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[La polemica] Saviano non sale sulla nave Ong. L’appello dello scrittore Veronesi cade nel vuoto

Ha gentilmente declinato l’invito spiegando che il suo ruolo, quello dell’intellettuale, non è andare a rischiar la pelle per mare, anche solo in via ipotetica, non è andare oltre le parole, ma servirsi delle parole per rompere il silenzio, per prendere una posizione politica, per mobilitare la società, il quale è esercizio altrettanto scomodo dell’indossare fisicamente un elmetto per difendere ciò in cui si crede

Paola Pintusdi Paola Pintus   
Roberto Saviano
Roberto Saviano

Imbarcarsi sulle navi delle Ong per testimoniare, con la fisicità dei propri corpi, quel che avviene nel Mediterraneo? Bella idea, nobile, ma noi siamo intellettuali. Ecco. Più o meno è questa la risposta che Roberto Saviano ha dato all’appello umanitario di Sandro Veronesi che in una lettera pubblica, alcuni giorni fa sul Corriere, lo aveva invitato a sposare insieme a lui una coraggiosa iniziativa di protesta non violenta: “oltre le parole”, contro la  “mistificazione che ha superato, in termini di consenso popolare, la corretta informazione, mi chiedo se non sia il caso di rompere gli indugi e metterci direttamente il corpo”, aveva scritto Veronesi, spiegando che chi meglio di Saviano avrebbe potuto incarnare questa protesta, dato che “il tuo corpo è già in ballo, da anni. 

La missiva dello scrittore

Scrivo a te”, aveva detto Veronesi “perché in questa condizione hai certamente sperimentato una certa solitudine. E ti dico che metterci il corpo per me ha un significato solo: significa andare laggiù, dove lo scempio ha luogo, e starci, col proprio ingombro, le proprie necessità vitali, la propria resistenza, lì”. Alla convocazione però Saviano non ha risposto. O meglio, ha risposto “ni”. Ha nicchiato insomma. O peggio. Ha gentilmente declinato l’invito spiegando che il suo ruolo, quello dell’intellettuale, non è andare a rischiar la pelle per mare, anche solo in via ipotetica, non è andare oltre le parole, ma servirsi delle parole per rompere il silenzio, per prendere una posizione politica, per mobilitare la società, il quale è esercizio altrettanto scomodo dell’indossare fisicamente un elmetto per difendere ciò in cui si crede. Ne sa qualcosa, Saviano, la cui storia pubblica è dolorosamente legata al racconto della vita degli spietati clan della camorra e che “a 26 anni ho perso tutto quello che si poteva perdere”, di certo non lo spaventava “ricevere insulti per ciò che scrivo, per il mio lavoro”. Lavoro, ci fa sapere il in una chiosa un po’ fuori contesto, che è giusto sia remunerato, poiché “la criminalizzazione del denaro generato dal lavoro (soprattutto quello intellettuale) rientra in quella deriva pauperistica che solo per un caso fortuito oggi è espressa con una certa violenza nei toni dal M5S”.

A ognuno la sua parte

E quindi “Caro Sandro, mi piace il tuo invito a portare corpi resi riconoscibili dalla fama sulle imbarcazioni che salvano vite umane, ma mi tradiscono le mie origini. Sono nato a Napoli e cresciuto in una terra che un tempo era chiamata Terra di lavoro”. Perciò, piuttosto che imbarcarci sulla nave Aquarius, “dobbiamo chiamare a una insurrezione civile e democratica contro questa barbarie fondata sulla menzogna sistematica, ma non esiste un gesto unico. Ciascuno di noi, facendo il proprio lavoro con onestà, vivendo e trattando il prossimo con onestà, avrà fatto la sua parte”.

“Noi scriviamo”

Il lavoro, spiega Saviano, è quello dei cooperanti sulle navi nel Mediterraneo, il lavoro è il nostro che ne scriviamo, il lavoro è del giornalista che informa in maniera corretta dando notizie senza fabbricare esche, il lavoro è della professoressa che a scuola insegna ai propri studenti ad avere fiducia nel prossimo, prima ancora che matematica, latino o italiano. Il lavoro è di chi sta alla cassa di un supermercato ed è gentile con tutti allo stesso modo, senza badare al colore della pelle o alla condizione sociale. Il lavoro è quello di un medico che aiuta chi ha meno mezzi senza approfittare dell'ingenuità e della soggezione. La vera rivoluzione, spiega Saviano, è diventare “moltiplicatori di empatia”. 

Veronesi si imbarca da solo?

“La tua, Sandro, era una lettera alta, che voleva parlare allo spirito, io mi calo invece sempre nella materialità e qui trovano i nostri percorsi un punto di congiungimento, nella fisicità della battaglia che deve contemplare i corpi a difesa dello Stato di Diritto”.

Non sappiamo se a questo punto Veronesi si imbarcherà da solo, o se rinuncerà per mancanza di adesioni a perseguire la nobile causa della sua testimonianza. Sappiamo per certo che ci sarebbe piaciuto vedere quella generosità, quell’urgenza civile, quell’angoscia contro l’impotenza, quella necessità di agire pure a costo di mettere in conto il proprio corpo anche nella risposta di Roberto Saviano. Si, ci sarebbe piaciuto vederli partire insieme, al di là del merito e di come la si pensi, ciascuno di noi, su quale sia la soluzione migliore per affrontare l’emergenza migratoria in Italia e in Europa.

Paola Pintusdi Paola Pintus   
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