[L’analisi] Il lato oscuro di Berlusconi. Da vittima di Cosa Nostra al rapporto opaco tra accuse di pizzo, soldi e paura di rapimenti
È vero quando Berlusconi dice che lui, i figli e le loro aziende sono state vittime della mafia? Da un certo punto di vista non c’è dubbio. Quando all’inizio degli anni Settanta - il racconto è del pentito Di Carlo - Dell’Utri organizza l’incontro tra il Cavaliere e Stefano Bontade, il capo di Cosa nostra. Erano anni terribili per gli industriali lombardi. Mafiosi e ndranghetisti, calabresi e siciliani sequestravano industriali e figli di industriali. Il Cavaliere Berlusconi mandò i figli a Parigi e rafforzò le misure di sicurezza. Questo era il clima, e dall’incontro con Bontade uscì la decisione che la presenza ad Arcore di Vittorio Mangano lo “stalliere” doveva rappresentare il segnale che quel territorio era sotto la protezione di Cosa nostra
E chi se lo dimentica quel 30 gennaio di 22 anni fa, sì del 1996. Era tarda mattinata. L’uomo per tre quarti calvo uscì dall’aula bunker del supercarcere di Catania, protetto dalla sua scorta. Aveva appena testimoniato al processo «Orsa Maggiore», contro Cosa nostra catanese, per l’episodio dell’incendio ai locali della «Standa», nella centralissima via Etnea.
Fuori dall’aula bunker, il Cavaliere Silvio Berlusconi fu circondato da giornalisti fotografi e telecamere. Quando un «gelato», un microfono della Rai, lo colpì involontariamente sulla bocca, il Cavaliere sbottò: «Cribbio, dio santo, sui denti me l’ha dato. Stia attento...». Indimenticabile, quella scena, ma soprattutto quella sua testimonianza al processo.
Fu memorabile la sua resistenza alle domande del pm: «Noi non abbiamo mai pagato il pizzo. Noi non abbiamo mai ricevuto richieste estorsive». Disse più o meno così, Silvio Berlusconi. La «sua» Standa era una isola felice, mentre la «Rinascente» della Fiat, in quello stesso periodo, sempre a Catania, pagava i mafiosi. L’amministratore delegato del gruppo, Giuseppe Tramontana, collaborò con la Procura di Catania dando indicazioni precise anche sui conti estero su estero attraverso cui avvenivano i pagamenti.
Ma lui no. Silvio Berlusconi caparbiamente negava di pagare Cosa nostra. Nella conferenza stampa successiva alla sua testimonianza nell’aula bunker, Berlusconi spiegò perché la sua Standa non si costituì parte civile al processo contro i boss di Cosa nostra: «L’assicurazione ci risarcì del danno. Dunque semmai l’assicurazione si sarebbe dovuta costituire parte civile. E poi l’avvertimento alla base di un atto estorsivo in questo caso produsse l’annientamento totale. Insomma, bruciata la casa, non ci fu più l’oggetto della estorsione».
È sempre stato un grande affabulatore, Berlusconi. In realtà, mentre Catania processava Cosa nostra, Palermo e poi Firenze indagavano su Berlusconi e Dell’Utri. E, si diceva all’epoca, che quel negare i rapporti con la mafia anche se da vittima di una estorsione, rientrata in una politica di difesa processuale. Ma questa è cronaca giudiziaria che ha riempito centinaia di faldoni e chilometri di carta stampata.
È vero quando Berlusconi (tre giorni fa) dice che lui, i figli e le loro aziende sono state vittime della mafia? Da un certo punto di vista non c’è dubbio. Quando all’inizio degli anni Settanta - il racconto è del pentito Di Carlo - Dell’Utri organizza l’incontro tra il Cavaliere e Stefano Bontade, il capo di Cosa nostra. Erano anni terribili per gli industriali lombardi. Mafiosi e ndranghetisti, calabresi e siciliani sequestravano industriali e figli di industriali.
Il Cavaliere Berlusconi mandò i figli a Parigi e rafforzò le misure di sicurezza. Questo era il clima, e dall’incontro con Bontade uscì la decisione che la presenza ad Arcore di Vittorio Mangano lo “stalliere” doveva rappresentare il segnale che quel territorio era sotto la protezione di Cosa nostra. Gli affari, le società scatole cinesi, i soldi di Cosa nostra investiti nella Fininvest. E poi il riciclaggio, il pizzo per le antenne Fininvest. Se ne è discusso per anni negli uffici delle Procure, nei corridoi dei Tribunali, nelle redazioni dei giornali, senza mai venirne a capo.
La prima volta di Forza Italia fu un manifesto contro il potere dei pm e contro i pentiti. In Sicilia Berlusconi fece il pieno dei voti. Quanti sospetti di collusioni. Non dei singoli signor nessuno della provincia, dei paesi ad alta intensità mafiosa. Ma proprio di Berlusconi e Dell’Utri. Poi Dell’Utri è stato condannato definitivamente a sette anni (che sta scontando in carcere) per i suoi rapporti con Cosa nostra.
C’è uno striscione comparso nella curva dello stadio di Palermo il 23 dicembre del 2002, che potrebbe raccontare dei rapporti (passati, interrotti) tra Berlusconi e Cosa nostra. Intendiamoci potrebbero essere stati rapporti “platonici” (Cosa nostra diede indicazione di votare Forza Italia). «Uniti contro il 41 bis. Berlusconi dimentica la Sicilia». Insomma, Berlusconi traditore. Ma poi il cambiar pelle di Cosa nostra, la sua crisi, il suo inabissamento vorrà pure dire qualcosa. O meglio, avrà pure avuto delle conseguenze nella ridefinizione dei rapporti tra mafia e politica?