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Dopo due anni chiamano per l’intervento, ma l’operaio è morto da un anno

La vedova: “È stato terribile, non sapevano nemmeno che fosse morto”. L'uomo, ex operaio Ilva, era in lista da due anni

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Foto Ansa
Foto Ansa

Un uomo di 45 anni, ex operaio dell’Ilva di Taranto, è morto nel 2024 per un tumore al duodeno. Eppure, un anno dopo il decesso, la moglie ha ricevuto una telefonata dall’ospedale per avvisarla che il marito era stato chiamato per un intervento atteso da due anni. La donna, incredula, ha inizialmente pensato a uno scherzo. “Ma quale intervento?”, ha domandato. La risposta dall’altro capo della cornetta è stata surreale: “Quello per il signor Antonio. Avete risolto?”. “Sì, certo. Mio marito è morto nel 2024”, ha replicato Cristina, raccontando tutto a Taranto Today.

La Asl: “Non siamo stati noi”

Secondo la Asl di Taranto, la responsabilità non è loro. Dopo essere stata contattata dalla vedova, l’azienda sanitaria ha precisato in una nota che “la convocazione a un anno di distanza non è stata effettuata da Asl Taranto, ma da un’altra azienda sanitaria dove Antonio era stato preso in carico prima della Ematologia del Moscati di Taranto”. La Asl si è dunque chiamata fuori, scaricando ogni responsabilità sulla gestione precedente del caso.

Ma la vicenda, drammatica, affonda le radici ben prima di quella chiamata. Secondo quanto racconta Cristina, il marito per mesi ha sofferto di forti dolori addominali, eppure i primi trattamenti ricevuti dal medico di base si sono limitati alla prescrizione di fermenti lattici.

Una diagnosi arrivata troppo tardi

L’odissea inizia nel marzo 2023, con una prima ecografia addominale, seguita da una TAC. Antonio si rivolge poi a un ematologo che ipotizza un linfoma e consiglia una biopsia urgente. Ma la mancanza di risposte rapide da parte del sistema sanitario pubblico costringe la coppia a spendere circa 2.000 euro in visite private e accertamenti specialistici.

Alla fine riescono a trovare un medico a Taranto disposto a ricoverare Antonio senza chiedere soldi. L’uomo viene portato all’ospedale Santissima Annunziata, dove subisce un intervento chirurgico per effettuare la biopsia necessaria.

Linfoma scoperto troppo tardi: la terapia non basta

Dopo circa due mesi, arriva la diagnosi definitiva: linfoma non Hodgkin a cellule T. A quel punto, Antonio comincia la chemioterapia, ma il tempo perso è troppo. Le cure non bastano: muore un anno dopo, senza mai ricevere quell’intervento per cui sarebbe stato chiamato solo un anno dopo il suo funerale.

Una tragedia nella tragedia, segnata da ritardi, costi, burocrazia e disorganizzazione. A questo si aggiunge l’amarezza della vedova, che oggi si ritrova con l’ennesima ferita aperta: una chiamata che riporta tutto a galla.

Il sistema sanitario sotto accusa

La storia di Antonio non è purtroppo un caso isolato. Il caso, riportato da Taranto Today, torna a far luce su un sistema sanitario spesso inefficiente e disumanizzante, dove i pazienti rischiano di morire in attesa, e dove la comunicazione tra strutture è talvolta così carente da non sapere nemmeno della morte di un paziente.

Come ha spiegato la stessa Cristina, “abbiamo fatto tutto il possibile, anche economicamente. Ma ci siamo sentiti soli. E ora, pure questa telefonata”. Un racconto amaro che richiama alla necessità di una sanità più tempestiva, umana ed efficiente.

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