I preti soldato e i generali vescovi, 10 milioni di euro di stipendi a spese dello Stato. Il generale dei Carabinieri: "Massima collaborazione"
La circolare del generale Del Sette e tutti i costi dell'esercito dei sacerdoti. Stipendio per stipendio

L'Arma scende in campo per difendere i Cappellani militari. Penna in resta il comandante dell'Arma dei carabinieri difende la sempre più bistrattata figura del Cappellano militare e lo fa con un ordine diretto a tutti gli enti dipendenti fino al livello di Comando di Corpo. Con una nota del 30 luglio scorso il generale Tullio Del Sette ha ordinato a tutti i suoi dipendenti, nel classico linguaggio militaresco "È, perciò, necessario...", di mettersi a completa disposizione dei preti con le stellette che devono “essere tenuti informati delle attività di rilievo dei reparti e dei nostri militari” affinché nella “riconosciuta complementarità della funzione” possano svolgere i propri compiti “in sinergia con le gerarchie militari e la rappresentanza militare”.
La strana coincidenza. La nota vergata dal comandante dell'Arma segue di poche settimane l'annuncio di una petizione ex art. 50 Cost. (n. 1126) indirizzata alla Presidente della Camera dei deputati e annunciata all'Assemblea di Montecitorio il 7 luglio scorso. La petizione chiede “norme per la revisione del servizio di assistenza spirituale al personale delle forze armate e di altre amministrazioni dello Stato. In buona sostanza l'atto di indirizzo, che si sposa perfettamente con le proposte di legge che giacciono nei cassetti di Montecitorio e le prese di posizione del vicepresidente della Camera Roberto Giachetti, chiede di legiferare affinché sia chiaramente stabilito che il “Servizio di assistenza spirituale alle Forze armate, istituito per integrare la formazione spirituale del personale militare di religione cattolica è disimpegnato da sacerdoti cattolici senza oneri a carico del bilancio dello Stato”.
Quell'intesa mancante. Non c'è nessuna norma che impone allo Stato italiano di farsi carico dei costi dei Cappellani militari. Infatti, l'intesa espressamente prevista prevista all'articolo 11, comma 2, dell'Accordo, con protocollo addizionale, firmato a Roma il 18 febbraio 1984, che apporta modificazioni al Concordato Lateranense dell'11 febbraio 1929, tra la Repubblica italiana e la Santa Sede, ratificato e reso esecutivo con la legge 25 marzo 1985, n. 121, che avrebbe dovuto regolare lo stato giuridico ed economico dei sacerdoti impiegati dallo Stato nell'ambito delle forze armate non è mai stata stipulata tra le parti. La solita sciatteria dei governanti italici.
Lo avevano capito solo i Radicali. Nel corso della XVI Legislatura i parlamentari Radicali tentarono in più occasioni di porre rimedio alla questione trovando sempre la contrarietà delle presidenze della Camera e del Senato che ritenendo esistente la citata intesa erroneamente dichiararono l'inammissibilità degli emendamenti via via presentati nel corso degli anni e anche nell'attuale legislatura. Se in realtà quell'intesa non è mai esistita è anche vero che dal 2010 l'Ordinariato è regolato dal Codice dell'Ordinamento Militare (decreto legislativo 66/2010) e nel 2012 il governo guidato dal professore Monti fu costretto ad un primo intervento nel tentativo di sanare la questione (decreto legislativo 24 febbraio 2012, n. 20) protrattasi, fino a quel momento, per quasi 28 anni. Introducendo modifiche all'articolo 17 del citato Codice, ricordato pure dal generale Del sette, il Governo non fece altro che riconoscere l'esistenza di un vuoto normativo che a molti a fatto domandare: “Ma allora perché paghiamo i Cappellani militari?”.
Cappellani alla ribalta. La vicenda ha avuto una notevole eco mediatico e nel corso della trasmissione televisiva “Le Iene” del 19/11/2013, e ancora del 19/11/2014, fu proprio l'Ordinario militare Mons. Santo Marcianò a dirsi pronto a rinunciare ai gradi (e al relativo trattamento economico). Il 5 dicembre 2013, il suo vice, Don Angelo Frigerio, intervenendo ad una trasmissione radiofonica di Radio Radicale, affermò che in effetti l'intesa prevista dal Concordato in realtà non è mai esistita e che la Chiesa è ancora in attesa di stipularla e, aveva aggiunto, i cappellani sono pronti a rinunciare ai gradi militari. Il “grado militare” consente ai cappellani di percepire lo stesso trattamento economico degli ufficiali delle Forze armate ai quali sono assimilati e così, in questi tempi di crisi che vedono i cittadini italiani costretti a sacrifici e rinunce di ogni tipo, disoccupazione e riduzione massiccia dei servizi da parte delle pubbliche amministrazioni (salute, scuola e sociale) il piccolo esercito di preti soldato riesce ancora a sopravvivere e a mantenere intatti tutti suoi privilegi con la protezione e la benedizione del potente comandante della Benemerita.
