Mps e morte di David Rossi, i pm indagati: "Eravamo in quella stanza ma non abbiano inquinato le prove"
I tre pm senesi Marini, Natalini e Nastasi indagati a Genova per falso aggravato perché avrebbero inquinato le prove. Nastasi, ora pm a Firenze, sarà sentito a fine mese. La nuova inchiesta, la terza a Genova, nasce dai lavori della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di David Rossi

Un intero pomeriggio di interrogatori. In cui i due pm in servizio alla procura di Siena non hanno potuto far altro che ammettere: “Si, siamo stati in quella stanza anche se non era necessaria la nostra presenza; è vero, abbiano toccato e ci siamo mossi in quella che era la scena del delitto al di fuori e oltre la nostra stretta competenza; è vero anche che di tutto questo non c’è traccia in alcune verbale; e però ci siamo mossi cosi per la notorietà del caso: la morte di David Rossi avrebbe da li a pochi minuti investito la routine della procura di Siena (già alle prese con la maxi inchiesta su Mps) e tanto valeva occuparsene subito”. Sono questi in estrema sintesi i punti finali dei due interrogatori di ieri in procura a Genova (competente sulle procure toscane). Il procuratore aggiunto della procura ligure Vittorio Ranieri Miniati e il sostituto Sabrina Monteverde hanno sentito per tutto il pomeriggio e fino a sera Nicola Marini e Aldo Natalini, che all’epoca condussero le indagini sulla morte di David Rossi, il capo della comunicazione del Monte dei Paschi che la sera del 6 marzo 2013 fu trovato cadavere nel vicolo su cui affacciava la finestra del suo ufficio al quinto piano di palazzo Salimbeni. Marini è tuttora procuratore facente funzione a Siena e Natalini è attualmente in servizio al Massimario di Roma. Un terzo pm coinvolto, Antonino Nastasi, sarà sentito a fine novembre. Al momento è in servizio alla procura di Roma. Sono tutti e tre indagati per falso aggravato. In sostanza con la loro presenza non prevista nell’ufficio da cui Rossi si sarebbe buttato di sotto avrebbero inquinato le prove e, di conseguenza, le indagini.
Una presenza non prevista
La loro presenza non prevista sulla scena del delitto è emersa durante le audizioni della Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di David Rossi che la procura di Siena ha archiviato come suicidio. Un esito che non ha mai soddisfatto la famiglia - la moglie e la figlia - che hanno sempre detto e denunciato che qualcosa e qualcuno avesse indotto David Rossi a buttarsi dalla finestra in quel periodo molto stressato per via dell’inchiesta su Mps che aveva portato a numerosi arresti di manager delle banca e comunque in affari con la banca. "Questa tragedia mi ha colpito dal punto di vista umano e anche oggi mi crea grande turbamento” disse l’ex della banca senese Fabrizio Viola davanti ai membri della Commissione. Parlò anche, Viola, della mail in cui l’ex capo della comunicazione di Mps annunciava di volersi suicidare. Del periodo di grande crisi che stava attraversando la banca, morivo per cui tutti i manager furono affiancati da un mental coach. Non stava solo crollando una banca: si stava portando dietro un’intera città e la sua storia. Ma in Commissione sono arrivate anche molte testimonianze - sono tre quelle chiave, di altrettanti alti ufficiali dell’Arma - che hanno indotto la Commissione a parlare di “prove compromesse".
Zanettin: "Servono approfondimenti"
Il presidente della Commissione Pier Antonio Zanettin, che aveva poteri d’inchiesta al pari di un pm, ha dovuto concludere anticipatamente i lavori per la fine della legislatura ma il 15 settembre - pur non essendo stato il voto unanime - ha trasmesso gli atti della Commissione parlamentare alla procura di Genova “per i dovuti e necessari approfondimenti”. Le domande a cui devono rispondere i pm indagati riguardano la mancata verbalizzazione della perquisizione, con annessa ispezione informatica e sequestro, della stanza usata da Rossi. In particolare, i tre allora pm senesi, nel verbale del 7 marzo, “omettevano di attestare che nelle ore precedenti, e in particolare dalle 21,30 sino a circa mezzanotte del giorno precedente, avevano già fatto ingresso nella predetta stanza prima che la stessa venisse fotoripresa dal personale della polizia scientifica”. In quell'occasione, secondo l’ipotesi accusatoria, avrebbero “manipolato e spostato oggetti senza redigere alcun verbale delle operazioni compiute e senza dare atto del personale di polizia giudiziaria che insieme a loro avevano proceduto a questo sopralluogo".
Marini: “Tutto infondato"
Gli interrogatori dei magistrati sono avvenuti nella caserma del nucleo di polizia economico-finanziaria di Genova. Entrambi i magistrati hanno risposto alle domande. Nicola Marini, l’unico tuttora in servizio a Genova, l’11 novembre quando la notizia dell’indagine a loro carico è diventata pubblica, ha voluto chiarire la sua posizione. “Il fatto provvisorio sul quale mi si chiedono chiarimenti è a mio avviso completamente e integralmente infondato. Ho ricevuto l'invito a comparire, che è comunque atto dovuto se si vuole interloquire nel rispetto della procedura, pur se non comprendo, senza neppure entrare nel merito, come si possa a me contestare un verbale al quale non ho partecipato né ho contribuito a redigere” ha sottolineato. “Ciò dimostra a mio avviso solo la particolare e doverosa attenzione della procura di Genova per questa vicenda che mi auguro sia la medesima che utilizzerà per le tante querele che in questi anni ho presentato per le numerose dichiarazioni false e diffamatorie nei miei confronti", ha aggiunto.
