[Esclusiva] Vendevano armi ai terroristi, assumevano politici e alti ufficiali. E facevano affari con i rapitori dei due italiani uccisi in Libia
Ecco le carte dell’inchiesta sul traffico internazionale d’armi sventato dalla procura distrettuale di Napoli. Tre italiani arrestati. Uno di loro picchiò un giornalista di Report
Una società italiana, utilizzata come schermo per vendere armi ai terroristi islamici, teneva a libro paga tra dipendenti e collaboratori una serie di “persone influenti” per far meglio i suoi affari. Tra loro un ex deputato del centrodestra come Riccardo Migliori, un ex ufficiale dell’aeronautica come Walter Pilati e la segretaria del senatore Marcello Dell’Ultri.
C’è scritto anche questo nelle 52 pagine di ordinanza di fermo che la Procura distrettuale antimafia di Napoli ha emesso a carico di tre personaggi italiani accusati di terrorismo internazionale e traffico d’armi e che tiscali.it è in grado di documentare in esclusiva.
Nel documento sono citati anche una serie di messaggini molto inquietanti che svelano un particolare retroscena sul rapimento in Libia nel luglio 2015 di quattro tecnici italiani della ditta Benatti. Due di loro (Fausto Piano e Salvatore Failla) non torneranno mai vivi a casa.
L’intercettazione sul rapimento
“Hey hanno rapito 4 italiani in Libia”, scrive su what's up il 22 luglio del 2015 uno degli arrestati, Mario Di Leva. “Già fatto, notizia vecchia, siamo in contatto” risponde la moglie Annamaria Fontana anche finita in manette “ce li hanno proprio quelli dove noi siamo andati. Già sto facendo, già sto operando. Con molta cautela”. Il nucleo tributario della Guardia di Finanza che riesce a intercettare e sequestrare la comunicazione e si evince che c’erano rapporti d’affari in essere con questa cellula, ma la Gdf non ottiene ulteriori informazioni. Almeno per il momento.
L’inchiesta
Di certo c’è che secondo gli inquirenti Di Leva, Fontana e Adrena Pardi (l’altro arrestato) vendevano a gruppi estremisti in Iran e Libia armi e veivoli da guerra. Violando l'embargo internazionale, riuscivano a far arrivare nei due Paesi fucili d'assalto, missili terra-aria e missili anticarro, prodotti dai paesi dell'ex blocco sovietico. Il sistema ruotava attorno alla Società Italiana Elicotteri con sede a Roma, il cui legale rappresentante era Pardi (già coinvolto in un’altra inchiesta sul traffico d'armi e reclutamento di mercenari tra Italia e Somalia). Pardi tempo fa è salito agli onori della cronaca nel 2015, quando ha aggredito un giornalista di Report che gli aveva chiesto un'intervista.
"Annamaria Fontana - si legge nel documento - risulta poi essere legata al governo iraniano e all'attuale governo provvisorio della Libia". Non solo: una foto ritrare la coppia Di Leva e Fontana in compagnia dell’ex premier iraniano Ahmadinejad.
I legami con la camorra e la mala del Brenta
La prima fase dell'indagine è partita nel giugno 2011, su input del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, in relazione a un precedente procedimento penale a Napoli dal quale è emerso che un soggetto legato a un clan camorristico dell’area casalese era stato contattato da un appartenente alla cosiddetta “mala del Brenta” con precedenti specifici per traffico di armi.
Quest’ultimo ricercava, infatti, persone esperte di armi e armamenti da inviare alle Seychelles per l’addestramento di un battaglione di somali, che avrebbero dovuto svolgere attività espressamente qualificate come “mercenariato”.
I coniugi Di Leva, 69 e 64 anni, pur residenti in Italia "sono stati stabilmente all'estero, hanno potuto soggiornare a lungo in alcuni Paesi del medio Oriente - scrivono ancora gli inquirenti - e hanno potuto frequentare e conoscere alti esponenti del mondo politico e religioso locale. I contatti di maggiore importanza sono riferibili al contesto iraniano e al contesto libico".