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"Vi racconto come Davide prima di morire ha salvato una delle vittime del Rigopiano travolto dalla slavina"

La struggente lettera che Roby De Paolis, amico del soccorritore, ha affidato al web è oggi un drammatico spaccato di quella che è stata la vita di De Carolis

Paolo Salvatore Orrùdi Paolo Salvatore Orrù   

 Lo struggente e drammatico racconto che Roby De Paolis ha affidato al web è un commovente spaccato di quella che è stata la vita di Davide De Carolis, uno dei soccorritori che si trovava a bordo dell'elicottero del 118 dell'Aquila precipitato tra il capoluogo e Campo Felice.  Il 20 gennaio, i due amici erano stati insieme a scavare fra le macerie dell’hotel Rigopiano, travolto il 18 gennaio da una valanga. Ora, quando la conta di quei morti non è ancora finita, Davide non c’è più: è venuto mancare uno degli eroi di quella tragedia.

Ecco la sconvolgente testimonianza

"Rigopiano 20/01/2016 - Sono due giorni che mi sento al telefono con Davide (De Carolis ndr), lui vive con moglie e figlia in un paesino al cospetto del Gran Sasso che è isolato da giorni. Alle 13:30 mi chiama per dirmi che finalmente le turbine hanno riaperto la strada. Dieci minuti dopo ricevo la chiamata dal Soccorso: ‘ciao Ruby, tu e Valeria potreste andare a Rigopiano stasera? Ti organizzi una squadra’ La risposta è scontata! Richiamo Davide, gli chiedo se vuol venire e quanto tempo gli serve a prepararsi, anche la sua risposta è scontata! Alle sedici siamo in viaggio, con noi anche Enrico, un veterano del Soccorso Alpino dell'Aquila, insieme formiamo quella che tecnicamente si definisce una ‘squadra di soccorso’”.

“E' cosi perché Valeria, oltre ad essere la mia compagna e un membro del soccorso alpino, è un medico specializzando in Rianimazione. Giungiamo a Penne alle 18:00, al centro di coordinamento ci aspetta Alessandro (uno dei primi ad intervenire la notte del disastro) e ci informa che per il trasferimento a Rigopiano utilizzeremo un servizio di navette. Ci prepariamo con calma consultandoci sull'opportunità di portare o meno alcune cose, ci scambiamo guanti, lampade, pale, batterie di ricambio, sappiamo che sarà una notte lunghissima e vogliamo essere pronti ad ogni evenienza. La concentrazione di quei momenti viene interrotta da una risata, abbiamo tutti due pale a testa.... Quasi come se così si potesse scavare di più!! Si parte e alle 22:00 siamo alla fine della parte di strada percorribile, ci incamminiamo a piedi su una quantità di neve indescrivibile verso quello che rimane dell'albergo. Camminando illumino con la frontale le zone circostanti; sparse ovunque sono ancora visibili le tracce degli sci dei primi soccorritori, penso al loro stato d'animo e ho un groppo alla gola".

Arriviamo sul posto, è enorme, ci sono cumuli di neve e macerie ovunque. Si intravedono le buche da dove sono stati estratti i primi superstiti, muoversi in quel caos richiede molta attenzione. Ci viene incontro Gianluca, medico decano della nostra stazione che è sul luogo ormai da troppe ore. Ci aggiorna sulla situazione e ci indica una zona di scavo piuttosto ampia e con già molte persone in cui è stata rilevata la presenza di almeno tre superstiti. Ce ne indica un'altra, scomoda e angusta e con poche persone, in cui la scientifica ha rilevato la presenza di più di un cellulare. Davide e Alessandro mi guardano e mi chiedono dove vogliamo operare, ennesima risposta scontata ma lo sguardo deciso e determinato dei due colleghi mi conferma di aver fatto la scelta giusta. Ho già vissuto con loro questa sensazione la notte del 24 agosto ad Accumoli, dopo il terremoto, tra i primissimi ad arrivare scelsi una casa tra le tante, forse la peggio messa, quella con più macerie e alla fine dopo più di cinque ore tirammo fuori Luciano, un simpatico sessantenne che era stato dato per morto vista la quantità di macerie che aveva creato il crollo della sua casa.

