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Canzone e video su Youtube per "i ragazzi del processo Aemilia", così un neomelodico esalta la 'ndrangheta

Attraverso le canzoni di 'ndrangheta, il potere della criminalità organizzata – già in sé assai pericoloso – diventa qualcosa di molto peggio: diventa un simbolo

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   
Canzone e video su Youtube per 'i ragazzi del processo Aemilia', così un neomelodico esalta la...

A Polsi, nei giorni che celebrano la Madonna della Montagna, le bancarelle che vendono i cd – e, in alcuni casi, persino le musicassette – con i “canti di malavita” sono tra le più diffuse. Non è un caso che nei primi giorni di settembre, in quel luogo che si inerpica in Aspromonte, divenuto simbolo della ‘ndrangheta, quegli articoli vadano a ruba. La Madonna di Polsi è qualcosa in più di una semplice “protettrice”. E i canti rivolti a essa, talvolta strumentalizzati a logiche criminali nascondono al proprio interno un significato che, a un’attenta analisi, va anche oltre la devozione manifestata sic et simpliciter.

Non deve dunque sorprendere la realizzazione di una canzone dedicata ai detenuti del processo “Aemilia”, la più grande inchiesta contro la 'ndrangheta radicata nel Nord Italia. L'idea è del cantante neomelodico Gianni Live e il brano, accompagnato con un videoclip pubblicato su YouTube, si chiama “Pe' guagliune 'e l'Aemilia”.

Un attacco frontale ai pentiti, la solidarietà ai detenuti e alle famiglie, contro chi "ha 'mmescato 'a bugia ccu 'a verità" (ha mischiato la bugia con la verità). L’astio, l’odio e la voglia di vendetta nei confronti degli “spioni” è, infatti, un sentimento comune a tutte le organizzazioni criminali. L’omertà è un valore generale, un modello ideale di comportamento del vasto universo criminale.

Il testo della canzone, in tal senso, è molto esplicito: "Nui ca ci mettimmu 'o core dinta 'e lettere... arret' a 'sti cancelli pensann' 'a liberta'" (Noi che mettiamo il cuore dentro le lettere...dietro a questi cancelli pensiamo alla liberta'), quindi l'attacco al processo: "Ppe colpa d'u pentito nui stamm'a pava'... int'a stu processo Aemilia 'ncuollo a nui hanno raccuntato nu par 'e strunzate... c'hanno cundannat'" (Per colpa di un pentito noi stiamo pagando dentro a questo processo Aemilia addosso a noi hanno raccontato un paio di stronzate ci hanno condannato").

Così come sono esplicite anche le immagini del video, con la sentenza del processo e la reazione dei familiari dei detenuti condannati, quindi le immagini dell'operazione con cui i Carabinieri chiusero il cerchio, a gennaio 2015, intorno ad oltre trecento persone accusate di aver fatto parte di un'organizzazione criminale, capeggiata dal boss di Cutro (in provincia di Crotone) Nicolino Grande Aracri, che spadroneggiava su mezza Calabria, parte dell'Emilia e della Lombardia e aveva ramificazioni all'estero.

Il cliché è quello di sempre. E può essere assimilato ai “corridos” in voga nel Centro e nel Sud America, soprattutto negli ambienti legati al narcotraffico. Modelle, ballerine, cantanti, attrici. Insieme a soldi, auto di lusso (rigorosamente blindate), droga, alcolici e soldi, appaiono sempre nei “corridos”, video che circolano su internet e che fungono da vera e propria propaganda dei cartelli della droga.

