"La soppressione del Corpo Forestale è un suicidio. Ce ne pentiremo presto"
Intervista all'ex capo del Corpo Forestale dello Stato che lancia accuse precise: "smantellano ciò che funziona per favorire le consorterie politiche"
Giuseppe Di Croce, 78 anni, ai boschi e alla natura ha dedicato una vita, sin dalla laurea in Scienze forestali conseguita a Firenze nel 1963. Poi la carriera nel Corpo forestale fino a diventarne il Comandante dal 7 maggio 1999 al 31 luglio 2003. Nella lettera di commiato al personale aveva scritto “Anche se non sarò più alla guida del Corpo ne condividerò comunque e per sempre i valori restando sempre uno di voi”. Tiscali.it lo ha intervistato.
Cosa ne pensa della soppressione del CFS?
"Premetto che il CFS era una delle Istituzioni fra le più apprezzate per la professionalità, la serietà e soprattutto la concretezza del suo operato nella difesa e nella salvaguardia del territorio e del patrimonio ambientale del Paese. A riprova ci sono gli innumerevoli riconoscimenti ufficiali ricevuti nei quasi 200 anni della sua gloriosa esistenza. La sua peculiarità essenziale era quella di essere un organismo pluridisciplinare e flessibile in grado di adattare la propria operatività alle più svariate esigenze del momento in virtù del fatto che i quadri venivano formati prevalentemente nelle Università di Scienze Forestali. Se un terzo del territorio Italiano è formato da boschi, se la maggior parte dei torrenti sono ancora protetti da un sistema virtuoso di opere idralico-forestali, se godiamo della diversità biologica fra le più importanti d’Europa, se siamo riusciti a costruire la rete di aree protette fra le più vaste, se abbiamo individuato e smantellato molti circuiti criminali volti allo smaltimento illegale dei rifiuti tossici o pericolosi , tutto ciò è merito di quel piccolo ma gloriosissimo Corpo forestale".
In passato c’è già stato un tentativo di soppressione del CFS. Come lo avete affrontato?
"Nel 2001, nell’ambito della sciagurata riforma del Titolo V° della Costituzione che tanti danni ha provocato al nostro Paese, l’allora Ministro delle Pubblica Amministrazione Bassanini, senza concerto con altri Ministri, emanò un Decreto di regionalizzazione del CFS. Nel 2003, prima che lasciassi la guida della Forestale, la Camera dei Deputati approvò la legge di riforma che ne garantiva la statualità come corpo di polizia forestale e ambientale. Per raggiungere questo risultato, ho tirato la giacca con umiltà ma anche con molta determinazione e fierezza alla maggior parte dei Parlamentari di ogni schieramento politico convincendo la maggioranza della mostruosità del Decreto Bassanini. La riforma fu una grande soddisfazione che ripagò degli sforzi compiuti e delle umiliazioni subite con pochi valorosi collaboratori e lo scetticismo dei più".
Quasi 200 anni di storia raccontano di un CFS sempre in prima linea nelle calamità naturali che hanno colpito il nostro Paese, ma nell’emergenza di questi giorni nel Centro Italia non ha potuto operare. Di chi è la colpa?
«Preliminarmente voglio dire che sono vicino ai tantissimi forestali che hanno vissuto la frustrazione di non essere più un organismo vitale capace di lenire queste tragedie. Sono altrettanto certo però che la maggior parte di essi, conoscendone la umanità, professionalità e abnegazione, sono comunque sui luoghi del disastro a dare il loro contributo nei soccorsi. La colpa è prima di tutto della assenza della politica, quella alta, quella nobile che anteponeva gli interessi del Paese agli interessi di parte.
La soppressione del CFS è la metafora di un declino. Un declino morale, sociale, economico e istituzionale che porta a smantellare ciò che funziona e a privilegiare le consorterie della politica e della classe dirigenziale.
Il CFS, come lei asserisce, è sempre stato presente nelle calamità che hanno colpito il nostro Paese. Calamità ricorrenti e sempre più dolorose in assenza di una vera cultura della prevenzione. Il rapporto fra prevenzione e riparazione dei danni è di uno a mille nel senso che per non spendere un euro ne spendiamo mille per riparare. Avendo ben saldo questo concetto il CFS è sempre stato prevalentemente un corpo tecnico con una strutturazione sempre più pluridisciplinare e flessibile in grado di decifrare gli ecosistemi territoriali in funzione delle mutevoli condizioni climatiche e di valutarne la resilienza nel tempo. Purtroppo la scellerata gestione di questi ultimi anni ha portato a svilire la parte tecnico-scientifica e a valorizzare la cialtronesca componente giustizialista, il che ha favorito l’accorpamento ad un corpo di polizia ben più autorevole e strutturato nel settore. In tutti i casi la sensibilità istituzionale alla conoscenza e alla salvaguardia dell’ambiente non si acquisisce per legge ma è un processo che si sviluppa nel corso di decenni di studi e di applicazione.
Alla luce di quanto sopra lo scioglimento del CFS e soprattutto lo smantellamento delle sue varie branche rappresenta un vulnus micidiale per la difesa del territorio. Ben presto ce ne pentiremo. Purtroppo al Ministro Madia queste conseguenze non importavano affatto. A suo tempo, in qualità di ex Capo del CFS, ho fatto presente tutto ciò al Presidente del Consiglio, a vari Ministri e Sottosegretari, ad alcuni giornalisti che vanno per la maggiore: non ho avuto risposta né per cortesia né per educazione! Il coro dei laudatores non indietreggia mai!»
Ormai il CFS non esiste più. Cosa ha perso lo Stato e cosa i Cittadini?
«Come dicevo pocanzi lo Stato perde un organismo collaudato di conoscenza e di controllo ecosistemico del territorio soprattutto capace di valutarne la resilienza che ci indica gli eventuali interventi da attuare per prevenire i disastri naturali.
Il Cittadino perde un interlocutore privilegiato in grado di favorirlo, in specie nelle zone disagiate, nel risolvere i vari problemi contingenti.»