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L’Angelus della II Settimana Santa  con il Covid, appello di Francesco: uscire insieme dalla pandemia

Il papa ha ricordato che l’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
L’Angelus della II Settimana Santa  con il Covid, appello di Francesco: uscire insieme dalla pandemia
Foto Ansa

Vola alto papa Francesco per mettere insieme il dolore e il disappunto umano per la seconda settimana santa imprigionati dalla pandemia, e la riflessione sul senso liberatorio  che la passione di Gesù può avere nella vita spezzata dal’esperienza del Covid-19 tuttora incombente. Il racconto del processo e della condanna a morte di Cristo innocente, evocato nella messa della Domenica delle Palme è stato accompagnato da parecchi perché di Francesco, rivolti a se stesso e a tutti i cristiani, per capire il modo di agire di Gesù nella prova del dolore e della morte che avrebbe potuto evitare. Nell’Angelus - recitato in tono minore ( la Giornata mondiale della Gioventù che si tiene annualmente in questo giorno è stata differita all’autunno, causa pandemia) - in coda alla celebrazione della messa nella Basilica di san Pietro Francesco ha indicato una via per resistere al male della logorante pandemia. Di via ce ne resta una sola: non badare anzitutto a noi stessi ma condividere le sofferenze degli altri, scartati compresi, per camminare insieme verso l’uscita da un’esperienza che rischia di logorarci.

“Siamo  entrati  nella  Settimana  Santa. Per  la  seconda  volta  - ha precisato il papa - la  viviamo  nel  contesto  della pandemia. L’anno scorso eravamo più scioccati, quest’anno siamo più provati. E la crisi economica è diventata pesante”. La ricetta di guarigione Francesco la indica invitandoci a imitare Dio nel superare il male. La prova della passione è stata una prova tremenda anche per Lui.  “In  questa  situazione  storica  e  sociale,  Dio  cosa  fa? – si è chiesto il papa - . Prende  la  croce. Gesù  prende  la  croce, cioè  si  fa carico  del  male  che tale  realtà  comporta,  male  fisico,  psicologico  e  soprattutto  male spirituale, perché il Maligno approfitta delle crisi per seminare sfiducia, disperazione e zizzania.

E  noi?  Che  cosa  dobbiamo  fare?  Ce  lo  mostra  la  Vergine  Maria,  la  Madre  di  Gesù  che  è anche  la sua prima  discepola.  Lei  ha  seguito  il  suo  Figlio.  Ha  preso  su  di  sé  la  propria  parte  di sofferenza,  di  buio,  di  smarrimento  e  ha  percorso  la  strada  della  passione  custodendo  accesa  nel cuore  la  lampada  della  fede. Con  la  grazia  di  Dio,  anche  noi  possiamo  fare  questo  cammino. E, lungo la via  crucis quotidiana, incontriamo i  volti  di tanti fratelli  e  sorelle  in  difficoltà:  non passiamo oltre, lasciamo che il cuore si muova a compassione e avviciniamoci. Sul momento, come il  Cireneo,  potremo  pensare:  “Perché  proprio  io?”.  Ma  poi  scopriremo il  dono che,  senza  nostro merito, ci è toccato”. E ha concluso invitando a guardare oltre il solo male del Covid, pregando “per  tutte  le  vittime  della  violenza, in  particolare  per  quelle  dell’attentato avvenuto questa mattina in Indonesia, davanti alla Cattedrale di Makassar”. Nell’omelia della messa delle palme il papa ha voluto in qualche modo approfondire il modo di fare di Dio che sempre stupisce l’uomo. E ha pensato a una Chiesa stupita da Gesù e perciò capace di interrogarsi come potersi assimilare al suo modo di agire e vivere vicino alla gente.

“Da subito Gesù ci stupisce. La sua gente lo accoglie con solennità, ma Lui entra a Gerusalemme su un umile puledro. La sua gente attende per Pasqua il liberatore potente, ma Gesù viene per compiere la Pasqua con il suo sacrificio. La sua gente si aspetta di celebrare la vittoria sui romani con la spada, ma Gesù viene a celebrare la vittoria di Dio con la croce. Che cosa accadde a quella gente, che in pochi giorni passò dall’osannare Gesù al gridare “crocifiggilo”? Cosa è successo? Quelle persone seguivano più un’immagine di Messia, che non il Messia. Ammiravano Gesù, ma non erano pronte a lasciarsi stupire da Lui. Lo stupore è diverso dall’ammirazione. L’ammirazione può essere mondana, perché ricerca i propri gusti e le proprie attese; lo stupore, invece, rimane aperto all’altro, alla sua novità. Anche oggi tanti ammirano Gesù: ha parlato bene, ha amato e perdonato, il suo esempio ha cambiato la storia... e così via. Lo ammirano, ma la loro vita non cambia. Perché ammirare Gesù non basta. Occorre seguirlo sulla sua via, lasciarsi mettere in discussione da Lui: passare dall’ammirazione allo stupore”. Si scoprirà allora l’impensabile: il fatto che “Lui giunge alla gloria per la via dell’umiliazione. Egli trionfa accogliendo il dolore e la morte, che noi, succubi dell’ammirazione e del successo, eviteremmo. Questo stupisce: vedere l’Onnipotente ridotto a niente. Vedere Lui, la Parola che sa tutto, ammaestrarci in silenzio sulla cattedra della croce. Vedere il re dei re che ha per trono un patibolo. Vedere il Dio dell’universo spoglio di tutto. Vederlo coronato di spine anziché di gloria. Vedere Lui, la bontà in persona, che viene insultato e calpestato. Perché tutta questa umiliazione? Perché, Signore, ti sei lasciato fare tutto questo?”.

Gesù sale sulla croce “per scendere nella nostra sofferenza. Prova i nostri stati d’animo peggiori: il fallimento, il rifiuto di tutti, il tradimento di chi gli vuole bene e persino l’abbandono di Dio. Sperimenta nella sua carne le nostre contraddizioni più laceranti, e così le redime, le trasforma. Il suo amore si avvicina alle nostre fragilità, arriva lì dove noi ci vergogniamo di più”. Sapersi stupire è una grazia da chiedere. “La vita cristiana, senza stupore, diventa grigiore…Se la fede perde lo stupore diventa sorda... non ha un’altra via che rifugiarsi nei legalismi, nei clericalismi e in tutte queste cose che Gesù condanna”. Nel Crocifisso “vediamo Dio umiliato, l’Onnipotente ridotto a uno scarto. E con la grazia dello stupore capiamo che accogliendo chi è scartato, avvicinando chi è umiliato dalla vita, amiamo Gesù: perché Lui è negli ultimi, nei rifiutati, in coloro che la nostra cultura farisaica condanna”.

 

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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