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Lo spazzino con le copie, la bistecca in redazione e le tre auto a disposizione. La dolce vita del faraone del Sole 24 Ore

Ora che “l’impero” di Roberto Napoletano è caduto saltano fuori anche le spese faraoniche del direttore, tutte in un dossier passato di mano in mano tra i vertici aziendali

di Giuseppe Caporale   
Lo spazzino con le copie, la bistecca in redazione e le tre auto a disposizione. La dolce vita del...

Dai due autisti con tre auto a disposizione (tra cui una per il figlio) alla bistecca in redazione, fino al giallo sulle copie dei libri buttati nella spazzatura (curiosamente quasi con lo stesso modus operandi della vicenda copie digitali). L’era di Roberto Napoletano al Sole 24 Ore si chiude portandosi dietro una serie di strascichi non solo giudiziari, con il suo nome sul registro degli indagati per false comunicazioni sociali. Ora che “l’impero” durato oltre sei anni è caduto, saltano fuori anche le spese faraoniche del direttore, tutte raccolte in un dossier passato di mano in mano tra i vertici aziendali.

Lo spazzino e le copie nell’immondizia

Si racconta ad esempio di una scena surreale che si presentò davanti allo spazzino dell’Amsa di Milano, una mattina della primavera del 2014, in Piazza Gae Aulenti. Nel cestino che doveva svuotare trovò molte copie di libri. Tutti nuovi, freschi di stampa, intonsi. Entrò allora nella libreria Feltrinelli lì davanti, a pochi metri. Consegnò la pila di libri al cassiere, segnalando che forse c’era stato un errore; che magari qualcuno, per sbaglio, aveva buttato molte copie. Erano tutte del medesimo libro: “Viaggio in Italia” di Roberto Napoletano, appena pubblicato. Un imbarazzato cassiere ritirò le copie. E poi andò subito a riferire l’accaduto al responsabile del negozio. La cosa era ben strana, pensava tra sé il cassiere. Perché quelle copie erano state comprate lì, poco prima. E, spiegò al suo superiore, forse proprio dallo stesso autore. Il commesso avrebbe riconosciuto l’ormai ex direttore del Sole 24 Ore, perché nel risvolto di copertina del libro, dove si trova il prezzo, c’era la sua foto. Comprarle per poi buttarle nel cestino? A quel punto, lo stesso manager della libreria, tra il curioso e l’insospettito, chiamò i suoi colleghi delle varie Feltrinelli di Milano. Sembra che il giochino fosse stato ripetuto anche altrove. Nel caso, pagava con i suoi suoi soldi? Come faceva il “furbetto del quartierino” Stefano Ricucci che comprò migliaia di copie del famoso calendario della soubrette Anna Falchi, allora sua compagna, e le nascose in uno scantinato. Oppure con la carta di credito del giornale? Resta un mistero, in ogni caso, pare che la cosa non piacque per niente alla Rizzoli, la casa editrice del libro.

La bistecca calda in redazione

Le segretarie di direzione si ricordano ancora quando sbarcò in Via Monte Rosa, nel 2011, e a pranzo ordinava bistecche al Ribot, storico ristorante di Milano, a San Siro, famoso per la carne, pretendendo che arrivassero calde nella sua stanza. Per testarne il tepore, infilava, si dice, il dito nelle pregiate costate e fiorentine, e, trovandole non di suo gradimento (d’altronde dovendo consegnarle dal ristorante fino alla sede del giornale, un pochino si raffreddavano), le rispediva indietro. E mentre la redazione veniva messa a dieta, lui non badava a spese. Per tagliare i costi, e fronteggiare la crisi, il giornale aveva abolito tutti i viaggi in aereo tra Milano e Roma. Solo Italo, per risparmiare. Per lui invece tanti biglietti come se piovesse, come raccontato proprio su tiscali.it in un retroscena curato da Monica Setta.

Le tre auto e il dossier di Del Torchio che ora vuole le scuse

E anche la vicenda delle tre auto con due autisti (una a Roma, una a Milano e l’altra a disposizione del figlio) è contenuta nel dossier che fece predisporre l’ex amministratore delegato Gabriele Del Torchio. Il manager ex Alitalia ed ex Ducati, fama di duro e di risanatore, è durato solo sei mesi nel giornale salmonato. “Ho fatto solo il mio dovere, nell’interesse dei risparmiatori e dei dipendenti dell’azienda” ripete ai suoi stretti collaboratori Del Torchio. Certo è che quando un amministratore delegato di fresca nomina che sta facendo bene il proprio lavoro se ne va, significa che nell’azienda c’è un malessere profondo e che è in atto nella compagine azionaria uno scontro di potere tra fazioni alle quali, prima ancora che il destino del giornale, prima ancora che la sua indipendenza e la sua autorevolezza, interessa poterlo controllare e pilotare. “Qualcuno dovrebbe chiedermi scusa” ripete “Quello che sta emergendo dalle indagini è ben peggio di quanto avevo ipotizzato. Figuratevi che il presidente di Confindustria in un consiglio d’amministrazione ebbe il coraggio di dire che io stavo esagerando. Che stavo facendo inutile allarmismo. Il nuovo consiglio non solo ha confermato la mia impostazione, ma con il passare dei mesi si è pure aggravata”. Sul perché degli sconquassi dei conti del quotidiano preferisce non andare troppo lontano con le ipotesi. La sua teoria è molto semplice: “bulimia per la ricerca continua d’incremento delle copie, anche se andava a discapito del conto economico del giornale. Cui prodest? Un ritorno di immagine per il direttore, forse per ego. Valorizzazione della propria persona. Per arrivare al punto di dire che avevamo più copie del Financial Times ci vuole un bel coraggio”.

 

di Giuseppe Caporale   
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