L'Europa si arma: miliardi di euro investiti nella Difesa. Armi letali, lobby e guadagni poco etici: c'è anche l'Italia
L'Unione europea destinerà alla ricerca e alla produzione di armamenti 8 miliardi di euro. Le industrie di quattro Paesi prendono il 64,8% degli stanziamenti. Nonostante il sospetto di corruzione e di commerciare con Paesi che violano i diritti umani: il rapporto di "European network against the arms trade"

Resta un terreno scivoloso quello nel quale avanza la volontà di portare la spesa per gli armamenti al 2% del Pil, come richiesto dalla Nato a tutti i Paesi membri. Papa Francesco tuona di "essersi vergonato" quando ha sentito che "gruppi di Stati hanno aumentato la spesa al 2%", definendoli "pazzi".
Così le forze politiche italiane non appaiono compatte sul punto e, nonostante il presidente del Consiglio continui a chiedere il rispetto dell'impegno in sede di Alleanza atlantica - dopo l'Odg della Lega votato dalla Camera a larga maggioranza che impegna il governo ad aumentare la spesa bellica fino alla fatidica soglia -, si contano già diverse posizioni contrarie. Nella maggioranza, Giuseppe Conte, leader dei Cinquestelle, ha detto che non voterà l'aumento delle spese militari e, a quanto sembra, anche la Lega di Salvini manifesterebbe dubbi. E non avrebbero proprio torto a votare contro visto che, a prescindere dalla necessità o meno di sottrarre soldi da altri capitoli di bilancio in tempi di post pandemia e crisi economica, queste spese vanno a foraggiare aziende in molti casi accusate di corruzione e capaci di condizionare con il loro insistente lobbismo le politiche europee.
A mettere nero su bianco nomi e cognomi legati al coinvolgimento in affari a tinte fosche, quando non proprio losche, è il rapporto "Accendere le fiamme. Come l’Unione europea sta alimentando una nuova corsa agli armamenti", pubblicato il 17 marzo dall’European network against the arms trade (ENAAT), rete europea contro il commercio di armi, e dal Transnational Institute (Tni), istituto internazionale di ricerca e advocacy, e ripreso da Altreconomia che nota come "la rotta presa dall’Europa in direzione del militarismo non sarebbe aliena dall’ombra di conflitti di interesse, scarsa trasparenza, corruzione, accordi con Paesi che violano diritti umani".
L'Unione europea e il riarmo
Da ora in poi l'Unione europea destinerà alla ricerca e alla produzione di armamenti 8 miliardi di euro (periodo 2021-27) attraverso il Fondo europeo per la difesa (Edf). Ma già due progetti precedenti erano attivi al momento dell'istituzione del Fondo (PADR, 2017-2019 e EDIDP, 2019-2020), entrambi destinati alla ricerca e allo sviluppo di armamenti con una dotazione finanziaria di circa 600 milioni di euro da destinare a prodotti e tecnologie di difesa e singoli progetti. Finanziamenti che sono andati a finanziare circa 62 progetti di ricerca e innovazione militare, anche di industrie private impegnate nel commercio di prodotti bellici.
I sospetti di corruzione e violazione di diritti umani
L'elenco di società che ne hanno beneficiato è sorprendente perché riguarda le industrie di 4 Paesi, ovvero Italia, Germania, Francia e Spagna, che da soli intascano il 64,8% degli stanziamenti. Tra le società coinvolte (Indra, Safran, Thales, Airbus, Saab, Hensoldt, Fraunhofer) spicca Leonardo - di cui lo Stato Italiano è il principale azionista - ha ricevuto dai fondi ben 28,7 milioni di euro. Azienda questa, scrive il rapporto, raggiunta da "accuse di corruzione". In questa particolare e triste classifica ovviamente c'è un certo affollamento. "Thales (beneficiario fino ad ora di 18,6 milioni di euro), la francese Safran (22,3 milioni di euro), Airbus (10,2 milioni di euro ricevuti) e Saab (fino ad ora di 10,7 milioni)" condividono la stessa coltre di possibile attività di corruzione.
Molte di queste società sono inoltre sospettate di fare accordi poco etici, come l'esportazione verso Paesi che violano i diritti umani. Inoltre, scrive Altreconomia, "Airbus, Leonardo, Safran e Thales vengono citati anche in quanto coinvolti nello sviluppo, produzione o manutenzione di armi nucleari".
Il conflitto d'interessi delle industrie di armi
Ma insomma, secondo i redattori dello studio non c'è storia: obiettivo dell'Unione europea è diventare "potenza militare globale" e grande attenzione viene riservata oggi al capitolo della spesa destinata alla ricerca e allo sviluppo dell'apparato bellico. Le lobbies premono del resto perché ciò avvenga: hanno molto da guadagnare.
Il conflitto d'interessi sta nell'ordine delle cose. "Nove dei 16 rappresentanti nel Gruppo di personalità per la ricerca sulla difesa istituito dalla Commissione europea nel 2015 erano affiliati a società di armi, istituti di ricerca sulle armi e un’organizzazione di lobby dell’industria delle armi. In particolare - è scritto nel rapporto - le sei aziende militari erano Airbus, BAE Systems, Indra, Leonardo, MBDA e Saab, i due istituti di ricerca sulle armi Fraunhofer e TNO, e infine era parte del Gruppo anche l’organizzazione di lobby dell’industria delle armi, AeroSpace and Defence Industries Association of Europe". Queste aziende si sono portate via ben 86 milioni di euro, pari al 30,7% del bilancio assegnato.
"Scelte politiche contro il benessere delle persone"
Inoltre secondo lo studio si pongono anche problemi etici intorno a questi finanziamenti visto che manca una normativa adeguata a istituire controlli e restringere il campo delle armi che possono essere oggetto dei progetti di ricerca finanziati sulla base anche delle normative internazionali. "Sebbene la ricerca e lo sviluppo di armi letali autonome senza un controllo umano significativo (come i ‘robot killer’) non sia (ancora) consentita dai criteri di finanziamento del Fondo europeo per la Difesa - sostiene Mark Akkerman, autore dello studio ENAAT e Tni, citato da Altreconomia - altre armi automatizzate, sistemi autonomi e tecnologie controverse lo sono".
E' evidente che tutto questo aumento di spesa militare - a cui l'Italia partecipa attivamente con l'impegno di portare la spesa quotidiana di armamenti (analisi Milex) da 68 milioni a 104 milioni al giorno - contribuirà ad alimentare le politiche di difesa, dando forza al mercato internazionale delle armi. Anche perché le armi prodotte andranno a incrementare instabilità internazionale e, perché no, rinfocolare guerre e conflitti. In questo senso, dice il rapporto, "l’Unione europea ha fatto una scelta politica: ha scelto di dare la priorità ai profitti delle compagnie di armi altamente lucrative piuttosto che al benessere delle persone".