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Il Papa: "Basta donne cacciate via dal lavoro perché incinte"

Nel modello di ordine sociale proposto dal pontefice si tocca la questione della denatalità, dell’invecchiamento della popolazione, del trattamento delle donne

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Il Papa: 'Basta donne cacciate via dal lavoro perché incinte'

Leggendo il discorso che papa Francesco ha rivolto oggi agli imprenditori e alle imprenditrici italiane, forse perfino le segreterie dei partiti si mangeranno le unghie per non averlo letto prima della campagna elettorale, stilando un piano efficace di intervento sul lavoro entro una grande visione sociale piuttosto che proporre rimedi parziali. Lavoratori e imprenditori vi possono trovare un terreno fecondo per un nuovo modo di confrontare le rispettive piattaforme superando le dinamiche del semplice concedere e reclamare, aprendo non soltanto un tavolo di trattative, ma concordando come declinare con giustizia il principio basilare della condivisione.

In tutta la dinamica sociale del lavoro Francesco introduce la parola “condivisione” dei beni che appartiene alla visione cristiana fin dai primissimi tempi apostolici. Due in particolare le piattaforme innovative suggerite da Francesco: capire perché la vita degli imprenditori nella Chiesa non è stata sempre facile; convincersi che “il problema del lavoro non può risolversi se resta ancorato nei confini del solo mercato del lavoro: è il modello di ordine sociale da mettere in discussione”. Per suggerire questo orizzonte che richiede pensieri nuovi il papa avrà attinto al materiale preparatorio del grande appuntamento di Assisi del prossimo 24 settembre al quale prenderanno parte giovani imprenditori e studiosi di economia di varia provenienza internazionale per elaborare le grandi linee dell’economia di Francesco proposta dal papa fin dal 2019. Oggi intanto il papa ha toccato un punto centrale dell’innovazione, indicando nelle tasse il nodo principale ed efficace della condivisione. “Molto importante è quella modalità che nel mondo moderno e nelle democrazie sono le tasse e le imposte, una forma di condivisione spesso non capita.

Il patto fiscale è il cuore del patto sociale. Le tasse sono anche una forma di condivisione della ricchezza, così che essa diventa beni comuni, beni pubblici: scuola, sanità, diritti, cura, scienza, cultura, patrimonio. Certo, le tasse devono essere giuste, eque, fissate in base alla capacità contributiva di ciascuno, come recita la Costituzione italiana (art. 53). Il sistema e l’amministrazione fiscale devono essere efficienti e non corrotti. Ma non bisogna considerare le tasse come un’usurpazione. Esse sono un’alta forma di condivisione di beni, sono il cuore del patto sociale”.  

Altre figure e momenti divisi della vita sociale sono stati richiamati da Francesco per trovare soluzioni possibili e comuni nel rispetto della dignità umana. Nel modello di ordine sociale proposto si tocca la questione della denatalità, dell’invecchiamento della popolazione, del trattamento delle donne incinte sul lavoro, della dimensione territoriale delle imprese, degli immigrati. Bisogna uscire al più presto dall’inverno demografico: “Oggi fare i figli è una questione, io direi, patriottica, anche per portare il Paese avanti”. “Sempre a proposito della natalità: alle volte- ha esemplificato Francesco - una donna che è impiegata qui o lavora là, ha paura a rimanere incinta, perché c’è una realtà - non dico tra voi - ma c’è una realtà che appena si incomincia a vedere la pancia, la cacciano via. “No, no, tu non puoi rimanere incinta”. Per favore, questo è un problema delle donne lavoratrici: studiatelo, vedete come fare affinché una donna incinta possa andare avanti, sia con il figlio che aspetta e sia con il lavoro”.

E sempre a proposito di lavoro, c’è un altro tema da evidenziare. L’Italia “ha una forte vocazione comunitaria e territoriale: il lavoro è stato sempre considerato all’interno di un patto sociale più ampio, dove l’impresa è parte integrante della comunità. Il territorio vive dell’impresa e l’impresa trae linfa dalle risorse di prossimità, contribuendo in modo sostanziale al benessere dei luoghi in cui è collocata”. A questo proposito, va sottolineato “il ruolo positivo che giocano le aziende sulla realtà dell’immigrazione, favorendo l’integrazione costruttiva e valorizzando capacità indispensabili per la sopravvivenza dell’impresa nell’attuale contesto. Nello stesso tempo occorre ribadire con forza il “no” ad ogni forma di sfruttamento delle persone e di negligenza nella loro sicurezza.

Il problema dei migranti: il migrante va accolto, accompagnato, sostenuto e integrato, e il modo di integrarlo è il lavoro. Ma se il migrante è respinto o semplicemente usato come un bracciante senza diritti, ciò è un’ingiustizia grande e anche fa male al proprio Paese”. Il papa ha premesso al nuovo patto sociale una riflessione innovativa sulla figura dell’imprenditore nella Chiesa. “In realtà, si può essere mercante, imprenditore, ed essere seguace di Cristo, abitante del suo Regno. La domanda allora diventa: quali sono le condizioni perché un imprenditore possa entrare nel Regno dei cieli?... Per entrare nel Regno dei cieli, non a tutti è chiesto di spogliarsi come il mercante Francesco d’Assisi; ad alcuni che possiedono ricchezze è chiesto di condividerle. La condivisione è un altro nome della povertà evangelica. E infatti l’altra grande immagine economica che troviamo nel Nuovo Testamento è la comunione dei beni narrata dagli Atti degli Apostoli…nel Vangelo non ci sono soltanto i trenta denari di Giuda; non solo quelli. In effetti, lo stesso denaro può essere usato, ieri come oggi, per tradire e vendere un amico o per salvare una vittima. Lo vediamo tutti i giorni, quando i denari di Giuda e quelli del buon samaritano convivono negli stessi mercati, nelle stesse borse valori, nelle stesse piazze. L’economia cresce e diventa umana quando i denari dei samaritani diventano più numerosi di quelli di Giuda”.

A riprova di questa possibilità il papa ha richiamato le figure di due beati imprenditori del passato (Giuseppe Toniolo e Giuseppe Tovini) e due imprenditori rimpianti come Alberto Balocco e Adriano Olivetti che hanno lasciato il segno positivo e incoraggiante anche per questo nostro tempo  che - riconosce Francesco - non è un tempo facile, per voi e per tutti. Anche il mondo dell’impresa sta soffrendo molto. La pandemia ha messo a dura prova tante attività produttive, tutto il sistema economico è stato ferito. E ora si è aggiunta la guerra in Ucraina con la crisi energetica che ne sta derivando. In queste crisi soffre anche il buon imprenditore, che ha la responsabilità della sua azienda, dei posti di lavoro, che sente su di sé le incertezze e i rischi. Nel mercato ci sono imprenditori “mercenari” e imprenditori simili al buon pastore che soffrono le stesse sofferenze dei loro lavoratori, che non fuggono davanti ai molti lupi che girano attorno”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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