 del gruppo... E su 3,94 miliardi di fatturato, il margine operativo lordo è di ben 2,45 miliardi». Certo, poi ci sono le spese di investimenti, per i quali il governo concede aunmenti tariffari. Ma nonostante questo, l’utile operativo è valso nel 2017 ben 1,9 miliardi e il bilancio si è chiuso «con un utile netto di 972 milioni, più 19 per cento rispetto al 2016».

E’ in questo contesto di buoni numeri che Atlantia si è buttata sulla Spagna, cercando di fondersi con Albertis per creare il più grande polo autostradale del mondo, con più di 14mila chilometri di via a pedaggio. Nel 2006, Vito Gamberale è uscito dal gruppo proprio per questo progetto, perché era contrario alla fusione.

Il suo posto allora lo prese il direttore generale di Autostrade S.P.A., Giovani Castellucci, che era arrivato cinque anni prima dalla Barilla. Fino adesso aveva navigato con vento a favore. Oggi però tutto è cambiato. Dicono che ricostruiranno presto il ponte. Genova ne ha bisogno. Ma sarà una cosa giusta rimettere in piedi questo «fallimento dell’ingegneria», come lo definiva ilo professor Brenchic due anni fa? Anche perché i lavori di manutenzione, citati da Castellucci, non sono serviti a niente. Il 3 maggio di quest’anno autostrade per l’Italia aveva annunciato la ristrutturazione del viadotto del Polcevera a Genova, cioé il ponte crollato oggi. Sul sito della società si legge che la spesa per le opere stradali appaltate a procedura ristretta ammonta a 20 milioni e 159mila euro. «Le domande di partecipazione dovranno pervenire entro l’11 giugno 2018». Venti milioni buttati in una strage.

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno, editorialista   
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