Le convocava nel suo studio in ospedale con l'altoparlante: chi è il primario arrestato e licenziato che abusava delle colleghe
Contro di lui anche le immagini delle telecamere nascoste installate dalla polizia: 32 episodi in 45 giorni. Il medico, ora agli arresti domiciliari, è accusato di violenze sessuali e stalking

L’Ausl di Piacenza ha ufficialmente licenziato Emanuele Michieletti, primario di Radiologia arrestato con l’accusa di violenza sessuale aggravata e atti persecutori. A firmare la delibera è stata Paola Bardasi, direttrice generale dell’Azienda, che ha agito in seguito ai pareri del direttore sanitario Andrea Magnacavallo, del direttore amministrativo Marco Chiari e della direttrice delle attività socio-sanitarie Eleonora Corsalini. Michieletti, che da 17 anni guidava la struttura complessa, è agli arresti domiciliari. L’inchiesta, coordinata dalla procuratrice Grazia Pradella e condotta dalla squadra mobile guidata da Michele Saglio, ha documentato 32 episodi in 45 giorni, tutti registrati con telecamere nello studio del primario. Le vittime, dottoresse e infermiere dell’ospedale, sarebbero state convocate tramite altoparlante e poi chiuse a chiave nell’ufficio, dove si sarebbero consumati abusi anche completi.
Il racconto della vittima e l’omertà del reparto
Tutto ha avuto inizio nei primi giorni di gennaio, quando una dottoressa ha denunciato di essere stata aggredita nello studio del primario durante un colloquio sulla pianificazione ferie. L’uomo avrebbe chiuso la porta a chiave, l’avrebbe sbattuta contro un mobile e violentata. Solo l’arrivo di un collega ha interrotto l’aggressione. La denuncia ha trovato il pieno supporto della direzione sanitaria ed è diventata il punto di partenza per l’indagine.
Le successive investigazioni hanno fatto emergere una lunga serie di episodi simili, tutti consumati tra le mura del reparto ospedaliero e in orario di lavoro. Il clima che regnava era segnato da omertà e timore: alcune vittime non hanno parlato per paura di ripercussioni, mentre una dottoressa ha sporto denuncia per poi ritirarla, come riportato nel comunicato della Questura: “Temeva le conseguenze lavorative”.
Abusi quotidiani e prevaricazione del ruolo
Secondo gli atti dell’inchiesta, “Michieletti compiva atti sessuali con quasi tutte le donne che varcavano da sole la porta del suo ufficio”. In alcuni casi si sarebbe trattato di rapporti apparentemente consensuali, ma nella maggior parte “le richieste erano espressione di atteggiamenti prevaricatori”, con le donne in “stato di prostrazione”. L’uso dell’altoparlante per convocare le colleghe, poi chiuse a chiave nello studio, era un meccanismo sistematico, secondo gli inquirenti.
L’accusa di stalking e le intercettazioni shock
L’indagine ha portato anche alla formulazione dell’accusa di stalking in almeno due casi, aggravata dalla “continuità con cui le vittime venivano molestate e il timore di ripercussioni”. Il medico, forte del suo ruolo e della reputazione professionale, avrebbe potuto esercitare una forma di potere che ha impedito alle colleghe di ribellarsi. Le intercettazioni ambientali parlano chiaro: “L’omertà era grave e autoreferenziale”.
In alcune conversazioni registrate, Michieletti si sarebbe vantato degli incontri con altri colleghi uomini, ricevendo anche “suggerimenti su come gestirli”. Un contesto che ha trasformato il reparto in un ambiente insostenibile, secondo la ricostruzione degli investigatori.
La reazione della Regione e delle associazioni mediche
La vicenda ha provocato una forte reazione anche da parte delle istituzioni. Il presidente della Regione, Michele de Pascale, ha dichiarato: “È evidente che alla base di simili condotte ci sono certamente comportamenti individuali, ma c’è anche un clima maschilista e patriarcale che dobbiamo aggredire in radice anche dentro le nostre organizzazioni”. E ha aggiunto: “Non possiamo accettare che una persona possa immaginare di uscirne impunito per via del ruolo che ricopre”.
Anche le associazioni professionali si sono espresse con forza. Ester Pasetti, dell’Anaao regionale, ha sottolineato che “le donne sono, loro malgrado, in una posizione di inferiorità anche in ambiti professionalizzati e nei quali sono maggioranza, purtroppo silenziosa”. Il presidente della Fnomceo, Filippo Anelli, ha invece rivolto un appello: “Su questi fatti non bisogna aver paura di denunciare”.
L’Ausl verso la parte civile
L’Azienda sanitaria di Piacenza, che ha sostenuto la prima dottoressa che ha avuto il coraggio di parlare, ha avviato una valutazione interna per verificare eventuali responsabilità. Non è esclusa la costituzione di parte civile nel procedimento penale. Intanto, l’inchiesta prosegue per accertare se ci siano altre vittime rimaste in silenzio e se vi siano state complicità o omissioni da parte di chi sapeva.