Università corrotta e familistica. Cantone indaga e scopre l'acqua calda
Il capo dell'autorità anti corruzione è subissato di segnalazioni su questioni universitarie. Non ci stupisce

Secondo la legge che l’ha istituita, l’Anac – Autorità Nazionale Anti Corruzione - ha lo scopo di svolgere un’opera di “prevenzione della corruzione nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, nelle società partecipate e controllate anche mediante l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali”. Ma, da un po’ di tempo, a questa mission già estremamente complessa se n’è aggiunta un’altra: l’Anac è diventata una sorta di ufficio per la certificazione del malcostume.
Scandali noti a tutti
Il combinato disposto tra l’autorevolezza del dottor Michele Cantone e il debole senso dello Stato e delle regole che è uno dei tratti riconosciuti del nostro carattere nazionale, fa sì che vicende scandalose, note a tutti, anche alle pietre, che si trascinano da tempo immemorabile, tornino improvvisamente d’attualità per il solo fatto che il dottor Cantone, meritevolmente, le richiama. L’ultima della serie è la “Parentopoli” degli atenei italiani.
Università: tutta una grande famiglia
Cosa ha fatto il dottor Cantone? Ha fatto sapere che da quando ricopre il posto di garante, è “subissato di segnalazioni su questioni universitarie, specie sui concorsi”. Perbacco! In un Paese dotato di un minimo di memoria, anche di memoria breve, la notizia sarebbe stata eventualmente l’affermazione opposta. Se cioè il titolare dell’Anac avesse detto di aver ricevuto sporadiche e incerte segnalazioni su ciò che avviene nelle università. Perché per avere la nozione e la percezione della perdurante esistenza nel mondo accademico di un sistema di accordi, combine, pastette che bocciano i meritevoli e promuovono gli amici degli amici e i parenti dei parenti non è necessario disporre dell’apparato investigativo dell’Anac. E’ sufficiente fare una chiacchierata con qualunque dottorando e ricercatore e domandargli quali siano le sue prospettive.
Fuga di cervelli provocata dalla corruzione
“Esiste un collegamento – ha aggiunto Cantone – tra la fuga dei cervelli e la corruzione”. Doppio perbacco. Per farsi venire questo dubbio, non c’è nemmeno bisogno della chiacchierata col ricercatore e col dottorando. Basta leggere i dati. Dicono che ogni anno tremila dei nostri ricercatori vanno all’estero. E’ vero che siamo tra i grandi Paesi occidentali quello che destina meno risorse allo sviluppo e alla ricerca (l’1,27 per cento del Pil contro l’1,98 per cento dell’Ue, il 2,83 per cento della Germania e l’,1,98 per cento della Francia), ma siamo anche quello che ha il numero di laureati più basso d’Europa (il 17 per cento della popolazione contro il 42 per cento del Regno Unito, il 32 per cento della Francia, il 27 per cento della Germania) e che negli ultimi cinque anni abbiamo prodotto 5000 dottori di ricerca in meno. Insomma, i nostri cervelli dovremmo tenerceli cari, ne abbiamo bisogno. Dovrà esserci pure qualche ragione se vanno via.
Lo strano caso dell’omonimia diffusa
La ragione è che i soldi sono pochi, i posti anche, e quei pochi posti vengono molto spesso distribuiti con criteri amicali e familistici. Nel 2008 fece rumore la pubblicazione di un saggio dal titolo “L’Università truccata” scritto dall’economista Roberto Perotti, italiano formatosi al Mit di Boston. Raccontava vicende incredibili. Per esempio che a Bari nella facoltà di Economia su 176 docenti, 42 (cioè il 25 per cento) erano in qualche modo parenti tra loro. Due anni dopo, uno studente di quella stessa università, Gianmarco Daniele, si laureò con una tesi che fu ripresa da tutti i media. Il titolo era "L'università pubblica italiana: qualità e omonimia tra i docenti". Mettendo semplicemente a confronto i cognomi dei professori, Daniele scoprì un quadro statisticamente surreale: nelle nostre università il numero degli omonimi è di molto superiore alla media della popolazione italiana e in alcune università meridionali i casi di omonimia arrivano a essere di dieci volte superiori alla media nazionale. Poi esplose lo scandalo dei parenti-docenti del rettore dell’università di Roma Luigi Frati.
Il fallimento della riforma Gelmini
In definitiva, lo “scandalo di Parentopoli” è una sorta di rubrica fissa dei media italiani quando si occupano di università. Qualche anno fa ha tentato di porvi rimedio il ministro Mariarosa Gelmini introducendo per legge il divieto di assumere nello stesso dipartimento parenti e affini di docenti già di ruolo fino al quarto grado. Ma, secondo Cantone, la riforma Gelmini “ha finito per creare più problemi di quanti ne abbia risolti”. In particolare, ha sottolineato il capo dell’Anac, “ha istituzionalizzato il sospetto: l’idea che non ci possano essere rapporti di parentela all’interno dello stesso dipartimento, il che ha portato a situazioni paradossali”.
Caso eclatante
Poi un esempio: “In una università del Sud – ha detto - è stato istituzionalizzato uno ‘scambio’: in una facoltà giuridica è stata istituita una cattedra di storia greca e in una facoltà letteraria una cattedra di istituzioni di diritto pubblico. Entrambi i titolari erano i figli di due professori delle altre università”. Questa dinamica è così “sorprendente” da essere addirittura descritta in un proverbio famosissimo, quello che dice “Fatta la legge, trovato l’inganno”. Senza ironia, dobbiamo proprio dire: meno male che c’è Cantone a ricordarci i nostri difetti. Quando saremo capaci di ricordarceli da soli, per correggerli, avremo fatto un passo decisivo verso l’obiettivo di diventare un Paese normale.