[La storia] Il diario lucido e straziante della piccola Valeria, una bambina uccisa dal cancro. “Perché è successo proprio a me? Non devo mollare, non mollerò”
C’è la dignità, c’è la forza di una bambina, c’è un sentimento di ingiustizia e, al tempo stesso, di fiducia. C’è un altissimo esempio di umanità. Non servirà a evitare il calvario ad altri, purtroppo. Ma sarà sicuramente utile a capire, qui e ora, il valore della vita e la fierezza di attraversare la malattia senza mai perdere il coraggio
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La malattia, in genere, è raccontata da chi la sconfigge. Come le guerre, è il romanzo di chi vince e ha sempre toni di trionfo e coraggio, come se si dovessero dimenticare il calvario e quella sospensione tra bisogno di vivere la vita tutta insieme e la struggente nostalgia di poterla lasciare da un momento all’altro. Non capita mai che questa traversata nel deserto sia raccontata da chi, poi, non ce la fa. Il racconto di chi ci muore. Eppure, proprio chi combatte e poi non vince, può diventare un testimone assoluto di che cos’è la vita, di quale perdita, e quale sia il valore di questo strano dono di cui ti accorgi davvero solo se lo smarrisci.
Dono d’amore
Valeria Colombo ha fatto un dono d’amore alla vita, scrivendolo,invece, il romanzo della sua battaglia perduta e vinta al tempo stesso. Una ragazzina, niente di più. Con tutte le palpitazioni, i dubbi, gli improvvisi scoppi di energia di una adolescente. Questo era, Valeria, quando un cancro, all’improvviso, più o meno intorno all’età di 11 anni, si fece spazio dentro il suo corpo. «Sarà difficile salvarla», dissero subito i medici ai genitori. Alla ragazza, una mezza verità. Hai un tumore, le dissero. E niente altro. Cominciò a combatterlo. Circondata dalla sua famiglia.
Il consiglio della mamma
Proprio dalla mamma, Narcisa, arrivò un consiglio alla ragazza. “Scrivi un diario”, le disse. “Annota i tuoi pensieri, per non dimenticarli. Magari da grande ne farai un libro”. Valeria si tuffacosì in questo curioso progetto e scopre come la parola sappia lenire, anche quando apre nuove ferite; di come scrivere aiuti a sistemare le cose, anche disordinandole; di come, infine, quella voce affidata alla carta possa continuare a vivere, lei sì, in eterno, nelle altre voci; come possa essere infine utile.
L’addio
Il diario di Valeria nasce, così, giorno per giorno. Puntella le terapie, le vacanze, le serate in cui si prova a essere spensierati, ma mai davvero, con un pensiero che si agita sempre. C’è tutto in questo romanzo del dolore: le domande sul perché, gli interrogativi sul che fare, le preoccupazioni per chi a sua volta è preoccupato per te, la noia dell’ospedale, la stanchezza, l’umanità, la paura, le dediche, i ricordi, e infine l’addio.
Le domande
«Caro diario, perché è successo proprio a me? – si legge, ad esempio, in una pagina, come riportato dal Corriere della sera - Cosa ho fatto per meritarmelo? Non c’è risposta. Capisco che non c’è risposta. È successo e basta, bisogna accettarlo così com’è perché se no diventi pazza perché ti angosci con domande senza risposta. Devi accettarlo e vivere una nuova vita con una nuova compagna, la malattia. Ho scoperto di essere coraggiosa, tenace, che se mi metto in testa che non devo mollare io non mollo».
“Confusissimo sentimento”
«Ho parlato un po’ con mamma – annota ancora -. Poi anche papà è venuto nel lettone con noi. Ho passato un bel po’ di tempo a pensare e mi ha tirato su il morale. Ho deciso di prendere in mano la mia vita!». E poi: «Sono preoccupata per me e per tutta la mia famiglia. Ne vale davvero la pena di vivere così? Adesso siamo tutti e quattro al mare. Per questo sono contenta, mi piace quando siamo tutti insieme, ovunque siamo mi sento a casa. Sono stata allegra tutto il giorno, poi verso le 18 mi è tornata la malinconia, la nostalgia, un sentimento strano. Credo che cercherò un nome per questo confusissimo sentimento».
Fino all’ultimo
Valeria scrive molto, prende nota di sentimenti e avvenimenti. Affida a quelle pagine tutto il dolore e tutto l’amore. Fino all’ultimo giorno, all’ultima pagina. «Vorrei passare l’eternità – si appunta - a scrivere su questo diario ciò che voi combinate, annotando tutto come un piccolo monaco amanuense che non si lascia perdere neanche una virgola delle vostre vite. Vi voglio bene. Valeria».
Una reliquia
Quando quella voce si è spenta, quattro anni fa, Valeria aveva 13 anni. Il diario è stato un documento prezioso per i genitori e la sorella, che lo hanno custodito come una reliquia. I pensieri intimi della ragazza erano il loro cerchio d’amore. Stringere i quaderniper stringere lei. Poi, qualche mese fa, la rottura del riserbo. Almeno in parte. Due amiche di famiglia, a loro volta educatrici, sapevano del diario e ne hanno chiesto qualche porzione per parlarne ai ragazzi del liceo classico Banfi di Vimercate. Dopo qualche dubbio, i genitori di Valeria accettano.
La speranza
Pochi estratti. “La speranza – dicono – è che possa servire a qualcuno o a qualcosa”. E a rileggere quelle frasi, a rivivere, solo in parte e nella distanza, quel cammino, il valore arriva tutto. C’è la dignità, c’è la forza di una bambina, c’è un sentimento di ingiustizia e, al tempo stesso, di fiducia. C’è un altissimo esempio di umanità. Non servirà a evitare il calvario ad altri, purtroppo. Ma sarà sicuramente utile a capire, qui e ora, il valore della vita e la fierezza di attraversare la malattia senza mai perdere il coraggio. Grazie, Valeria.