[Il reportage] Siamo entrati nella baraccopoli di San Ferdinando: cosa c'era e perché stata sgomberata

Non ci sono stati incidenti. Nessuna tensione, insomma Solo che del popolo dei millecinquecento della baraccopoli, a conti fatti ne sono stati sistemati qualche centinaio.

Che caldo. Sembra una giornata estiva. Picchia il sole caldo e a ora di pranzo arriva anche il prefetto Di Bari e il questore Grassi. Sono soddisfatti perché non vi sono stati incidenti. Nessuna tensione, insomma. Ed è vero. Solo che del popolo dei millecinquecento della baraccopoli, a conti fatti ne sono stati sistemati qualche centinaio.

È il ministro dell’Interno Matteo Salvini che traccia un bilancio della giornata alle cinque del pomeriggio annunciando che 347 braccianti sono stati sistemati nelle tendopoli e nelle strutture dei Centri per richiedenti asilo. Che la tendopoli ne può ospitare altri 176 e che in quella che fu la baraccopoli metà abbattuta dalle ruspe dell’esercito stanotte accoglierà almeno trecento suoi abitanti. Insomma, a voler essere fiscali quel roboante annuncio del ministro della «pacchia è finita» che la baraccopoli sarà demolita in realtà è vero a metà. E non è detto che sia un male.

Dunque centinaia e centinaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri, e poi le ruspe dell’Esercito, i mezzi dei vigili del fuoco e le ambulanze alle otto del mattino sono diventati “operativi”. L’opera di persuasione, lo sgombero annunciato da giorni, le misure per fronteggiare l’emergenza concordate con i diretti interessati, insomma tutto alla vigilia dell’assalto al fortino dove le condizioni di vita erano bestiali, tra immondizia e degrado, lasciava presagire che la giornata sarebbe filata liscia.

Le immagini

Sia il questore che il prefetto hanno insistito nel rappresentare la baraccopoli come “un non luogo”. E gli stessi sindacalisti marocchini o congolesi della Cgil o dell’Ubs hanno posto l’attenzione a voler risolvere entro il tramonto la sistemazione degli abitanti della baraccopoli. Immagini di un tempo. Se fossero state in bianco e nero ricorderebbero quei telegiornali della Grande depressione degli anni Venti del secolo scorso di un film di Charlie Chaplin. Ragazzi con valigie, bustoni e ogni cosa caricate su biciclette malandate. File di ragazzi che vagano senza meta mentre il formicaio degli uomini dello Stato s’agitsnomin attesa che entrino in azione le ruspe dello Stato.

Lo sgombero è una necessità per riaffermare la legalità dello Stato, essendo la baraccopoli illegale, abusiva oltre che fonologia di degrado e di sporcizia. Tutto vero. Ma un pensiero impertinente affolla i miei pensieri. Può essere mai che in una terra, la Calabria, dove l’abusivismo ha violentato il territorio, dove sono state costruite le case anche sulle fiumare, ebbene il problema è la baraccopoli abusiva? Sapendo poi che è funzionale all’economia, perché senza i braccianti neri si avrebbe difficoltò a raccogliere arance e mandarini (in questa stagione)?

Lasciamo stare il discorso sullo sfruttamento bestiale, sul lavoro a cottimo (un euro per una cassetta di mandarini raccolti), sul lavoro nero. Che gli italiani si vergognano a riconoscerlo. Ma perché, allora, la distruzione della baraccopoli? È solo un elemento di quella propaganda con la quale il ministro Salvini sta costruendo il suo bottino di consensi elettorali? Colpisce che sindaci, questori, sindacalisti convergano nel denunciare una verità che si fa fatica ad ammettere: a San Ferdinando c’è la mafia nigeriana, ci sono le prostitute e la droga.

In questa, come in tante realtà della marginalità convivono lavoratori sfruttati, migranti che vogliono costruirsi un futuro migliore e criminali. Ammetterlo, riconoscerlo non significa essere contro i migranti. Anzi saper dividere i buoni dai cattivi aiuta quei ragazzi che hanno attraversato deserti e Mediterraneo nella speranza di costruirsi un futuro.