Le faide fra magistrati non servono in Calabria: ce ne sono già troppe. Così si torna indietro di 10 anni
Quindici giudici sarebbero indagati. Il retroscena investigativo pubblicato sul “Fatto Quotidiano” rischia di sconquassare il panorama giudiziario calabrese
Nel Tribunale di Cosenza non si parlava d’altro. E così pure in quello di Catanzaro. Il retroscena investigativo pubblicato sul “Fatto Quotidiano” rischia di sconquassare il panorama giudiziario calabrese: ben 15 giudici, infatti, sarebbero indagati dai colleghi di Salerno, che sono competenti sui fatti riguardanti le toghe del distretto di Corte d’Appello di Catanzaro. E in Calabria, ad esclusione della provincia di Reggio Calabria, tutti i capoluoghi di provincia ricadono proprio in quel distretto.
E infatti i nomi dei magistrati coinvolti sarebbero di primissimo piano: ci sarebbero il procuratore di Cosenza, Mario Spagnuolo, l'aggiunto di Catanzaro, Vincenzo Luberto, il procuratore di Castrovillari, Eugenio Facciolla. E gravi le accuse, tra cui favoreggiamento mafioso, corruzione in atti giudiziari e corruzione: Spagnuolo, nel 2016, avrebbe favorito un indagato, l'ex presidente dell'Asl di Cosenza, Giuseppe Tursi Prato, per una vicenda che coinvolge suo fratello, lo psichiatra Ippolito Spagnuolo; l'aggiunto di Catanzaro, Luberto, sarebbe indagato per rivelazione di segreto d'ufficio, per avere riferito notizie riguardanti un'operazione all'ex vicepresidente della Regione Calabria, Nicola Adamo, “uomo ombra” dell’attuale governatore Mario Oliverio, e di abuso d'ufficio, per una questione connessa a un arresto per mafia nel marzo di tre anni fa. Per Facciolla, riporta sempre "Il Fatto quotidiano", il fascicolo sarebbe stato aperto per un'ipotesi di abuso d'ufficio dopo essere stato chiamato in causa da un maresciallo della Forestale secondo il quale il magistrato avrebbe manipolato atti di indagine.
Un terremoto nato dall’input dato dal procuratore capo di Catanzaro, Nicola Gratteri, che circa un anno fa avrebbe spedito il delicatissimo dossier a Salerno. Poi le indagini e, adesso, la deflagrazione del caso. Cui andrebbe aggiunta anche la notizia – sempre riportata oggi dal “Fatto” – su uno scontro tra lo stesso procuratore Gratteri e il procuratore generale di Catanzaro, Otello Lupacchini, arrivata fino alla Commissione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura. Lupacchini avrebbe contestato a Gratteri il mancato rispetto di regole di coordinamento con gli altri uffici giudiziari: e proprio nelle audizioni davanti al Csm sarebbero volate bordate tra i due noti magistrati. E poco importa che tale pratica, secondo quanto si apprende, sarebbe prossima all’archiviazione.
Sia lo scontro Gratteri-Lupacchini, sia la vicenda dei magistrati indagati (che non è dato sapere a che punto sia sotto il profilo investigativo), riportano la Calabria indietro di una decina d’anni, ai tempi dei veleni e della guerra tra toghe, che ebbe per protagonista l’allora sostituto procuratore di Catanzaro, Luigi De Magistris, titolare delle inchieste “Poseidone” e “Why not” che avevano messo nel mirino il reticolo affaristico e relazionale tra magistratura, politica e imprenditoria, anche con il coinvolgimento dell’allora ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Quel caso, portò a due conseguenze, su tutte: il naufragio delle inchieste con la fine dell’esperienza in magistratura di De Magistris, e lo screditamento delle toghe calabresi.
Da alcuni mesi, il Distretto di Corte d’Appello di Catanzaro è interessato da importanti inchieste che riguardano tutti i territori: dal Vibonese, con la potentissima cosca Mancuso di Limbadi, dove ancora le persone vengono uccise con le autobomba, al Crotonese, con l’inchiesta sul CARA di Isola Capo Rizzuto, che ha messo nel mirino non solo la politica, ma anche la Prefettura, fino alla recente inchiesta “Terre desolate”, in cui il governatore Oliverio è coinvolto per vari reati che, al momento, gli costano il confino nella “sua” San Giovanni in Fiore.
E più volte, il procuratore Gratteri ha annunciato l’arrivo di importanti sviluppi investigativi, sia sulla burocrazia, molto spesso vero ventre molle della corruttela, ma anche – circostanza ancor più inquietante – sui legami massonici, che sarebbero il brodo di coltura in cui ritrovare i boss della ‘ndrangheta, ma anche i “colletti bianchi”. L’indagine della Procura di Salerno, dunque, arriva a questo punto. E il pensiero non può che andare agli anni dello scontro tra toghe a Catanzaro. Un clima di veleni che non deve assolutamente ripetersi.
La Calabria, infatti, è una delle regioni più povere, fiaccata dallo strapotere della ‘ndrangheta e in cui il grado di fiducia nelle Istituzioni tocca livelli bassissimi. Questo a causa di una politica inadeguata e spesso corrotta: la speranza di molti calabresi onesti, quindi, è sempre stata riposta (talvolta con un delegare che assomiglia di più a un disimpegno) all’opera della magistratura e alla credibilità di alcuni magistrati: l’inchiesta della Procura di Salerno, quindi, ha il compito di andare fino a fondo ad eventuali responsabilità da parte di alti magistrati, ma anche di non far perdere la fiducia nell’unica Istituzione che nella regione riesce a volte a dare risposte ai cittadini.
Di faide, la Calabria ne ha già troppe: quella tra magistrati è l’ultima cosa che serve.