Fede cristiana, nuovo attacco di Francesco al clericalismo e all'ipocrisia
All’Angelus il papa ribadisce non la fine del cristianesimo ma un modo attuale di vivere il Vangelo.
Papa Francesco è tornato a scuotere la coscienza cristiana per spingerla a superare clericalismo e ipocrisia nel modo di vivere oggi la fede cristiana. Nell’Angelus odierno - dove pone a confronto gli scribi che puntano all’apparenza per il proprio compiacimento e la povera vedova che ripone in Dio la sua speranza donandogli tutto quel poco che ha – si trova una sintesi della vera rivoluzione culturale dell’intero pontificato del gesuita Bergoglio. Avversata da quanti pensano di continuare a vivere di rendita la fede collusa con i poteri mondani, fiduciosa più del denaro che in Dio, questa rivoluzione culturale motivo di ostilità e resistenza dai tradizionalisti e dai ricchi, in realtà non intende cambiare il cristianesimo ma punta ad adeguare il modo di vivere la fede odierna nel Vangelo, liberandola dai compromessi del passato. In questo orizzonte si valorizza meglio sia la spiegazione del Vangelo proposta oggi dal papa, sia quale Chiesa cattolica abbia in mente Francesco.
Una Chiesa dell’ascolto, della compassione e della tenerezza, della vicinanza nello stile di Dio praticato da Gesù. Temi non nuovi nel magistero del papa, ma su cui insiste per renderli patrimonio condiviso specialmente con il cammino sinodale: tutta la Chiesa in ascolto del mondo attuale a cui riservare vicinanza, tenerezza, compassione, liberando i poveri, i fragili, gli emarginati dai sotterranei della storia dove i sistemi economici e sociali li hanno relegati finora.
L’importanza dell’Angelus odierno sta tutta qui: proporre una rivoluzione culturale con i colori della vita quotidiana. Il papa ha lanciato un nuovo attacco al clericalismo e alle pratiche ipocrite dei poteri civili e religiosi per guadagnare sulla pelle dei più deboli e indifesi. Ha invocato l’importanza di vigilare sulla falsità del cuore e sull’ipocrisia, del costume diffuso di apparire di un modo ed essere di un altro. Liberarsi dalla doppiezza dell’anima; liberare il sacro dai legami e dalla contiguità con il denaro. Una fede che vive di apparenze ma interiormente non sincera non ha futuro, come insegna la storia.
Il Vangelo ci mette davanti uno stridente contrasto: i ricchi, che danno il superfluo per farsi vedere, e una povera donna che, senza apparire, offre tutto il poco che ha. Due simboli di atteggiamenti umani. Il papa esorta a guardare Gesù che guarda le due scene. “Ed è proprio questo verbo – “guardare” – che riassume il suo insegnamento: da chi vive la fede con doppiezza, come quegli scribi, “dobbiamo guardarci” per non diventare come loro; mentre la vedova dobbiamo “guardarla” per prenderla come modello. Soffermiamoci su questo: guardarsi dagli ipocriti e guardare alla povera vedova … Quegli scribi coprivano, con il nome di Dio, la propria vanagloria e, ancora peggio, usavano la religione per curare i loro affari, abusando della loro autorità e sfruttando i poveri. Qui vediamo quell’atteggiamento così brutto che anche oggi vediamo in tanti posti, in tanti luoghi, il clericalismo, questo essere sopra gli umili, sfruttarli, “bastonarli”, sentirsi perfetti. Questo è il male del clericalismo. È un monito per ogni tempo e per tutti, Chiesa e società: mai approfittare del proprio ruolo per schiacciare gli altri, mai guadagnare sulla pelle dei più deboli!”.
Gesù la propone invece come maestra di fede, la povera vedova: “Lei non frequenta il Tempio per mettersi la coscienza a posto, non prega per farsi vedere, non ostenta la fede, ma dona con il cuore, con generosità e gratuità. Le sue monetine hanno un suono più bello delle grandi offerte dei ricchi, perché esprimono una vita dedita a Dio con sincerità, una fede che non vive di apparenze ma di fiducia incondizionata. Impariamo da lei: una fede senza orpelli esteriori, ma interiormente sincera; una fede fatta di amore umile per Dio e per i fratelli”. Un amore non contento di chiacchiere ma vicino a chi è nel bisogno. Oggi Francesco lo ha reso palpabile esprimendo preoccupazione per la situazione in Etiopia “scossa da un conflitto che si protrae da più di un anno e che ha causato numerose vittime e una grave crisi umanitaria. Invito tutti alla preghiera per quelle popolazioni così duramente provate, e rinnovo il mio appello affinché prevalgano la concordia fraterna e la via pacifica del dialogo”.