Abusi negli istituti cattolici, Francesco fa pace con le nazioni indigene del Canada
Alla vigilia del viaggio a Malta domani e domenica, il papa chiude un capitolo doloroso chiedendo perdono e promettendo una sua visita prossima alla First Nations, Métis e Inuit. Intervistato dai senzatetto in un libro da oggi in libreria

Papa Francesco continua a portare aria nuova in Vaticano. In particolare perché non soltanto parla dei poveri ma li accoglie nella sua casa, parla con loro, li consulta e li tiene in considerazione. La prova più recente di questo stile evangelico ne sono stati due eventi davvero singolari e finora unici per le consuetudini vaticane. E’ in libreria da oggi in italiano, francese e spagnolo un libro intervista (In dialogo con il mondo) frutto di quattro lunghi incontri del papa con piccoli gruppi di senzatetto e precari dell’Associazione Lazare, che in Casa Santa Marta in veste di portavoce di senzatetto e precari di 80 Paesi lo hanno intervistato con 100 domande, ottenendone 100 risposte.
Francesco chiede perdono
Oggi stesso Francesco ha espresso vergogna e chiesto perdono per gli abusi consumati a danno di indigeni accolti negli ultimi due secoli negli istituti religiosi cattolici e altre confessioni cristiane. Episodi che hanno procurato una vera tragedia negli indigeni e sono diventati negli ultimi anni motivo di crescenti tensioni sociali e religiose. Triste eredita del colonialismo, memoria scomoda con cui finora non si erano fatti i conti necessari. “No, - ha detto il papa in un vibrante discorso - senza una ferma indignazione, senza memoria e senza impegno a imparare dagli errori i problemi non si risolvono e ritornano. Lo vediamo in questi giorni a proposito della guerra. Non si deve mai sacrificare la memoria del passato sull’altare di un presunto progresso”.
Le udienze alle diverse delegazioni indigene
Dopo le udienze separate lunedì e ieri alle diverse delegazioni indigene, accompagnate da un gruppo di vescovi cattolici canadesi, oggi il papa ha rivolto il suo discorso molto toccante ai tre gruppi riuniti: First Nations, Métis ed Inuit”, promettendo a conclusione che li andrà a visitare in un prossimo viaggio in Canada. Dopo aver rilevato lo stretto legame degli indigeni con la natura, il senso della famiglia e della comunità, Francesco è andato al nocciolo della questione: fare i conti con gli errori della storia coloniale e religiosa che gli indigeni hanno patito come vittime.
L'identità ferita
“Ma il vostro albero che porta frutto – ha chiarito il papa - ha subito una tragedia, che mi avete raccontato in questi giorni: quella dello sradicamento. La catena che ha tramandato conoscenze e stili di vita, in unione con il territorio, è stata spezzata dalla colonizzazione, che senza rispetto ha strappato molti di voi dall’ambiente vitale e ha provato ad uniformarvi a un’altra mentalità. Così la vostra identità e la vostra cultura sono state ferite, molte famiglie separate, tanti ragazzi sono diventati vittime di questa azione omologatrice, sostenuta dall’idea che il progresso avvenga per colonizzazione ideologica, secondo programmi studiati a tavolino anziché rispettando la vita dei popoli. È qualcosa che, purtroppo, avviene anche oggi, a vari livelli: le colonizzazioni ideologiche.
La mentalità coloniale
Quante colonizzazioni politiche, ideologiche ed economiche ci sono ancora nel mondo, sospinte dall’avidità, dalla sete di profitto, incuranti delle popolazioni, delle loro storie e delle loro tradizioni, e della casa comune del creato. È purtroppo ancora molto diffusa questa mentalità coloniale. Aiutiamoci insieme a superarla. Attraverso le vostre voci ho potuto toccare con mano e portare dentro di me, con grande tristezza nel cuore, i racconti di sofferenze, privazioni, trattamenti discriminatori e varie forme di abuso subiti da diversi di voi, in particolare nelle scuole residenziali. È agghiacciante pensare alla volontà di istillare un senso di inferiorità, di far perdere a qualcuno la propria identità culturale, di troncare le radici, con tutte le conseguenze personali e sociali che ciò ha comportato e continua a comportare: traumi irrisolti, che sono diventati traumi intergenerazionali.
Indignazione e vergogna
Tutto ciò ha suscitato in me due sentimenti: indignazione e vergogna. Indignazione, perché è ingiusto accettare il male, ed è ancora peggio abituarsi al male, come se fosse una dinamica ineludibile provocata dalle vicende della storia. E provo anche vergogna, ve l’ho detto e lo ripeto: provo vergogna, dolore e vergogna per il ruolo che diversi cattolici, in particolare con responsabilità educative, hanno avuto in tutto quello che vi ha ferito, negli abusi e nella mancanza di rispetto verso la vostra identità, la vostra cultura e persino i vostri valori spirituali. Tutto ciò è contrario al Vangelo di Gesù. Per la deplorevole condotta di quei membri della Chiesa cattolica chiedo perdono a Dio e vorrei dirvi, di tutto cuore: sono molto addolorato. E mi unisco ai fratelli vescovi canadesi nel chiedervi scusa. È evidente che non si possono trasmettere i contenuti della fede in una modalità estranea alla fede stessa: Gesù ci ha insegnato ad accogliere, amare, servire e non giudicare; è terribile quando, proprio in nome della fede, si rende una contro-testimonianza al Vangelo”.
La promessa di una visita
Il papa non ha visto tutto nero, ma nel momento penitenziale per un passato indegno ha voluto ricordare “con gratitudine tanti bravi credenti che, in nome della fede, con rispetto, amore e gentilezza, hanno arricchito la vostra storia con il Vangelo” e l’impegno di una reciproca vicinanza tra vescovi e indigeni per un percorso di guarigione delle ferite che sarà lungo ma doveroso. L’impegno a visitarli non con il freddo, ma nella buona stagione in qualche modo suggella un patto a non ripetere dolorosi errori. “Vi do allora l’arrivederci in Canada, dove potrò meglio esprimervi la mia vicinanza”.