Bullizzato ora aiuta i bulli, è la giustizia riparativa. In Sardegna un 13enne si riconcilia con loro e li aiuta nei compiti
Si tratta di un percorso di riabilitazione concordata che consente ai ragazzi di comprendere il vissuto reciproco ed entrare in un rapporto empatico gli uni con gli altri
“Carlo è un ragazzino di 13 anni che vive in un paesino della Gallura di 1.600 anime. Si è trasferito a vivere lì, nel paese natale del padre, mentre la madre è spagnola. Il papà però muore in un incidente stradale. Mamma e figlio restano, come stranieri”. Da quel momento per Carlo inizia l’inferno, fatto di prepotenze e prevaricazioni crescenti da parte dei compagni di scuola appena più grandi: inseguito, deriso, insultato, infine aggredito. Una storia di ordinario bullismo come purtroppo tante ce ne sono in Italia.
Con un particolare: il lieto fine, grazie ad un “accordo ripartivo”, un percorso di riabilitazione concordata che consente ai ragazzi di comprendere il vissuto reciproco ed entrare in un rapporto empatico gli uni con gli altri. Se ne è parlato nei giorni scorsi a Roma, nell’ambito del convegno “Incontrare la Giustizia, incontrarsi con la Giustizia” presso la Camera dei Deputati nel quale l’Autorità Garante per i diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza Filomena Albano ha presentato le raccomandazioni su “La mediazione penale ed altri percorsi di giustizia riparativa nel procedimento penale minorile”. E’ stata anche l’occasione per dare voce ai territori dove queste esperienze sono state già avviate, dal Nord al Sud Italia. E dove si rivela determinante la presenza delle istituzioni a tutti i livelli.
La vicenda di Carlo arriva ad una svolta, ad esempio, quando il “branco” decide di buttarlo giù dalla bicicletta per rubargliela. I vigili del paese assistono alla scena e subito fanno una segnalazione al Tribunale dei minori. Durante le indagini il pubblico ministero pensa alla mediazione.
La vittima accetta, come pure gli altri ragazzi. Nel corso della mediazione si è scoperto che i persecutori, da piccoli, a loro volta, avevano subito atti di bullismo. Alla fine “i ragazzi hanno scelto l’accordo ripartivo: gli ex bulli si sono impegnati per l’integrazione del tredicenne nel gruppo dei pari mentre Carlo, che è molto bravo negli studi, ha deciso di frequentare il doposcuola per aiutare i suoi compagni in difficoltà”, racconta Annina Sardara, la mediatrice del Centro per la mediazione pacifica dei conflitti di Sassari che si è occupata del caso.
“La mediazione penale consente un incontro che sembra impossibile, quello tra rei e vittime, aiutando le seconde a vedersi riconosciute, trovare ascolto, sostegno e una forma di riparazione” e permettendo ai bulli “di toccare con mano le conseguenze delle proprie azioni. Diventa luogo per la ricostruzione della fiducia” ha sottolineato la Garante. Durante il convegno sono state raccontate delle buone pratiche di giustizia riparativa che mostrano i frutti concreti che possono dare questi percorsi alternativi, dove al centro viene messo il processo di costruzione del dialogo.
Il 70% dei reati affrontati dal Centro di Sassari riguarda il bullismo e il cyberbullismo. Rientra in questa tipologia anche la storia di Laura, 12 anni, di un paese vicino Sassari: “Una ragazzina bella e dotata, che viene presa di mira dalle amiche, quando Laura, per altri impegni e interessi, si allontana da loro”. Le amiche per vendicarsi iniziano a mettere in giro voci sulla sua moralità ed infine creano un profilo falso su Facebook. Le persecuzioni non cessano nemmeno quando la ragazza cambia quartiere, anzi, come spesso capita in questi casi, l’escalation non si arresta e porta infine all’aggressione fisica. Scatta la denuncia da parte dei genitori: attraverso la mediazione le minorenni vengono quindi messe a confronto con la loro vittima, che in questo modo può raccontare il suo dolore che finalmente viene capito dalle altre ragazze.
Da Nord a Sud, sono tante le storie simili in cui la dinamica discriminatoria è stata disinnescata grazie ai percorsi di mediazione alternativi alla pena giudiziaria.
Alessandra Mercantini, del Servizio di giustizia riparativa e mediazione penale di Catanzaro, ha portato una testimonianza sulla mediazione nei reati di detenzione e spaccio di stupefacenti. La prima storia riguarda due minori non accompagnati, di circa 17 anni, uno del Gambia e l’altro della Costa d’Avorio. Erano da poco giunti in Italia quando sono stati fermati. In questo caso non c’è stata una mediazione classica vittima-carnefice, ma il confronto ed il percorso di riabilitazione sono partiti dalla creazione di una relazione di interscambio proprio con i i carabinieri che avevano effettuato il fermo.
L’incontro avvicina molto le posizioni inizialmente distanti. Partendo dai momenti concitati del fermo, la conversazione si è spostata sulle difficoltà di questi ragazzi – essere soli, non riuscire a farsi comprendere, la difficoltà ad apprendere nuove regole – per poi finire a parlare dei loro talenti, della passione del calcio in particolare, pensando a partite di pallone tra carabinieri e giovani. “A completamento dell’incontro si è deciso di andare nel Bar centrale del paese a bere tutti insieme, carabinieri e minori stranieri non accompagnati, il caffè della pace”. Forse non basterà, ma è certamente un inizio.