Entriamo nella buca io e Davide e iniziamo a scavare aiutati da Fabio, un vigile del fuoco che pur senza guanti resterà con noi tutta la notte, Alessandro ed Enrico restano sul bordo e sposteranno tutto ciò che scaviamo. Rivivo per un attimo le ore del terremoto di Amatrice ma la situazione è completamente diversa, stiamo intervenendo su una valanga ma nella neve ci sono detriti, alberi, travi, tegole, mattoni, suppellettili e arredi. Dopo meno di un'ora pratichiamo un foro su quel che resta di un tetto e iniziamo a chiamare, ci risponde G. dicendoci che ci sente ma che siamo ancora lontani. Ancora una volta la scelta giusta, chi è sopra la buca chiede incredulo se davvero è vivo, incrocio lo sguardo di Valeria e vedo nei suoi occhi la preoccupazione di chi, per ruolo, è preposto a preservare la salute delle vittime anche in situazioni estreme, tutti ci rendiamo conto che da quel momento in poi la vita di G. dipende da noi. Nevica, a volte pioviggina, ore durante le quali scaviamo con attenzione una enorme quantità di materiale, il problema è individuare correttamente da dove percepiamo la sua voce ma finalmente G. ci comunica che vede una delle nostre luci, vuol dire che siamo vicini.

Fabio, il Vigile che è con noi, nel muoversi calpesta alcune tegole e G. urla che ha sentito muoversi qualcosa, è quello che aspettavamo, la certezza che stavamo scavando nella giusta direzione. Rimuoviamo quella porzione di tetto e in mezzo a quel casino intravediamo un Moon Boot, lo tocco con cautela e sento che si muove, G. urla che gli sto toccando un piede, vedo la sua mano, mi allungo e gliela stringo, lui ricambia la stretta quasi a volermi rassicurare, sento nuovamente quel nodo alla gola. Le ore successive saranno un susseguirsi di decisioni e di operazioni delicatissime atte a permettere l’estrazione del sopravvissuto senza comprometterne ulteriormente lo stato di salute, finalmente alle sei, dopo oltre sette ore di lavoro frenetico, lo tiriamo fuori tra gli applausi e i complimenti di tutti gli astanti. Sapremo più tardi che non corre pericolo ed è ricoverato all'ospedale di Pescara.

Nelle stesse ore vengono estratti altri tre sopravvissuti, tutti in buone condizioni. Si fa giorno e dopo un'oretta di riposo facciamo il punto della situazione e organizziamo il lavoro per le ore successive, qualcuno continuerà a scavare unendosi alle squadre arrivate al mattino, altri a sondare e altri si occuperanno delle messa in sicurezza del sito sul quale continua ad incombere un pericolo valanghe di grado 4 su 5. Scendiamo che è di nuovo buio, sono le venti e abbiamo tanta strada prima di tornare a casa. Io e Valeria rientriamo dopo oltre trenta ore, a letto con gli occhi chiusi ne ripercorro le immagini, le più forti restano sempre gli sguardi dei miei colleghi, la loro determinazione, la fiducia e la stima reciproca. Sono orgoglioso e onorato di far squadra con loro, purtroppo le situazioni in cui ci vediamo e lo stato d'animo in cui operiamo non sempre mi permettono di dirglielo per cui lo faccio ora: grazie Davide, grazie Alessandro, grazie Enrico, grazie Valeria…ti amo!!”.

Una testimonianza che non ha bisogno di commenti. Che la terra ti sia lieve Davide.

Paolo Salvatore Orrùdi Paolo Salvatore Orrù   
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