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L’ex pm Scarpinato: “Messina Denaro si è lasciato prendere”. Baiardo: “La mia fonte è palermitana”

Ad una settimana dall’arresto del boss l’unica certezza è che sia in cercare. Su tutto il resto la storia è tutta da scrivere. Le rivelazioni in tv

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
Un selfie 'ospedaliero' di Matteo Messina Denaro (Ansa)
Un selfie "ospedaliero" di Matteo Messina Denaro (Ansa)

Una settimana dopo l’unica certezza è che Matteo Messina Denaro è in carcere, in una cella di massima sicurezza al 41 bis all’Aquila. Tantissimo, non c’è dubbio e di questo non finiremo mai di ringraziare non solo il Ros dei carabinieri, tutta l’Arma, il comando generale, ma anche polizia, guardia di finanza e tutti i magistrati che in questi trent’anni - dal 1993, l’estate delle bombe di mafia a Firenze, Roma e Milano -  hanno dato la caccia all’ultimo dei corleonesi svuotando il reticolo di prestanome e il business. Ma oltre questa innegabile certezza, c’è molto poco:  non c’è traccia del famoso archivio di Cosa Nostra che dai tempi dell’arresto di Totò Riina “sparisce” di covo in covo; non c’è traccia, quindi, della mappa di uoini, società e affari in cui Cosa Nostra ha investito e tuttora ha impegnati i propri capitali; così come non sono deboli gli indizi sulla rete che ha coperto trent’anni di latitanza e affari. “Per questo occorre tempo, stiamo lavorando” correggono gli investigatori.

Una consegna pilotata

Quello che è certo, una settimana dopo, è che l’arresto di Matteo Messina Denaro assomiglia sempre più ad una consegna abbastanza pilotata nei tempi e nei modi. 

Affermare questo non vuol dire essere complottisti o pistaroli ma mettere in fila parole e fatti di questi mesi e, soprattutto, dell’ultima settimana. Fino all’apoteosi di ieri sera. Avvenuta in due tempi ma sempre tramite due interviste andate in onda su La 7, prima a In Onda e poi a Non è arena di Massimo Giletti. Nella prima l’ex pm palermitano, a suo tempo titolare della processo sulla trattativa Stato-mafia, Roberto Scarpinato ora senatore 5 Stelle ha detto che  Matteo Messina Denaro “aveva deciso di lasciarsi prendere”. Ospite di Giletti è stato quel Salvatore Baiardo,  piemontese ma di origine siciliana, che negli anni Novanta ha scontato quattro anni di carcere per favoreggiamento e riciclaggio di denaro in favore dei Graviano. E qui, in diretta in uno studio tv, ha ripetuto aggiungendo dettagli quella che è stata chiamata “una profezia” scodellata sempre in tv ma in differita il 5 novembre scorso. Allora, governo appena insediato, nella scadenza imminente del 4bis (ergastolo ostativo, il fine pena mai), Giletti mandò in onda una sua intervista a Bilardo che annunciava “il bel regalo al nuovo governo” che sarebbe stato consegnato da lì a breve: l’arresto di Messina Denaro.

La maratona di Giletti

In una puntata di Non è L’Arena lunga quasi tre ore e dedicata al caso Messina Denaro, Giletti cerca di definire e dare nome e cognome a quella “borghesia mafiosa” che, come ha detto il procuratore di Palermo De Lucia, “ha garantito la latitanza di Messina Denaro. In studio o collegati sono così sfilati l’ex ministro della Giustizia Claudio Martelli (“nell’agosto 1992 il generale Delfino mi disse che mi avrebbero fatto un bel regalo più o meno a Natale. A gennaio, un paio di settimane in ritardo, arrivò l’arresto di Toto Riina”), l’ex questore Rino Germanà, fedelissimo di Borsellino, il dottor Tarondo, ex pm a Trapani che ha tra i primi accertò lo spessore mafioso di Matteo Messina Denaro. Tarondo è anche il pm che chiese ed ottenne il sequestro della Banca Sicula dove lavorava il fratello di Matteo Messina Denaro e dove il boss, già latitante, ricicla 300 milioni di euro. E’ stata ritrasmessa anche l’intervista ad Antonietta D’Ali, ex moglie dell’ex sottosegretario all’Interno Antonio D’Alì ex sottosegretario all’interno, condannato a sei anni per concorso esterno in associazione mafiosa. Anche D’Ali era un pezzo di quella borghesia mafiosa riuscita ad arrivare persino al governo. L’ingresso in carcere di D’Ali “facilita” l’arresto-consegna di Matteo Messina Denaro. Ora è chiaro che dopo una serata così densa di rivelazioni e ricostruzioni, la procura di Palermo si dovrebbe chiamare uno dopo l’altro i protagonisti della serata. Giusto per acquisire in modo compiuto quanto è stato detto. E magari integrare anche un po’.