L'Ordinariato è un esercito di 204 preti-soldato. Secondo la legge possono arrivare fino a un massimo di 204 i preti “abili e arruolati” e sono tutti assimilati al rango di ufficiale delle forze armate. L'Ordinario militare indossa il grado di generale di Corpo d'Armata, il suo “Vicario Generale Militare” quello di generale di Divisione. Poi ci sono 3 “Ispettori” col grado di generale di Brigata, 9 “3° Cappellano militare Capo” col grado di colonnello e, infine 190 tra tenenti colonnelli, maggiori, capitani e tenenti, tutti in servizio permanente effettivo con stipendi a carico dello Stato italiano. Dai rendiconti economici dello Stato emerge che i cappellani effettivamente pagati coi soldi dei contribuenti nell'anno finanziario di riferimento, sono stati: 183 nel 2012, 184 nel 2013, 165 nel 2014 e 153 nel 2015. Il bilancio di previsione dello Stato per gli stessi anni ne aveva spesati rispettivamente: 188 (2012), 169 (2013), 173 (2014) e 205 (2015). Tuttavia secondo l'Ordinariato militare i numeri dei Cappellani effettivamente in servizio nei medesimi anni sarebbero stati: 177 (2012), 174 (2013), 160 (2014) e 161 nel 2015. Nel mese di aprile 2016, sempre secondo l'Ordinariato i cappellani militari erano in tutto 159. Due i generali: l'Ordinario, Mons. Santo Marcianò, e il suo vice, don angelo Frigerio. 36 i tenenti colonnelli, 26 i maggiori, 57 i capitani e 30 tenenti.
I costi che non paga la Chiesa. Fino a quest'anno la spesa imposta dalla Chiesa alle casse dello Stato italiano per il mantenimento dei Cappellani militari, oltre al salasso dell'otto per mille, annotata sul bilancio di previsione dello Stato (quello che di fatto mette le mani in tasca ai cittadini), è stata un continuo crescendo e solo per quanto riguarda il pagamento degli stipendi si è passati dai 7.680.353 euro del 2013 agli oltre 10 milioni di euro (10.445.732) nel 2015. Gli stipendi annuali posti a carico del bilancio della difesa, al netto delle altre indennità se spettanti, dovrebbero essere rispettivamente, salvo interventi divini, di euro 124.079,77 per il Monsignore Santo Marcianò e di 107.722,42 per don Frigerio. Lo stipendio degli 8 colonnelli varia dai 69.131,27 ai 60.907,29 euro all'anno (vedi tabella). Quelli degli altri ufficiali variano da un massimo di 2.500 a 1.800 euro mensili. A questi importi si aggiungono le indennità di perequazione e di posizione (solo generali e colonnelli) e quelle previste per ciascuna forza armata o corpo armato presso il quale prestano servizio, come, ad esempio l'indennità di imbarco per quelli che predicano sulle navi della Marina militare o le indennità di marcia per quelli al seguito delle truppe in addestramento o, ancora, le indennità di missione per i servizi fuori sede o per le missioni all'estero e, cosa strana, anche gli straordinari per quelle attività svolte fuori dal normale orario di lavoro o nei giorni festivi come, ad esempio, la celebrazione della messa domenicale.
Lo Stato è laico e l'intesa sarà un bluff perché “pecunia non olet”. La questione cappellani militari rappresenta un simbolo della battaglia per la laicità dello Stato che dura ormai da oltre trenta anni. Una situazione che in un Paese civile quale è l'Italia non può più essere tollerata. Lo scorso 15 marzo 2015 il portavoce della sala stampa vaticana annunciava trionfante l'interesse della Chiesa a definire la questione dei Cappellani attraverso una commissione bilaterale che in breve, di li a poco, avrebbe iniziato i suoi lavori per definire la questione. Il “di li a poco” è durato quasi un anno e dal 16 gennaio scorso la commissione bilaterale, Chiesa - Stato, ha iniziato a riunirsi per giungere alla stipula di quell'intesa da sempre mancante. I lavori procedono molto lentamente ma già nel mese di maggio il Vicario dell'Ordinario militare annunciava trionfalmente l'epocale riforma: meno generali e colonnelli. Secondo alcune fonti di stampa vicine alla Chiesa (Avvenire) dai 204 cappellani previsti dal Codice militare si dovrebbe passare a circa 160. In realtà è una riduzione che è solo apparentemente drastica e che altrettanto solo apparentemente produrrà degli effetti concreti. Secondo il numero due dei preti-soldato, il generale di divisione Angelo Frigerio, l'accordo in via di perfezionamento comporterà in futuro una spesa di soli 5 o 6 milioni di euro per i soli stipendi. Una riforma che sembra più un bluff, uno specchietto per le allodole, che è ben distante dalla pubblica promessa di rinunciare a soldi e gradi militari fatta più volte nel corso della trasmissione televisiva Le Iene e a Radio Radicale.
Rassegnamoci, continueremo a mantenerli. Ormai è chiaro che anche nell'attuale situazione di crisi economica gli italiani dovranno continuare a farsi carico del mantenimento dei Cappellani militari e delle loro future abbondanti pensioni. Proprio riguardo al trattamento pensionistico corrisposto dallo Stato ai cappellani cessati dal servizio fu lo stesso Ministro della difesa nel 2012, rispondendo ad una interrogazione dei soliti radicali anticlericali, a dire di non conoscere l'ammontare della spesa previdenziale ma che da una stima fatta dall'amministrazione militare ogni ex cappellano militare percepirebbe una pensione di 43.000 euro lordi all'anno. Il primo agosto ho visto la solita fila di anziani davanti all'ufficio postale, alcuni di loro già dalle 6 del mattino attendevano l'apertura per prelevare quelle poche centinaia di euro di pensione sociale e finalmente potersi concedere il lusso di poter fare la spesa, magari compreranno un po di carne di seconda scelta o forse anche questo mese vi rinunceranno per pagare qualche bolletta arretrata.