Coronavirus, buone notizie e alcune lezioni dalla Cina
L'epidemia nel Paese asiatico sembra ormai in ritirata. I casi ancora attivi sono meno di 30 mila, a fronte di 41 mila infetti in tutto il mondo
E alla fine a est arrivò la luce dell’alba. L’esplodere dell’epidemia in Italia, i contagi in Europa e negli Stati Uniti, hanno fatto passare un po’ in secondo piano una notizia che pure dovrebbe avere il suo interesse: in Cina l’epidemia di Coronavirus sembra ormai in ritirata.
La Cina è il paese da dove tutto è partito e che ha avuto di gran lunga il maggior numero di contagi, circa 80mila su un totale mondiale di 92mila casi. In pratica quasi 9 su 10 del totale dei contagiati nel mondo vive in Cina. Numeroni che compaiono spesso quando si fanno i conti del Covid-19. Indicativi, ma un po’ fuorvianti. Si tratta, infatti, non delle persone che oggi hanno il Coronavirus, ma di quelle che sono state contagiate dall’esplodere dell’epidemia.
Le persone ancora infette sono molte di meno
Meno citato, ma forse più interessante, è il fatto che a oggi i casi ancora attivi nel paese sono meno di 30mila. In pratica di tutti coloro che sono stati contagiati in Cina, il 37% deve ancora guarire, poco meno del 4% è purtroppo morto a seguito del contagio, ma il 59% è ormai fuori dal tunnel (dati da worldometers.info/coronavirus). Di conseguenza il numero delle persone infette nel mondo va riducendosi: al momento sono circa 41mila, che sono tanti, ma non sono i 92mila di cui sopra.
Ma il dato migliore per quel che riguarda la Cina è quello dei nuovi contagi giornalieri, in declino da giorni e ormai stabilmente al di sotto dei 500 a fronte invece di oltre 2mila guarigioni al giorno. In pratica in Cina, paese di 1,4 miliardi di abitanti, i contagi ogni giorno sono meno che in Italia, paese di 60 milioni di abitanti.
Buone notizie. Contenere, bloccare il contagio fino a invertire la proporzione tra nuovi casi e guariti è possibile. Gli esperti ce lo dicono tutti i giorni, è vero, ma vedere che un paese popoloso come la Cina, con i numeri di cui sopra, vi stia riuscendo fa un altro effetto.
Poche, ma efficaci lezioni
Come hanno fatto? Che lezioni possiamo trarne noi che siamo in mezzo alla tempesta? Proprio per rispondere a queste domande l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha inviato una squadra in Cina guidata dal suo vice direttore generale ed esperto epidemiologo Bruce Aylward. Al suo ritorno, intervistato da Julia Belluz per Vox.com, ha fornito alcune risposte che meritano di essere riportate.
"La velocità è tutto"
Una delle lezioni principali che vengono dal caso cinese è l’importanza della velocità d’azione e di reazione, “La velocità è tutto. Più velocemente riesci a trovare i casi di contagio, isolarli e risalire tutta la catena delle persone con cui sono entrati in contatto, più avrai successo. Quello che la Cina dimostra è che se ti metti al lavoro, ti tiri su le maniche e inizi il lavoro sistematico di ricerca dei casi e dei loro contatti puoi sicuramente dare una svolta al dilagare dell’epidemia, toglierle benzina e prevenire che un sacco di persone si ammalino e quelle più vulnerabili muoiano”.
Aylward sottolinea anche l’importanza dell’informazione, organizzazione e esistenza di infrastrutture adeguate. “Devi essere sicuro che la tua gente sappia del virus. Devi avere delle procedure per dare loro risposte rapidamente attraverso il tuo sistema sanitario. E poi strutture sufficienti per indagare i possibili contagi, identificare i loro contatti ed essere sicuro che rimangano in isolamento. Il 90 per cento di quello che hanno fatto in Cina è tutto qua.”
Il virus è là
Capire dove focalizzare gli sforzi e quindi incanalare le risorse, che sono scarse per definizione, è fondamentale. La cosa migliore è concentrarsi lì dove è il virus. “Pensate al virus. Dov’è? Come si può fare per contenerlo? Sappiamo che il virus è nelle persone che sono state contagiate e in quelle a loro più vicine. È là che è la maggior parte del virus. E là dovrebbe essere concentrata la nostra azione. La Cina ha fatto un sacco di cose, cose che anche gli altri paesi potrebbero trovarsi a dover fare. Ma il fattore chiave è avere una popolazione informata, trovare i casi e isolarli. È la velocità con cui riesci a isolarli il fattore che può interrompere la catena del contagio”.
Per il contagio contano i familiari
L’esperto dell’OMS sottolinea inoltre un elemento estremamente rilevante. “Non interessano tutte le persone con cui il malato è entrato in contatto. Sono quelle più prossime al contagiato quelle contano. Di esse tra il 5 e il 15% sarà infetto. Tipicamente si tratta della famiglia. D’altra parte essere contagiati dipende dal fatto che qualcuno abbia il virus, di quanto tempo si sta contatto con lui e quanto virus quest’ultimo stia spargendo. E i familiari generalmente sono coloro che stanno contatto più a lungo e più vicino con i contagiati”.
Non la punta dell’iceberg ma l’intera montagna
C’è anche una sorpresa rispetto a quanto si sospettava inizialmente, ovvero il basso grado di contagio del virus al di fuori della cerchia più ristretta dei contagiati. “Nella provincia di Guangdong, ad esempio, sono stati fatti circa 320mila test. Al picco dell’epidemia solo lo 0,47% di essi era positivo. Tutti dicono che i casi registrati ufficialmente sono solo la punta dell’iceberg, che in realtà il virus è molto più diffuso. Ma noi non abbiamo trovato nulla di tutto ciò. Abbiamo trovato molti casi di contagio tra le persone molto vicine a coloro che avevano il virus, ma non abbiamo riscontrato una rilevante circolazione asintomatica del Covid-19. Il che lo rende diverso dall’influenza”.
Niente panico, mettetevi al lavoro
E quindi, come chiosa il dottor Aylward: “Panico e isteria non sono la risposta giusta. Questa è una malattia che è negli ammalati e nelle persone a loro più vicine. Non è un nemico nascosto in agguato dietro un cespuglio. Organizzatevi, informatevi, imparate e mettetevi al lavoro”.