La Bicocca "censura" le lezioni su Dostoevskij, lo scrittore Nori: "Decisione ridicola". Poi la marcia indietro

L'Università milanese torna sui suoi passi e decide di svolgere il corso sullo scrittore russo. La denuncia del docente innesca la polemica. Il precedente della mostra fotografica annullata a Reggio Emilia

Lo scopo era evitare "qualsiasi forma di polemica" in un momento delicato. Sospendere con questa motivazione il corso in quattro lezioni da un'ora e mezza ciascuna su uno dei più grandi scrittori di tutti i tempi, Fëdor Michajlovič Dostoevskij, è sembrata una scelta necessaria, visti i tempi. La denuncia dello scrittore e docente Paolo Nori, sul suo profilo Instagram, ha suscitato prevedibili polemiche. Che però, in questo caso, hanno portato l'Università pubblica milanese a più miti consigli e alla marcia indietro: il corso su Dostoevskij si farà. A renderlo noto è un comunicato della stessa istituzione accademica, che "è un ateneo aperto al dialogo e all'ascolto anche in questo periodo molto difficile che ci vede sgomenti di fronte all'escalation del conflitto". L'ateneo "conferma che tale corso si terrà nei giorni stabiliti e tratterà i contenuti già concordati con lo scrittore. Inoltre - si legge ancora -, la rettrice dell'Ateneo incontrerà Paolo Nori la prossima settimana per un momento di riflessione".

La denuncia di Neri su Instagram

Riavvolgiamo il nastro. "Dovevo cominciare mercoledì un corso di quattro lezioni sui romanzi di Dostoevskij, un’ora e mezzo ciascuno, gratuito e aperto a tutti - racconta Neri in un video postato su Instagram -. Poi ho ricevuto questa mail: 'Caro professore, il prorettore alla didattica ha comunicato la decisione presa con la rettrice (Giovanna Iannantuoni, ndr) di rimandare il percorso su Dostoevskij. Lo scopo è evitare qualsiasi forma di polemica, soprattutto interna, in questo momento di forte tensione'". 

Blogger e autore di circa 50 titoli, docente al Dipartimento di studi umanistici Iulm dove insegna traduzione editoriale della saggistica russa, Nori si diceva "incredulo", bollando la decisione di cancellare il mini corso sul grande scrittore russo come "ridicola". In un intervento sul social, dove trasmette in questi giorni riflessioni sul tema "la paura che fa la Russia", il professore cita l'editoriale del direttore della Novaya Gazeta (il giornale indipendente russo per il quale lavorava Anna Politovskaija, diretto dal premio Nobel per la pace 2021 Dmitry Muratov ndr) che annuncia che il numero successivo del quotidiano verrà pubblicato sia in russo che in ucraino, perché "oltre ad essere addolorati, abbiamo e ho anche vergogna". Parole a cui segue un appello per un "movimento globale" contro la guerra.

"Non solo essere un russo vivente è una colpa oggi in Italia - nota Nori -, ma anche essere un russo morto. Perché quando era vivo nel 1849 (Dostoevskij ndr) è stato condannato a morte perché aveva letto una cosa proibita". Ed è tra le lacrime che lo scrittore spiega che "quello che sta succedendo in Ucraina è una cosa orribile, ma anche molte cose che stanno succedendo in Italia sono ridicole". Il suo giudizio non fa sconti: "Un'Università italiana che proibisce un corso su Dostoevskij per la situazione attuale è una cosa a cui non riesco a credere. Secondo me bisognerebbe parlare di più di Dostoevskij in questo momento. L'interesse intorno a queste figure è grande", e non è un caso. Tanto che, sottolinea, "l'ispiratore dei movimenti non violenti, il primo, è un signore che si chiama Lev Nikolaevic Tolstoj, che era molto ammirato da Gandhi". Ed era russo.

La mostra di fotografia censurata

In questo caso l'Università ha saputo andare oltre lo smarrimento iniziale e tornare sui suoi passi. Ma quanto accaduto qualcosa racconta sulla "debolezza" politica e culturale dell'Accademia italiana, incapace a volte di porsi al di sopra degli avvenimenti storici, seppur emotivamente drammatici, che l'attualità ci consegna. Anzi ancor di più, vien da pensare, dovrebbero farsi interpreti promotori del dibattito, fornendo strumenti e importanti chiavi interpretative. L'episodio non è isolato. Fa certamente il paio con il caso del talentuoso fotografo russo, Alexander Gronsky, chiamato a partecipare al Festival Fotografia di Reggio Emilia con la mostra "Sentieri di ghiaccio" in rappresentanza della Russia - Paese nel quale vive dall'età di 18 anni - annullata allo scoppiare delle ostilità. 

"Era prevedibile. Capisco perfettamente che ora sia assolutamente inappropriato collaborare con qualsiasi istituzione russa. Dobbiamo fermare la guerra", ha commentato il fotografo nell'apprendere la notizia. Nei giorni scorsi Gronsky ha partecipato alle proteste di piazza a Mosca contro la decisione di Putin di muovere guerra contro l'Ucraina. Arrestato dalla polizia moscovita durante le manifestazioni, l'artista è stato tenuto in carcere per 12 ore e poi rilasciato. 

"Purtroppo - è stata la spiegazione dei promotori del Festival - non sussistono più le premesse e le condizioni per portare a termine il lungo lavoro dei mesi scorsi. L'arte e la cultura dovrebbero sempre costruire ponti e non innalzare muri; tuttavia, non possono ritirarsi in torri d'avorio: c'è un tempo per affermare con fermezza il diritto dei popoli a vivere in pace e un tempo per aprirsi al dialogo e al confronto, senza che violenza e morte siano invitate al tavolo". Resta la sensazione che quegli scatti sarebbero stati piuttosto un messaggio positivo.

Guerra e cultura

La domanda che resta senza risposta è fino a che punto debba muoversi il "boicottaggio" contro la Russia e se la cultura, in tutte le sue forme, debba essere tirata dentro questo pericoloso corto circuito. La libera espressione che sottintende alla pace non può prescindere dalla vicinanza tra i popoli, dall"empatia informata", la conoscenza dell'altro necessaria per porne le basi. La domanda successiva è se interrompere manifestazioni sportive, artistiche e culturali in generale sia funzionale alla costruzione dei ponti piuttosto che dei muri.

Non è un caso che faccia discutere la rinuncia della soprano Anna Netrebko all'esibizione alla Scala con una nota polemica rivolta alla direzione del celebre teatro. "Costringere a denunciare la terra d’origine non è giusto", ha detto l'artista dopo aver postato una fotografia che la ritrae insieme al direttore d'orchestra Valery Gerviev - poi rimossa -, amico personale di Putin e invitato inutilmente dal sindaco di Milano, Beppe Sala, a prendere le distanze dalla guerra.