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Regia unica dietro mafia, camorra, ‘ndrangheta e sacra corona unita? Ecco perché è possibile

I collaboratori di giustizia parlano da tempo di una criminalità “invisibile”, una supercupola con un direttorio unico

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   
Foto Ansa
Foto Ansa

L’ultimo esempio, pochi giorni fa. L’accordo tra la mafia che conta, quella dei Vitale di Partinico, con la potente cosca di Rosarno dei Pesce, per il traffico di cocaina. Ma è solo l’ultimo esempio di una lunga serie di affari, che si snoda su quelle che sono ormai le direttrici principali dell’approvvigionamento economico delle organizzazioni criminali: dalla droga, appunto, passando per il gioco d’azzardo, anche online, fino ad arrivare al traffico illecito di carburanti.

Non solo joint venture

Cosa Nostra, la ‘ndrangheta, la camorra e la Sacra Corona Unita ormai da tempo sembrano muoversi non più come quattro mafie sganciate tra di loro, che, all’occorrenza dialogano per fare affari, ma come un unico sistema criminale. Che mantiene, ovviamente, le proprie peculiarità, le proprie zone di competenza. Ma che si muove all’unisono.

Solo pochi giorni fa, le forze dell’ordine hanno stroncato il traffico di cocaina messo in atto dalla potente famiglia Vitale di Partinico. Una consorteria mafiosa che appartiene al gotha di Cosa Nostra e che era in strettissimi rapporti con lo storico casato di ‘ndrangheta dei Pesce di Rosarno. Ma non solo. In quello stesso blitz contro i “Fardazza” sono emersi importanti legami con la camorra e con i Casamonica, noto gruppo criminale di Roma.

I tanti traffici scoperti da magistrati e forze dell’ordine potrebbero essere non solo joint venture messe in piedi per portare avanti il singolo business, ma l’espressione concreta, materiale, di un livello decisionale unitario dietro le organizzazioni criminali. D’altra parte, dell’esistenza di una regia unica dietro le mafie italiane, i collaboratori di giustizia parlano da tempo. Una criminalità “invisibile”, una supercupola, un direttorio unico. Qualcosa, comunque, di sovraordinato e in grado di dialogare con i livelli più alti.

Già con l’inchiesta “Sistemi Criminali”, il magistrato Roberto Scarpinato tentò, alla fine degli anni ’90, di spiegare come tra Calabria e Sicilia (ma anche con proiezioni su altri territori) fosse stato deciso il progetto eversivo e criminale che insanguinò l’Italia tra la fine degli anni ’80 e il 1994. L’inchiesta, però, non portò a nulla e fu archiviata.

“Una cosa sola”

E’ la ndrangheta a comprendere, prima di Cosa Nostra, l’importanza dei rapporti con la massoneria e della creazione di una sorta di comitato d’affari tra massoni, ‘ndrangheta, Servizi Segreti e politici. E Gioacchino Pennino, medico palermitano, espressione della mafia capace di dialogare con il mondo delle professioni e delle Istituzioni, a raccontare alcuni anni fa che il superboss Stefano Bontate, nel 1980-81, gli propose di proseguire il medesimo progetto della ‘ndrangheta anche in Sicilia: “Cosa Nostra, ‘ndrangheta e Sacra Corona Unita, sono da sempre unite fra loro. Sarebbe meglio dire sono una “cosa sola” […] In Calabria insieme massoni, ‘ndrangheta, Servizi Segreti, politici per fare affari e gestire il potere. Una sorta di comitato d’affari perenne e stabile”.  A parlare è un soggetto di primissimo livello in quegli anni. E, da collaboratore di giustizia le sue dichiarazioni sono sempre state considerate attendibili.

Ovviamente, tutto ciò deve trovare in qualche modo concretezza e vantaggio economico. Le organizzazioni mafiose non sono delle “onlus”. E fanno molti soldi. La nuova frontiera sono il gioco online e le scommesse sul web, soprattutto tramite aziende di carta dislocate in paradisi fiscali o in luoghi dove i controlli sono pressoché inesistenti e le alleanze sempre possibili. Come Malta.  Una relazione della Direzione Investigativa Antimafia parla di “indotto di portata strategica, come dimostrato dalle inchieste parallelamente condotte, a novembre del 2018, dalle Dda di Bari (operazione “Scommessa”), Reggio Calabria (operazione “Galassia”) e Catania (operazione “Gaming offline”) che hanno ricostruito una rete tra criminalità organizzata barese, ‘ndrangheta e mafia siciliana. L’attività, svolta in modo pressoché sovrapponibile dalle tre consorterie criminali, ha consentito una capillare infiltrazione dell’intero settore della raccolta del gioco, assicurando di fatto una posizione di predominio alle famiglie mafiose rispetto agli operatori del circuito legale”. Solo con l’inchiesta “Gambling”, nel 2015 la Dda di Reggio Calabria ha sequestrato beni per oltre due miliardi di euro.

La superloggia

Le parole di Pennino, peraltro, sono del tutto sovrapponibili a quelle di un altro pentito, Leonardo Messina. Anch’egli siciliano e collaboratore di giustizia utile già alle indagini di Paolo Borsellino: “Il vertice della 'ndrangheta è Cosa nostra. I soldati non sanno che appartengono tutti ad un’unica organizzazione. Lo sa il vertice. È il vertice che deve conoscere”.

Arrivando all’attualità, l’inchiesta “Petrolmafie” ha dimostrato, ancora una volta, una gigantesca convergenza di strutture e pianificazioni mafiose: ‘ndrangheta e camorra, in questo caso, con i Piromalli e i Mancuso, da una parte e i Moccia dall’altra nel controllo pressoché totale del traffico di carburanti nel Centro-Sud, ma non solo. Centinaia di milioni di euro riciclati nel giro di pochi anni attraverso manager, prestanome e insospettabili. Proprio quella rete di “colletti bianchi” all’ombra della massoneria di cui parlano i collaboratori di giustizia di varie zone geografiche e in varie epoche.

Oltre a due “uomini d’onore” siciliani di grande peso, come Pennino e Messina, infatti, sulla “regina unica” all’ombra della massoneria ha riferito in tempi non sospetti uno dei primi collaboratori di giustizia della ‘ndrangheta. Quel Filippo Barreca, considerato da molti una delle fonti più autentiche dei livelli più alti dell’ermetica criminalità organizzata calabrese. Barreca parla dell’esistenza di una superloggia massonica occulta che avrebbe coinvolto sia la Calabria, che la Sicilia, già all’inizio del 1979. Le due sedi operative sarebbero state Reggio Calabria e Catania. Mafiosi, politici, pezzi dello Stato, tutti inseriti, a detta di Barreca, nella medesima superloggia: “Le competenze della loggia si fondavano su di una base eversiva. Ma, prevalentemente, la loggia mirava ad assicurarsi: il controllo di tutte le principali attività economiche – compresi gli appalti; il controllo delle istituzioni a cui capo venivano collocati persone di gradimento e facilmente avvicinabili; l’aggiustamento di tutti i processi a carico di appartenenti alla struttura; l’eliminazione, anche fisica, di persone “scomode” non soltanto in ambito locale. In sostanza si era creato un “gruppo di potere” che gestiva tutto l’andamento della vita pubblica ed economica in sintonia con altri gruppi costituitisi in altre città italiane”.

Claudio Cordovadi Claudio Cordova   
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