Le parole di Scarpinato

Ma andiamo con ordine. La prima rivelazione è senza dubbio quella dell’ex procuratore Scarpinato. Intervistato a “In Onda” ha detto: “Nessun latitante può resistere per 30 anni, anche se ha forti appoggi locali, se non gode di protezioni che vanno al di là della mafia”. Questo va detto in premessa per poi proseguire cin il resto: “La cattura potrebbe essere vissuta dai capi di mafia come scambio di prigionieri, basta abolire il 41 bis e il gioco è fatto. Questo è lo step a cui si mira. La mafia non è stata sconfitta con la cattura di Messina Denaro, assolutamente no. Messina Denaro ha goduto di protezioni ad altissimo livello, di sistema, perchè è uomo che conosce i segreti delle stragi. Aveva deciso di lasciarsi prendere”. Poiché Scarpinato è uno che non vuole e non può fare affermazioni da bar, e poiché ha certamente ancora forti legami con il suo mondo di prima, che una settimana dopo, pur avendo occasioni di dire la sua in interventi pubblici al Senato, faccia un’affermazione del genere, vuol dire che nelle ultime 72 ore ha avuto accesso a fonti qualificate. Grazie alle quali ha potuto fare questa affermazione che è stata, correttamente, subito sottolineata dai giornalisti in studio Parenzo e De Gregorio. Matteo Messina Denaro si sarebbe dunque consegnato. Avrebbe deciso di “lasciarsi prendere” perchè è un uomo che sa di avere pochi mesi di vita. E che se ha una speranza, quella passa da cure continuate e certe poco compatibili con una vita da boss latitante.  

La parola a Baiardo

Finisce In Onda con la forza di questa affermazione qualificata quale è certamente Scarpinato, e inizia Giletti.  Con Baiardo: “Messina Denaro non ne ha per molto altrimenti non succedeva quando è successo. Almeno così presumo”. “Presumere” è un verbo che usa spesso nelle tre ore di trasmissione. Deve essere la parola concordata con chi ha dato il via libera a Baiardo di poter dire certe cose. Era già successo a fine ottobre quando, così il racconto in studio, chiamò Giletti per poterlo incontrare “il prima possibile”. E’ l’intervista andata in onda il 5 novembre quando Matteo Messina Denaro era dimenticato dalla maggior parte dell’opinione pubblica in cui Baiardo anticipa l’arresto. Anche allora tra “presunzioni e allusioni”, la rivelazione fu precisa: il boss sta male, le sue condizioni sono peggiorate e “potrebbe essere un bel regalo per il nuovo governo se il boss stanco e malato si consegnasse magari nell’ambito di una grande operazione antimafia”. Magari, alluse ancora Baiardo, “nell’ambito di uno scambio con l’ergastolo ostativo”.

La “profezia” si avvera

Facilmente quell’intervista del 5 novembre scorso è diventata la “profezia” di Baiardo. “Le profezie vorrei farle in un altro ambito, queste non sono profezie. Sono cose delicate e serie” ha ripetuto ieri sera in tv spiegando in coa potrebbe lo scambio con lo Stato: “Non c’è dubbio che la modifica dell’ergastolo ostativo (carcere a vita senza essere ammessi ad alcun beneficio ndr) come richiesto dalla Corte Costituzionale, per quanto siano esclusi i detenuti al 41 bis, apre le porte ai boss. Gli scambi poi possono avvenire in tanti modi, sono più di mille i detenuti al 41 bis a cui è applicato il 4bis. E poi vediamo cosa succede con la Cassazione” che dovrà esprimersi se il decreto del governo Meloni è sufficiente o meno rispetto alle richieste della Consulta.

Giletti incalza. E dopo vari tentativi sul conoscere la fonte di Baiardo, ottiene poco che però è molto: “Non posso dire qui la mia fonte, però non sono i Graviano (che cerca più volte di difendere durante la serata, ndr) ed è di ambito palermitano”. Scarpinato prima, aveva fatto riferimento in modo molto esplicito “a pezzi deviati dello Stato che sono nei servizi segreti e tra gli investigatori”. 

Torna fuori anche l’agenda rossa di Borsellino

Baiardo ha parlato anche dell’agenda rossa sparita dall’auto del giudice Borsellino subito dopo l’esplosione in via d’Amelio. Era luglio 1992. All’epoca Baiardo era appunto una delle coperture dei fratelli Graviano a cui aveva anche cercato di offrire un alibi per quella strage.  “Il passaggio di mano dell'agenda rossa l'ho visto nel '92-93 - ha detto ieri sera Baiardo - Ho visto dei fogli che la riproducevano. Io dico che Graviano non era lì come dicono i pentiti a proposito dell'omicidio di Borsellino. Graviano ha 12 ergastoli, non devo difenderlo per fargliene togliere uno”. E poi la frase a Giletti: “Lei sta rischiando parecchio, sa, a 360 gradi, fa del buon giornalismo ma sta rischiando, e non solo a livello di mafia”.

Sul tempismo e le modalità dell’arresto/consegna di Messina Denaro, è stata sottolineata anche un’altra coincidenza: il medico della clinica di Palermo che lo aveva in cura ha sottolineato come l’intervista del 5 novembre fosse “incredibilmente coincidente” con l’aggravamento della malattia di Messina Denaro.  

Stasera Baiardo sarà intervistato anche da Sigfrido Ranucci su Report. Uno che con questa sicurezza in diretta tv, più e più volte, o è un folle spregiudicato oppure è uno che sa.  E allora vanno capite ancora tante cose. E la procura di Palermo non potrà prescindere da sentire nuovamente questo signore. Per il resto, c’è da monitorare ogni giorno ciò che succede in ambito 41bis. E l’accosto di fiducia del boss recluso all’Aquila: è sua nipote e il canale di comunicazione con la famiglia e il territorio è garantito.

Claudia Fusanidi Claudia Fusani   
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