[Il caso] Il cimitero dei feti e la rabbia di M.: "Mio figlio sepolto senza il mio consenso e con il mio nome sulla croce"
Un post su Facebook che diventa virale e la denuncia sui "giardini degli angeli" di Roma. "Violata la mia privacy. Il simbolo cristiano non mi appartiene". Il responsabile del servizio inumazioni di Ama Cimiteri spiega: "Abbiamo sempre fatto così, nessuno si è mai lamentato"
![[Il caso] Il cimitero dei feti e la rabbia di M.: 'Mio figlio sepolto senza il mio consenso e con il mio nome sulla croce'](/export/sites/notizie/.galleries/19/cimitero-croce11.jpg_997313609.jpg)
M. è una giovane donna come tante che a un certo punto della sua vita rimane incinta. Ma, come a volte accade, qualcosa va storto e perde il bambino. L'aborto terapeutico al quale si è sottoposta la lascia stravolta, ferita anche nell'anima. Tanto che alla richiesta dei medici sulla volontà di seppellire il feto, lei risponde di non volersene occupare. Mette le firme di rito e torna a casa, immaginiamo, a elaborare quello che è chiaramente un doloroso lutto. Il tempo passa e dopo qualche mese, nel ricevere "l'esito dell'esame istologico" e "pensando ai vari articoli sulle assurdità su sepolture di prodotti del concepimento", la assale un dubbio: che sarà stato del piccolo feto espulso dal suo corpo?
M., che vive a Roma, fa la sua meticolosa ricerca e sbatte contro una verità che la sconvolge: il suo feto è stato inumato al cimitero Flaminio, nell'apposita zona nota come "giardino degli angeli" - che rientra nei servizi di Ama Cimiteri Capitolini cosiddetti "per beneficenza" - e che sulla tomba è stata apposta una piccola croce bianca con una targhetta nera sulla quale è riportata "la data dell'espulsione" e il nome e cognome della madre, il suo. In barba a ogni tutela della riservatezza, viene da pensare.
La rabbia di M.
La giovane donna affida la sua indignazione per quella che considera "una palese violazione della sua privacy" a un post pubblicato sul suo profilo Facebook che nell'arco di poche ore diventa virale, totalizzando migliaia di visualizzazioni e condivisioni. E tanti sono i commenti - in particolare di donne che la sostengono - che inevitabilmente aprono un capitolo sulla indelicatezza di procedure burocratiche che, freddamente, vanno a scontrarsi con i sentimenti - anche i più profondi e intimi - delle persone.
Qui inizia una storia che si interseca con i dibattiti e le polemiche che sempre accompagnano ogni iniziativa, spesso strumentale quando non ideologica, volta a creare cimiteri per i "bambini mai nati". Tecnicamente feti frutto di aborti spontanei, terapeutici o di interruzioni volontarie di gravidanza, disciplinate dalla legge 194, intorno a cui si intrecciano annose battaglie civili e politiche.
"A questo punto mi sembrano ovvie le riflessioni su quanto sia tutto scandalosamente assurdo, su quanto la mia privacy sia stata violata - scrive Marta nel post -, su quanto affermare che 'ci pensa il comune per beneficenza' abbia in qualche modo voluto comunicare 'l'hai abbandonato e ci pensiamo noi'.... Ecco". E continua: "Potrei dilungarmi sulla rabbia e l'angoscia che mi ha provocato vedere che senza il mio consenso, altri abbiano seppellito mio figlio con una croce, simbolo cristiano, che non mi appartiene e con scritto il mio nome. No. Non lo faccio perché il disagio emotivo che mi ha travolto riguarda me e solo me".
Una foto, tante croci, nomi di donne
Nel post la donna pubblica la foto di un cimitero con tante croci bianche con nomi di donne. In quella in primo piano si legge il suo nome e una data: quella riportata nel certificato medico che accompagna il "prodotto abortivo", come lo chiama la legge. Il seppellimento dei feti è disciplinato dal Regolamento nazionale di Polizia mortuaria (Dpr 285/90) che stabilisce che quelli "di presunta età di gestazione dalle 20 alle 28 settimane complete e dei feti che abbiano presumibilmente compiuto 28 settimane di età intrauterina e che all'ufficiale di stato civile non siano stati dichiarati come nati morti, i permessi di trasporto e di seppellimento sono rilasciati dall'unità sanitaria locale". Su richiesta dei genitori, continua la legge, sono inumati nel cimitero anche quelli "di presunta età inferiore alle 20 settimane".
"Il nome della mamma per poter individuare il feto"
Se la norma è piuttosto generica e non esiste legge regionale alcuna che disciplini meglio la procedura, apprendiamo parlando con l'Ufficio inumazioni del Verano di Ama Cimiteri Capitolini che sovrintende ai due siti che ospitano il "campo feti" del Flaminio e del Laurentino (quest'ultimo inaugurato nel 2012 tra le polemiche dalla vicesindaca di Gianni Alemanno, Sveva Belviso ndr), che la procedura è proprio questa. "L'autorità sanitaria invia il feto con il certificato medico che riporta il nome della donna che lo ha espulso - spiega un responsabile a Tiscali News -. Noi lo inumiamo nel campo feti e mettiamo una croce bianca con la targhetta che riporta il nome della madre". La ragione è che "la madre o i genitori da un momento all'altro possono cambiare idea e decidere di seppellire il feto facendo il funerale. A volte capita". Poi aggiunge: "Il nome della madre e la data servono per individuarli con esattezza, laddove il feto non abbia un nome. E in questi casi il nome non c'è quasi mai".
Diritto alla riservatezza violato
La questione allora è se sia lecito che i nomi delle donne che si sono sottoposte a Ivg o aborto terapeutico o spontaneo siano lì, scritti a grandi caratteri, in un cimitero aperto al pubblico e non piuttosto tutelati dalla riservatezza, come forse dovrebbe essere. Su questo però, assicura l'addetto, "non ci sono mai state lamentele o problemi di sorta", anche se ammette che "ogni tanto esce un articolo che parla di questi particolari cimiteri e lì capiamo che la gente non sa che ci esistono". Ecco il punto: quello che non si vede non esiste, dice un detto popolare. Eppure, nell'era digitale, una soluzione che possa almeno tutelare la privacy sarebbe attuabile, con estrema facilità.
C'è poi l'altra questione sollevata da M. nel suo post: il "simbolo cristiano" imposto sulle tombe senza cognizione di chi siano i genitori e quale fede eventualmente professino, sempre che non siano atei. "Sì è vero - dice l'addetto del cimitero -, mettiamo in tutte le tombe una croce bianca, indistintamente". E se il feto fosse di una donna appartenente a un'altra religione, chiediamo. Ci pensa su, poi dice: "Lei ha ragione, ma non so che dirle: qui si è sempre fatto così".