[Il caso] Le Br 41 anni dopo provano a spiegare perché non usarono le carte di Aldo Moro
Lo avevano strombazzato durante il sequestro ma poi i verbali non furono mai divulgati. Un ex brigatista indica diverse cause. L'esigenza di non svelare la scoperta della rete Gladio e quella di non allarmare possibili bersagli

"Le Br avevano deciso di utilizzare parti del Memoriale come materiale da inserire in eventuali rivendicazioni di attentati contro personalità, citate da Moro proprio nella sua difesa scritta. Circostanza che spiega, ulteriormente, perché il suo contenuto non poteva essere anticipato senza mettere in allarme i futuri obiettivi e, dunque, pregiudicare gli sviluppi successivi dell'azione brigatista". Quarantun anni dopo arriva finalmente, dall'ambiente brigatista, una spiegazione a uno dei più evidenti “buchi” nella ricostruzione del sequestro e dell'uccisione del presidente democristiano. Perché le Brigate rosse non diffusero, come annunciato nel corso dei 55 giorni che sconvolsero l'Italia, i verbali del “processo popolare” che si concluse con la condanna a morte del leader dc?
Prova a rispondere l'ex Br Paolo Persichetti in un intervento, che sarà ospitato nel numero della rivista 'Écritures', dedicata agli 'Anni Settanta in Italia', in uscita a dicembre 2019. Alla vigilia dell'anniversario si torna a parlare del Memoriale. Persichetti del caso Moro si è occupato da ricercatore indipendente, pubblicando con i due storici Marco Clementi ed Elisa Santalena 'Brigate rosse - Dalle fabbriche alla campagna di primavera' (DeriveApprodi)', il primo volume di una trilogia che per la mole di documenti e testimonianze inedite si candida a essere un'opera imprescindibile per la storia della lotta armata in Italia.
Persichetti e le defaillance delle Br
Persichetti all'epoca dei fatti era giovanissimo. Aveva appena 15 anni. Appartiene infatti all'ultima generazione brigatista, quella che ha animato la scissione dell'Unione dei comunisti combattenti. La sua corrente voleva ricondurre il partito armato sul terreno della lotta politica, in contrasto con la componente maggioritaria del Partito comunista combattente. Arrestato, fu condannato per concorso morale nell'omicidio del generale Giorgieri. Riuscì a fuggire in Francia dove aveva avviato una promettente carriera accademica, stroncata dall'estradizione nel 2002, l'unica di quegli anni. Persichetti ha "appreso durante una conversazione tenuta con Lauro Azzolini che la divulgazione della memoria difensiva di Moro rientrava nel proseguimento della 'Campagna di primavera' che consisteva nello sviluppare il contenuto del Memoriale per preparare nuove azioni". Il primo colpo al progetto di rilancio arrivò a metà maggio con la scoperta della tipografia di via Pio Foà 31 e dell'appartamento di via Palombini 19, "due basi importanti della struttura logistica della colonna romana, adibite per il lavoro di comunicazione e propaganda. Questa prima perdita, pochi giorni dopo la riconsegna del corpo di Moro in via Caetani, aveva obbligato le Br a rivedere tempi e modi della pubblicazione dell'interrogatorio". Il progetto offensivo "fu poi stroncato dal durissimo colpo inferto alla colonna milanese" con il blitz nel covo di via Montenevoso in cui furono scoperte in due tranche le carte del memoriale Moro.
Il caso Gladio e i due dossier
Persichetti prova a spiegare anche la mancata divulgazione di quella che era in tutta evidenza la più clamorosa rivelazione di Moro ai suoi carcerieri: l'esistenza in Italia delle rete anticomunista Stay behind, poi divenuta famosa come Gladio: ''Le conferme cercate sulla possibile presenza di eventuali piani antiguerriglia della Nato non rientravano nella sfera della propaganda ma in quella dell'utilizzo politico-militare da parte dell'organizzazione'' e per questo non vennero rese pubbliche dalle Br né rientrarono nel materiale dattiloscritto ritrovato nel 1978 nel covo di via Monte Nevoso. Per questo motivo, secondo Persichetti, le risposte vennero invece ritrovate nelle fotocopie dei manoscritti 'riapparsi' nell'intercapedine dell'appartamento di via Monte Nevoso il 9 ottobre 1990.
''In linea con la cultura politica e operativa di una organizzazione rivoluzionaria come le Br - scrive Persichetti - queste informazioni servivano a rafforzare le conoscenze interne del gruppo, per strutturarne meglio l'organizzazione ed individuare efficaci obiettivi da colpire. Pertanto l'interesse mostrato sull'argomento, come le eventuali informazioni ottenute, dovevano rimanere riservate per non allarmare l'avversario, fornirgli elementi di vantaggio permettendogli di predisporre le necessarie contromisure''.
L'intervista postuma di Scalfari
E' un mito che non affonda nella realtà quello di un Aldo Moro, impegnato a creare le condizioni politiche dell'alternanza, in vista di una 'terza fase' che avrebbe permesso al Pci di salire al governo senza scosse di sistema. Paolo Persichetti ricostruisce passo per passo quella che chiama la ''narrazione postuma'' dello statista Dc, ''largamente accettata e condivisa nei decenni successivi. Di fronte alle continue indiscrezioni sui contenuti delle 'confessioni' di Moro, il governo Andreotti decise di divulgare la parte del dattiloscritto che riguardava la memoria difensiva". "Quando fu chiaro che ciò sarebbe avvenuto -afferma Persichetti - Scalfari bruciò sul tempo tutti presentando, il 14 ottobre, tre giorni prima della pubblicazione del Memoriale, la sua intervista postuma. Il testo avrebbe fondato la narrazione futura di un altro Aldo Moro, trasfigurandone non solo il testamento scritto durante la prigionia, ma anche la condotta politica tenuta durante le trattative per il varo del nuovo governo Andreotti, quando con grande abilità aveva tenuto testa a tutti: a chi nella Dc non voleva il Pci nell'area di governo, ai dubbi degli americani, alle richieste iniziali del Pci, rimasto ancora una volta fuori dal governo, chiudendo la crisi con l'ennesimo monocolore democristiano''. Rendendo pubblica questa conversazione, il 14 ottobre 1978, Scalfari ''consegnava al Paese quello che avrebbe dovuto essere il testamento politico di un Moro libero nei suoi intendimenti'', un ''pensiero autentico opposto alle parole recluse apparse nelle lettere rese note durante il sequestro oppure presenti nel dattiloscritto appena ritrovato in via Monte Nevoso”.
Le ragioni del silenzio
Persichetti si chiede “per quale motivo un messaggio carico di un tale significato politico e morale non fosse stato rivelato nei mesi precedenti, all'indomani della sua morte, nelle settimane che seguirono il cordoglio e il lutto''. L'ex Br ricorda peraltro come, ''durante la sua prima esistenza'', Moro fosse ''molto criticato anche a sinistra e preso di mira da quegli ambienti intellettuali più impegnati che vedevano nella sua figura politica l'essenza democristiana dell'occupazione del potere. Un'immagine diametralmente opposta a quella diffusa dopo la sua morte”.