Rigopiano, no all'alibi delle responsabilità diffuse. Servono chiarezza e giustizia
Le colpe, le omissioni, i ritardi che hanno portato alla tragedia del Gran Sasso sembrano intersecarsi l'una con l'altra in un groviglio inestricabile. Ma le responsabilità individuali non possono essere ignorate

Con un lavoro lungo e meticoloso, durato quasi un anno, la Procura di Pescara ha ricostruito l’incredibile sequenza di errori, inadempienze e omissioni che ha portato, il 18 gennaio scorso, alla tragedia dell’hotel Rigopiano. Un disastro annunciato, con responsabilità gravi e diffuse, che riguardano, come abbiamo visto (si legga in proposito, l'esclusiva del collega Guido Ruotolo), non soltanto i privati che hanno investito nella ristrutturazione e nell’ampliamento del vecchio rifugio travolto dalla valanga che ha spezzato la vita di 29 persone. Il Procuratore Massimiliano Serpi ed il sostituto procuratore Andrea Papalia hanno firmato il 22 novembre un’ordinanza contenente 23 avvisi di garanzia e ben 14 capi d’accusa, che vanno dalla negligenza al concorso in omicidio colposo, fino ad arrivare al falso ideologico in atto pubblico e all’abuso d’ufficio continuato. Dentro ci sono tutti: dirigenti regionali e provinciali, responsabili della Protezione Civile, sindaci, tecnici ed esperti della Prefettura. Ciascuno porta sulle spalle un pezzo di colpa, piccolo o grande che sia.
Sarebbe bastato, ad esempio, che i funzionari regionali preposti all'attuazione della delibera della Giunta Regionale 170/2014, istitutiva del "catasto delle valanghe" nella Regione Abruzzo, che dava mandato alla Protezione Civile per la realizzazione della "Carta di localizzazione del pericolo di valanga" (CLPV), si fossero attivati per tempo per trovare i fondi necessari alla mappatura del territorio a rischio. Oppure che i ripetuti allarmi delle guardie alpine, verbalizzati a partire dal 2001 e nelle disponibilità del comune di Farindola che avrebbe dovuto procedere alla redazione del Piano Regolatore Comunale, venissero tenuti d’acconto. Invece, non soltanto il Piano Regolatore non è stato mai approvato, ma addirittura il “Piano d’emergenza comunale”, emesso nel 2008, ignorava totalmente il rischio valanghe, altissimo nel territorio di Farindola. Il responsabile tecnico che ha firmato quel documento, Enrico Colangeli, oggi è indagato per falso e abuso d’ufficio continuato, per aver rilasciato il permesso a costruire relativo al Centro Benessere e alle relative pertinenze in legno, in una zona dove non sarebbe mai dovuto sorgere nulla, trattandosi di “zona a conservazione integrale". Proprio la presenza del Centro Benessere, e dei servizi ad esso connessi, rappresentava il punto di forza dell’Hotel Rigopiano, un’attrazione irresistibile che aveva consentito l’ampliamento della ricettività ai mesi invernali: i più suggestivi, ma anche i più pericolosi per il rischio neve e valanghe.
L’inerzia, il pressapochismo, le omissioni involontarie o volute non finiscono qui. C’è anche la sottovalutazione del rischio che ha portato ai ritardi fatali nelle ore critiche della tragedia, quel maledetto 18 gennaio: si va dalla tardiva diffusione dell’allarme ai ritardi nell’attivazione della Sala Operativa congiunta di Protezione civile di Provincia e Prefettura, fino alle carenze riscontrate nell’operatività e dislocazione dei mezzi spazza-neve, fino alla mancata chiusura del traffico veicolare verso le zone a rischio.
Presa singolarmente, ciascuna di queste circostanze potrebbe essere facilmente diluita dentro un andazzo in cui le responsabilità individuali si intersecano a catena con quelle generali, in un groviglio inestricabile che è poi il male diffuso di questo paese. Dove nessuno paga, perché la colpa non è mai di nessuno. O è sempre di qualcun altro. E in cui è facile, in fondo, trovare l’autoassoluzione nel sistema che non funziona. Potremmo scommettere fin d’ora che la linea difensiva degli imputati sarà basata sulla minimizzazione dei ruoli e delle decisioni in capo a ciascuno. Tutti comprimari, davanti al grande "mostro burocratico"che invece che trovare la forza di autoriformarsi dall'alto scarica le sue inefficienze verso il basso, senza soluzione di continuità. Tutto vero, per carità. La macchina burocratica, dal livello centrale a quello periferico, dal rango amministrativo-legale a quello operativo-gestionale necessiterebbe di essere profondamente innovata, con tavoli di concertazione, piani di intervento, risorse diffuse che non ci sono, nè si vogliono trovare. Ma questo non è, non può essere il motivo per sottrarsi al giudizio delle colpe individuali, quando esse dovessero essere debitamente dimostrate. Cedere alla logica delle spallucce, o peggio gridare al giustizialismo in questo caso sarebbe come buttare la palla al centro, ancora una volta, per evitare l’accertamento di quella porzione di verità che occorre restituire alle vittime della tragedia del Rigopiano. Per una volta, al di là degli schieramenti fra innocentisti e colpevolisti, al di là della rassegnazione italica del "così fan tutti", al di là del pressapochismo cinico prevalgano la serietà, il senso di giustizia e la fiducia nel lavoro scrupoloso della magistratura.