A 8 anni attraverso l’inferno: le carceri libiche, il viaggio in mare e l’ingiustizia delle politiche italiane
Il calvario di chi cerca su un gommone la via di salvezza e nuovi sogni, ma spesso incontra morte e terrore. "Dopo il salvataggio mandati per mare dalla guardia costiera italiana per altri 1400 chilometri"
È sbarcato nel tardo pomeriggio di ieri al porto di Ancona, sotto una pioggia battente. Ha otto anni e viaggiava da solo. Dal Mali alla Libia, dalla Libia al Mediterraneo centrale, dov’è stato soccorso su un gommone alla deriva da tre giorni in acque internazionali, al largo di Tripoli. Era stipato nell’imbarcazione insieme ad altre 87 persone, tra cui 24 minori, salvate dall’equipaggio della nave 'Ocean Viking' della Ong Sos Méditerranée. All’equipaggio ha raccontato di essere partito dal Mali con un amico. Di aver già tentato una volta di raggiungere l’Italia ma di essere stato riportato indietro in prigione dalla cosiddetta guardia costiera libica.
La salvezza, i nuovi sogni, un mestiere
Prigioni di cui sono accertate le violazioni dei diritti umani, come un bambino da solo possa essere sopravvissuto a quei luoghi resta un mistero. Adesso il piccolo si trova in salvo in Italia, parla un po’ di francese e una lingua del Mali. Sa scrivere ed è stato a scuola. Racconta che in Italia vorrebbe fare il saldatore, lo stesso mestiere che faceva in Libia per guadagnarsi da vivere e probabilmente con il quale si è guadagnato anche i soldi per pagare il viaggio in mare. Un viaggio che è durato molto di più di quanto sarebbe dovuto durare. Dopo il salvataggio, il comando della guardia costiera di Roma ha assegnato il porto di Ancona come porto di sbarco. Distante 1400 chilometri e tre giorni di navigazione dal luogo in cui i naufraghi, tra cui 36 donne, due incinte e 53 minori, 32 dei quali non accompagnati, sono stati tratti in salvo dalla Ocean Viking. Quando l’equipaggio ha chiesto un porto più vicino la capitaneria di porto ha rifiutato.
Un porto 'sicuro'
Una pratica, quella dell’assegnazione di un porto sicuro a chilometri e chilometri di distanza dal luogo di salvataggio, affinata dal governo Meloni. Secondo molti osservatori questa strategia del Governo ha la finalità di tenere le navi umanitarie lontano dalle zone di ricerca e soccorso, ma anche di rendere sempre più dispendioso e difficile il loro operato in mare. Tutto questo a spese dei naufraghi a bordo.
Solo qualche giorno fa la Ocean Viking aveva salvato altre 25 persone in condizioni disumane. Erano rimasti per una settimana senza acqua né cibo, in balìa delle onde. Ai soccorritori hanno raccontato l'incubo di quel viaggio e delle sessanta persone morte di stenti davanti ai loro occhi e gettate in mare. Tra loro anche un bambino di un anno e mezzo, insieme alla madre. I superstiti, in condizioni psico-fisiche estremamente critiche, secondo le autorità italiane sarebbero dovuti stare ancora quasi una settimana in viaggio verso il porto 'sicuro'.
Sotto pressione dell'Ong, inizialmente solo due dei sopravvissuti al naufragio sono stati evacuati dalla Ocean Viking con un elicottero della Guardia Costiera, che li ha trasbordati fino a Lampedusa. Dall'isola i due migranti sono stati nuovamente trasferiti a bordo di due elicotteri e ricoverati negli ospedali di Agrigento e Palermo per le cure del caso. Uno di loro è morto qualche ora dopo in ospedale. Successivamente, anche gli altri 23 feriti gravi sopravvissuti al naufragio sono stati affidati alla Guardia costiera di Catania.
Ma per il piccolo di otto anni e il resto dei naufraghi soccorsi il viaggio è proseguito fino al pomeriggio di ieri, in cui tutte le 336 persone sono state fatte sbarcare. "Un lunghissimo viaggio di 1.450 km, più di tre giorni di navigazione per lo sbarco di 336 persone in condizioni mediche e psicologiche estremamente precarie”, ha denunciato l'Ong.