Le altre inchieste e le nuove accuse
La procura genovese aveva già aperto un fascicolo per abuso d'ufficio dopo una puntata della trasmissione televisiva Le Iene in cui si parlava di festini a cui avrebbero partecipato i pm senesi che per questo avrebbero “insabbiato” le indagini sulla morte di Rossi. Quella indagine era stata archiviata e gli atti trasmessi al Csm per eventuali risvolti disciplinari. Per la procura di Siena quello di Rossi è stato suicidio. Ma ogni volta manca sempre un pezzo a questa storia. E i buchi dell’indagine senese sono sempre stati tanti. Fino a quando sono arrivate le testimonianze del colonnello Pasquale Aglieco e dell’ex comandante dalla stazione di Monteriggioni Francesco Marinucci. Aglieco ha in sostanza raccontato (in una deposizione di circa otto ore) che i pm entrarono nella stanza di Rossi pur senza averne titolo, toccarono il cestino della carta e lo rovesciarono sul tavolo per vedere cosa se ci fosse qualcosa di utile. Si misero a sedere, toccarono oggetti sulla scrivania, persino il telefono cellulare di Rossi che squillò dopo la tragedia. Uno dei pm rispose alla telefonata. ma dall’altra parte avevano già attaccato. Uno dei pm scese in strada per vedere il cadavere. Il problema è che tutto questo non doveva succedere perché solo un pm può e deve esaminare la scena del delitto e, insieme alla polizia giudiziaria, deve fare la relazione. Se la scena del delitto viene inquinata, è assai probabile tutta l’indagine venga compromessa. Chi può assicurare, ad esempio, che nel cestino della carta che è stato svuotato non ci fossero elementi utili all’indagine? Oppure sulla scrivania o nei cassetti della stessa? Quelle tre ore nell’ufficio di Rossi sono un buco nero. E su questo i tre pm dovranno dare spiegazioni.
"Le questioni aperte"
Ci sono anche altri punti oscuri: la dinamica della caduta del corpo; i fazzoletti di carta con tracce di sangue trovati nell’ufficio; un secondo video e alcune foto. Il presidente Zanettin ne elenca parecchi nel capitolo conclusivo della Relazione depositata il 15 settembre. Sembrerebbe invece risolta e per sempre la storia dei festini a cui avrebbero partecipato alcuni nomi pesanti di Siena, della banca e anche della procura. Era stato, tutto questo, oggetto di un’inchiesta delle Iene. Che la procura di Genova aveva già archiviato. Ma su cui la Commissione parlamentare ha chiesto di fare ulteriori approfondimenti. Riportiamo qui uno stralcio del capitolo 13.1 della Relazione finale titolato: “Le questioni aperte”.
"La Commissione attraverso audizioni e acquisizioni documentali, ha ripercorso il cammino compiuto dagli inquirenti nelle procedure che, in vario modo, si sono occupate della morte di David Rossi. Questo versante dell’inchiesta parlamentare ha lasciato emergere che l’attività degli inquirenti è stata improntata, nel complesso, a professionalità e rigore, fatti salvi alcuni specifici episodi sui quali la presente relazione si è già soffermata per esprimere le proprie valutazioni negative. Si ritiene, tuttavia, che, a margine di tale panoramica siano opportune alcune ulteriori osservazioni. Invero, sono emerse alcune circostanze che meritano di essere tratteggiate. Ancorché non riguardino aspetti che incidono direttamente sull’accertamento della morte di David Rossi e non compromettono la validità delle conclusioni alle quali è pervenuta la Commissione, la valutazione di tali circostanze può rivelarsi utile per far luce su alcuni eventi che si pongono a margine della tragica vicenda di David Rossi e sui quali si ritiene necessario investigare ancora per raggiungere punti fermi e definitivi. Conviene muovere dal tema dei cosiddetti festini poiché è da qui che sono scaturiti i maggiori sospetti e i maggiori punti d’ombra sull’operato dei magistrati che si sono occupati della prima indagine sulla morte di David Rossi. C’è da rilevare, innanzitutto che la strategia investigativa non ha consentito di escutere in sede penale i pubblici ministeri interessati dalle accuse e, quindi, non ha consentito loro neppure di difendersi da accuse infamanti. E questo si rileva pure nella consapevolezza che lo svolgimento di una simile attività di indagine avrebbe potuto rivelarsi infruttuosa perché un’eventuale audizione si sarebbe dovuta svolgere nel rispetto dei diritti della persona indagata e, quindi, i magistrati avrebbero potuto avvalersi della facoltà di non rispondere. Tali coinvolgimenti, peraltro, non hanno trovato conferma nell’ambito dell’attività istruttoria svolta dalla Commissione”. Nella 140 pagine della Relazione conclusiva - ma non completa causa fine anticipata della legislatura - ci sono ancora molti non detti e punti di domanda. E c’è molta attesa per il lavoro che saprà svolgere questa volta la procura di Genova chiamata in causa per la terza volta sulla morte di David Rossi.