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Alex Bellini: "Dal Gange all'Oceano. Farò il tragitto che la plastica non riciclata fa fino al mare"

Secondo puntata della nostra intervista all'esploratore che a San Francisco sta ultimando i preparativi per la sua partenza alla volta della grande isola di plastica al centro dell’Oceano Pacifico

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Alex Bellini: 'Dal Gange all'Oceano. Farò il tragitto che la plastica non riciclata fa fino al mare'

Il mare sta morendo, questa è una vera emergenza di cui bisogna prendere atto”.  E’ l'ultimo appello lanciato dall’esploratore Alex Bellini, che a  San Francisco sta ultimando i preparativi per la sua partenza alla volta della grande isola di plastica al centro dell’Oceano Pacifico, il Great Pacific Garbage Patch.

Dopo aver navigato il Gange su una zattera costruita con materiale di recupero per mostrare lo stato di degrado di uno dei fiumi più inquinati al mondo, Bellini si appresta ora a ripercorrere il tragitto che ogni pezzo di plastica non riciclata fa fino al mare, per giungere ad accumularsi nei punti di convergenza delle principali correnti oceaniche.  Sono cinque i grandi agglomerati al centro degli oceani, di cui il più imponente si estende per un milione e seicentomila chilometri quadrati tra le sponde della California e le isole Hawaii

Questa è la meta dell’esploratore italiano, che proprio a S. Francisco sta ultimando i preparativi della sua imbarcazione per una navigazione a remi della durata approssimativa di 40 giorni. La missione fa parte del progetto 10 rivers 1 Ocean, che partendo dai 10 fiumi più inquinati al mondo vuole risalire all’origine dell’inquinamento nei mari.

Alex, i 10 fiumi che hai scelto di percorrere rappresentano ognuno il paradigma del paese o territorio che attraversano. Problemi complessi, che hanno a che fare con vicende geopolitiche o scelte di sviluppo che appaiono irreversibili.
“Ho scelto questi fiumi in base alla classificazione dell’inquinamento fatta dal ricercatore tedesco Shmitt nel 2017 . Per il  momento posso parlare solo per il Gange, avendolo già  attraversato: è il fiume sacro degli indiani ma guarda caso è anche il più inquinato del paese. C’è una certa correlazione tra la pratica religiosa e l’inquinamento. Ogni anno milioni di persone si recano sul Gange per compiere atti di purificazione, facendo piccoli doni al fiume che regolarmente vengono racchiusi  dentro  involucri di plastica, destinati all’abbandono fra le correnti. Sul fiume vivono 500 milioni di persone che ogni giorno vi riversano rifiuti organici e inorganici. Si tende a pensare: “il fiume è lungo e qualcuno se ne occuperà al posto mio”. Poi c’è l’idea che l’acqua del Gange non possa mai essere impura, essendo un fiume sacro. 

Si ritiene il fiume capace di autoregolarsi da sé, quando è abbastanza evidente agli occhi degli osservatori che questo non  è più possibile. Paradossalmente il Gange sta morendo per mano degli stessi indiani che lo venerano. Sarà interessante anche nelle prossime tappe osservare in che modo il mix di fattori antropici, culturali o le scelte di sfruttamento delle risorse fluviali impattano sulla salute degli ecosistemi. Penso in particolare alla Cina, dove si trovano ben 5 dei dieci fiumi più inquinati al mondo.

Il Great Pacific Garbage Patch, la grande isola di plastica al centro del Pacifico è la tua prossima meta. Quanto conta la preparazione organizzativa e quanto la motivazione in un'impresa di questo tipo?
“L’ organizzazione è fondamentale perché questo progetto vive attraverso la collaborazione delle persone. La parola d’ordine è interconnessione: conta tantissimo il fattore umano, la qualità delle relazioni che si intrecciano lungo il cammino. Ho navigato sul Gange con una zattera che mi sono costruito insieme a 10 persone del luogo che hanno deciso di darmi una mano. Da solo non avrei potuto compiere quell’impresa.  Anche qui a S. Francisco il lavoro sulle relazioni conta tantissimo, e influenza i tempi e i modi della mia partenza:  senza l’aiuto di un’imbarcazione di supporto è complicato in questa stagione superare la prima barriera delle correnti. La componente motivazionale è fortissima perché per la prima volta scopro che il viaggio può avere un senso molto più nobile dell’esplorazione fine a se stessa: ha una finalità sociale, di sensibilizzazione e di del risveglio dello spirito umano.

La barca è appena giunta  a S. Francisco, che caratteristiche ha?
“E’ una barca a cui sono molto affezionato,  la stessa con cui ho attraversato l’oceano Atlantico e l’Oceano pacifico nel 2006 e nel 2008. Lunga 7 metri e mezzo, larga circa2 metri, è equipaggiata solo con dei remi. Niente vele, niente motore. Seicento chili in vetroresina. A bordo ci sono radio vhf, Gps, uno strumento di comunicazione satellitare ed uno di ricerca recupero e soccorso, più un distillatore di acqua per potermi garantire il fabbisogno durante tutto il viaggio.

Il momento della partenza si avvicina: c’è interesse intorno a questa impresa? Chi ti ha appoggiato finora? La mia famiglia mi appoggia tantissimo. Mia moglie Francesca ha lavorato insieme a me nella costruzione dell’intero progetto 10 Rivers 1 Ocean.  Finora abbiamo avuto riscontri da parecchie associazioni, università e centri di ricerca:  collaboriamo con le Università di Padova e di Bologna, Marevivo, WWf , Save the Planet, One Ocean Foundation, con la fondazione dello Yacht Club Costa Smeralda di cui sono ambassador. Abbiamo  il patrocinio del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare. Abbiamo la fortuna di essere accompagnati in questo viaggio da alcuni partner visionari che credono molto nella conservazione del nostro pianeta come Enegan, provider di luce e gas naturali. Poi ancora Save The Duck, Airone, North Sails, aziende che si impegnano nell’innovazione ecosostenibile nell’industria dell’abbigliamento. Qui a S.Francisco ho ricevuto  l’appoggio molto gradito del Console Francesco Ortona, un sincero appassionato della salvaguardia del mare e della custodia del pianeta. C’è poi una folta comunità di appassionati di mare molto sensibile ed interessata a questa impresa.

Anche qui però non tutti sono informati sull’argomento e molti lo lo percepiscono come un problema lontano, sebbene il Great Pacific Garbage Patch sia poco più in la della linea dell’orizzonte. Per questo, in attesa di poter documentare dal vivo l’esperienza attraverso il GpGp, nel sito www.10rivers1ocean.com ho raccolto alcune informazioni essenziali sulla produzione di plastica nel mondo, sui danni all’ambiente e all’ecosistema marino, che possono essere utili a creare consapevolezza e soluzioni possibili.

Serve una nuova idea di progresso, che senza rinunciare allo sviluppo prenda coscienza dell’interconnessione profonda fra ambiente ed essere umano. Dobbiamo sviluppare compassione perla biodiversità , per la natura in generale e per gli animali. Solo così sarà  possibile invertire la rotta.

 Leggi la prima puntata

 

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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