Covid-19, app per tracciare i cittadini. Professor Razzante: “Servono limiti, per non cancellare conquiste di decenni”
Per l’esperto, Docente dell’Università Cattolica e della Lumsa, certe regole "vanno introdotte per legge, ascoltando il Garante. Altrimenti, nelle situazioni di emergenza, si finisce col varare misure straordinarie che rischiano di diventare definitive”
Per dare un colpo decisivo al coronavirus il governo Conte sta valutando l’ipotesi di utilizzare strumenti di sorveglianza dei cittadini. In questa formula di tipo coreano potrebbe rientrare anche l’introduzione di app per determinare le zone di maggior contagio da Covid-19. Una soluzione drastica giustificata (solo) dalla straordinarietà del momento che stiamo vivendo, ma che deve comunque sottostare a dei limiti, come ha avuto modo di sottolineare lo stesso Presidente dell'Autorità garante per la protezione dei dati personali, Antonello Soro, in una nostra recente intervista. In sostanza dovrà trattarsi di soluzioni compatibili col rispetto della privacy. Come ciò possa essere attuato ce lo siamo fatti spiegare via telefono da uno dei maggiori esperti italiani in materia, il Professor Ruben Razzante, Docente di Diritto dell'informazione all'Università Cattolica di Milano e alla Lumsa di Roma e fondatore del portale www.dirittodellinformazione.it.
Professore siamo di fronte a un momento emergenziale ma non possiamo neppure passare sopra altri diritti costituzionalmente garantiti.
“Nelle situazioni di emergenza si varano misure straordinarie che però rischiano di diventare definitive e di cancellare conquiste di decenni. Affidare alle tecnologie la delimitazione dei confini dei diritti individuali è sempre un rischio. E' evidente che in questa fase di emergenza la privacy possa temporaneamente essere sacrificata per assicurare standard più elevati di protezione della salute. Tuttavia, un conto è la raccolta dei dati aggregati e in forma anonima, già consentita dalle leggi vigenti a livello europeo e nazionale in casi di emergenze sanitarie come quella che stiamo vivendo. Altra cosa è l'utilizzo prolungato nel tempo, da parte dello Stato e degli operatori telefonici, di nostri dati che svelano particolari estremamente intimi della nostra vita”.
Ed allora cosa si può fare in concreto?
“Si possono utilizzare le app per monitorare e combattere più efficacemente la diffusione del virus, anche preservando uno zoccolo duro di riservatezza rispetto alle nostre abitudini, alle nostre frequentazioni, al nostro sentire, alle nostre opinioni. Una via di mezzo è possibile, attraverso una maggiore responsabilizzazione dei singoli utenti rispetto a rischi di contagio e investendo l'Autorità garante della privacy di un delicato compito di sorveglianza sul corretto e proporzionale uso dei dati degli utenti da parte di chi li raccoglie e di chi sta combattendo questa disastrosa pandemia, quindi degli operatori telefonici e della protezione civile”.
Quali garanzie bisognerebbe osservare, anche da un punto di vista normativo? Può bastare una delibera della Protezione Civile?
“Per raggiungere tale obiettivo bene ha fatto il Ministero per l'innovazione a promuovere una call per aziende, enti di ricerca e altri soggetti pubblici e privati potenzialmente in grado di elaborare soluzioni tecnologiche efficaci e compatibili con un sufficiente livello di protezione della privacy. Tuttavia, occorre chiarire fin da ora che per introdurre misure così invasive non può bastare una delibera della protezione civile ma è necessaria l'emanazione di una legge ordinaria o, vista l'urgenza, di un decreto legge, sul cui contenuto coinvolgere comunque fin da subito il Parlamento”.
Non sfugge ai più attenti che ancora una volta potrebbero essere chiamati in ballo i big di Internet. Questo potrebbe rappresentare un problema?
“Bisognerà vigilare affinché il trattamento dei nostri dati avvenga secondo criteri di proporzionalità e per il tempo strettamente necessario, quindi fino alla cessazione delle misure restrittive della libertà personale e non oltre. Qualora si decidesse di coinvolgere anche i colossi del web, è opportuno accertarsi che l'utilizzo di queste informazioni da parte di tali piattaforme avvenga nel rispetto delle normative vigenti, dunque per le finalità dichiarate e non per attività di profilazione intrusiva”.