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Tutti a terra: con il Coronavirus è l'apocalisse delle compagnie aeree

“Praticamente non c’è più traffico passeggeri”: l'allarme arriva dall’associazione delle compagnie aeree, che ha chiesto ai Governi di intervenire rapidamente "per impedire che una crisi di liquidità sconvolga il settore"

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
Tutti a terra: con il Coronavirus è l'apocalisse delle compagnie aeree

Il 24 marzo Ryanair ha comunicato lo stop di quasi tutti i suoi voli. I suoi aerei potranno essere utilizzati dai governi europei per operazioni di recupero, trasporto di farmaci o apparecchi medicali e cibo. Ma non verranno usati per il trasporto passeggeri. Michael ‘O Leary, a capo della low-cost, ha dichiarato che al momento Ryanair non ha in programma voli né ad aprile né a maggio.

 

A terra rimangono anche tutti gli aerei di EasyJet e Virgin Atlantic, mentre IAG, che possiede British Airways e Iberia, ha tagliato il numero di posti passeggeri del 75%. Le maggiori compagnie aeree statunitensi, American, Delta e United stanno tagliando drasticamente il numero di voli, chiedendo in contemporanea al proprio personale di proporsi per periodi di permesso, ovviamente non retribuito. Pare che solo alla Delta si siano offerti in 10mila. Air Canada ha già tagliato 5mila posti di lavoro e anche Norwegian Air non se la passa bene: ha lasciato a casa il 90% del personale mentre cerca di assicurarsi un’iniezione di capitale da parte del governo di circa 300 milioni di corone norvegesi, più o meno 26 milioni di euro.

Non tutti i governi sono generosi

Non tutti però sono generosi come il governo norvegese. Il Cancelliere dello Scacchiere Rishi Sunak, l’equivalente britannico del nostro Ministro del Tesoro, ha scritto chiaro e tondo alle compagnie del Regno Unito che prima di bussare alla porta del governo in cerca di aiuto provino a bussare altrove e in particolare presso i loro azionisti. Il governo potrebbe considerare un intervento di settore solo come extrema ratio. Meglio potrebbe andare alle compagnie americane che stanno cercando di ottenere dall’amministrazione Trump un aiuto di 50 miliardi di dollari. È un anno elettorale e potrebbero riuscirvi.

 

Ormai gli aeroporti sono poco più che immensi parcheggi di aerei

Intanto il 23 marzo Eurocontrol, l’autorità che gestisce il traffico aereo europeo, ha comunicato che il volume di traffico aereo si è ridotto del 75% rispetto allo scorso anno. E non è solo l’Europa: l’emergenza del coronavirus ha bloccato gli spostamenti aerei praticamente in ogni parte del mondo, gettando l’industria aeronautica mondiale in una crisi senza precedenti. Solo la scorsa settimana sono stati tagliati il 35% dei posti aereo a livello globale e dall’inizio dell’anno circa 2.500 aerei sono stati messi a terra rendendo gli aeroporti poco più che degli immensi parcheggi di aerei. I passeggeri in arrivo e in partenza sono un rivolo piccolissimo e le attività si sono ridotte al lumicino con conseguente perdita di posti di lavoro.

L’apocalisse delle compagnie aeree

L’associazione di settore delle compagnie aeree, la IATA, International Air Transport Association, ha dichiarato che l’industria rischia “l’apocalisse” e ha invitato i governi a intervenire rapidamente. “Per i governi c’è una piccola finestra temporale, che si va restringendo sempre più, per fornire il supporto finanziario vitale necessario per impedire che una crisi di liquidità sconvolga il settore” ha dichiarato Alexandre de Juniac, direttore generale e CEO della IATA, aggiungendo che “non c’è più praticamente traffico passeggeri”. Se il blocco dei voli dovesse durare ancora tre mesi la vendita dei biglietti nel mondo crollerebbe di circa 230 miliardi di dollari, un calo di circa il 44% rispetto all’anno scorso.

 

I problemi si allargano a tutto il settore

Non sono solo le compagnie aeree a soffrire, anche i costruttori stanno avendo i loro problemi. Boeing ha annunciato che bloccherà la produzione della maggior parte dei suoi velivoli destinati al trasporto passeggeri: si fermeranno per quattordici giorni le linee di assemblaggio dei 787 e dei 777 ospitate a Everett a nord di Seattle in quello che è il capannone più grande del mondo.

 

Anche la rivale Airbus ha le sue difficoltà dovute allo stop delle forniture di pezzi e componenti che ha costretto l’azienda a chiudere i suoi impianti per quattro giorni. Embraer, costruttore brasiliano, ha in progetto di mandare a casa tutti i lavoratori non essenziali nei suoi impianti che fabbricano aerei per il trasporto regionale. Alla lista si aggiunge anche Bombardier che ha deciso di sospendere la produzione della sua linea di business jet in Canada.

 

Le prospettive sono ancora più fosche. Perché quando l’emergenza passerà le compagnie aeree dovranno probabilmente affrontare un doloroso processo di ristrutturazione che attraverso il crollo degli ordini di nuovi aeroplani si riverbererà anche sulle aziende costruttrici. Il sindacato americano di settore ha dichiarato il 23 marzo che solo negli Stati Uniti sono a rischio circa 500mila posti di lavoro. Non sorprende quindi che Moody’s abbia tagliato il suo outlook per il settore aerospazio e difesa. Non è detto che per il settore alla fine sarà il paventato apocalisse. Ma sono in molti pronti a scommettere che sarà la crisi maggiore di sempre.

 

Alessandro Spaventadi Alessandro Spaventa   
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