Nelle carte d’indagine dell’inchiesta “Pettirosso”, condotta contro la cosca Bellocco di Rosarno, una delle più potenti della ‘ndrangheta della provincia di Reggio Calabria, è possibile leggere anche un componimento in cui il protagonista è il boss Gregorio Bellocco. Un esempio classico, che testimonia come i capi e i semplici affiliati si sentano, effettivamente, sotto l’ala protettrice di Dio, anche nell’eterna lotta contro magistratura e forze dell’ordine. In questo caso, la canzone è il racconto di una fuga, avvenuta nel 2003, allorquando i carabinieri fanno irruzione in un bunker situato ad Anoia, in provincia di Reggio Calabria: cercano proprio Gregorio Bellocco, che, però, riesce a fuggire in maniera rocambolesca. I particolari, fisici ed emotivi, della fuga, con tanto di evocazioni al Cielo, vengono cristallizzati in “Circondatu”. Bellocco verrà arrestato due anni dopo, nel 2005: all'interno del suo covo verrà ritrovato un compact disk dal titolo "Penzeri di nù latitanti".

Dopo la letteratura e il cinema, dunque, anche la musica diventa veicolo dei (dis)valori della criminalità organizzata: "Da sempre la 'ndrangheta si serve di canzoni, proverbi, codici per diffondere le proprie leggi e i propri disvalori. [...] Strumentalizzando il linguaggio del popolo, al solo fine di potersi meglio confondere e di ottenere un più facile consenso" scrivono Nicola Gratteri e Antonio Nicaso nel proprio libro "Fratelli di sangue". E' qualcosa che probabilmente va ben oltre le ormai celeberrime canzoni neomelodiche in voga soprattutto in Campania.

Attraverso le canzoni di 'ndrangheta, il potere della criminalità organizzata – già in sé assai pericoloso – diventa qualcosa di molto peggio: diventa un simbolo.

La mitizzazione dell'organizzazione criminale, l'affiliazione, l'omertà, la convinzione di essere investiti di una protezione del Cielo, l'odio nei confronti delle forze dell'ordine e delle Istituzioni in generale e, ancora, il "codice d'onore" da rispettare per guadagnarsi il "rispetto". Le canzoni di 'ndrangheta rappresentano uno strumento prezioso per la sopravvivenza e per il rafforzamento dell'organizzazione criminale. La 'ndrangheta ruba simboli, ruba credenze, ruba riti e usa tutto ciò per creare una propria identità culturale, per diventare affascinante, creare consenso presso l'opinione pubblica e legittimare il proprio controllo del territorio.

In un’altra inchiesta contro le cosche di ‘ndrangheta, denominata “All inside”, emerse come gli uomini e le donne della famiglia Pesce, appartenente al gotha della criminalità organizzata calabrese, comunicassero con i detenuti (ricevendo anche messaggi dagli stessi) attraverso la trasmissione di determinate canzoni.

Sono quelle musiche, ma, soprattutto, quelle parole che contribuiscono a creare quell'aura di mistero e di fascino attorno alla 'ndrangheta. Quelle musiche e quelle parole che rendono la criminalità organizzata calabrese qualcosa di ben diverso rispetto alle altre organizzazioni criminali, una vera e propria "setta", in cui anche i "canti di malavita" rappresentano quasi una formula di iniziazione (o di rinnovamento del rito) per boss e affiliati. "Sangu chiama sangu", "I cunfirenti", "Omertà", "Cu sgarra paga", "Appartegnu all'onorata", "Ergastulanu", "Mafia leggi d'onuri". Sono solo alcuni dei titoli di un genere musicale assai particolare.

Alcuni anni fa, due persone sono state anche condannate dal Tribunale di Reggio Calabria per le minacce agli attivisti dell'ex Museo della 'Ndrangheta (oggi Osservatorio sulla 'ndrangheta). Nel maggio 2012 i due si sarebbero presentati presso la sede del Museo dichiarandosi "autore" e "manager-produttore" dei cd "I canti di malavita" per chiedere maggiori informazioni sull'utilizzo che il Museo della 'ndrangheta fa delle canzoni all'interno di laboratori didattici per lo studio del linguaggio della 'ndrangheta, rivendicando esplicitamente i propri diritti d'autore per l'uso delle loro opere.

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   
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