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Francesco: organizzare la speranza dei poveri. L’obiettivo proposto alla Chiesa nella V Giornata mondiale

Ai giornalisti ha suggerito il metodo di ascoltare, approfondire, raccontare. All’Angelus il Papa ricorda la centralità dell’amore e l’ascolto del grido dei poveri unito al grido della Terra.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Foto Ansa
Foto Ansa

La stampa e il mondo dei giornalisti non se la passano bene, stretti in una crisi dovuta in parte alla propria insipienza ma in parte specialmente perché rappresentano una testimonianza della verità e questo a ogni tipo di potere fa male. Si arriva a uccidere, carcerare i giornalisti e a creare difficoltà alle imprese. Parole diverse sul tema della stampa e della comunicazione giornalistica sono state rivolte da papa Francesco direttamente ai giornalisti tra due celebrazioni della V Giornata mondiale dei poveri che, a suo parere deve risvegliare la Chiesa “a organizzare la speranza” nei rapporti umani verso i poveri, ma anche nell’impegno sociale, politico, ambientale. Tra l’incontro di Assisi con 500 poveri d’Europa e la celebrazione solenne in san Pietro oggi, riassunta nell’Angelus, Francesco ha consegnato una onorificenza a Philip Pullella e Valentina Alazraki due decani dell’informazione vaticana, in segno di riconoscimento della loro competenza e in rappresentanza dei tanti professionisti di tante provenienze, accreditati presso la Sala Stampa Vaticana.

“La vostra missione – ha rilevato Francesco nel dare l’onorificenza - è di spiegare il mondo, di renderlo meno oscuro, di far sì che chi vi abita ne abbia meno paura e guardi gli altri con maggiore consapevolezza, e anche con più fiducia. È una missione non facile. È complicato pensare, meditare, approfondire, fermarsi per raccogliere le idee e per studiare i contesti e i precedenti di una notizia. Il rischio, lo sapete bene, è quello di lasciarsi schiacciare dalle notizie invece di riuscire a dare ad esse un senso. Per questo vi incoraggio a custodire e coltivare quel senso della missione che è all’origine della vostra scelta. E lo faccio con tre verbi che mi pare possano caratterizzare il buon giornalismo: ascoltare, approfondire, raccontare... Vi ringrazio anche per quanto raccontate su ciò che nella Chiesa non va, per quanto ci aiutate a non nasconderlo sotto il tappeto e per la voce che avete dato alle vittime di abuso”.

Il buon giornalismo dell’ascoltare, dell’approfondire, del raccontare si applica nel parlare della condizione dei poveri e nel ricordare che la Chiesa “non è un’organizzazione politica che ha al suo interno destra e sinistra come accade nei Parlamenti. A volte, purtroppo, si riduce a questo nelle nostre considerazioni, con qualche radice nella realtà. Ma no, la Chiesa non è questo. Non è una grande azienda multinazionale con a capo dei manager che studiano a tavolino come vendere meglio il loro prodotto. La Chiesa non si auto-costruisce sulla base di un proprio progetto, non trae da sé stessa la forza per andare avanti, non vive di strategie di marketing. Ogni volta che cade in questa tentazione mondana – e tante volte cade o è caduta – la Chiesa, senza rendersene conto, crede di avere una luce propria e dimentica di essere il “mysterium lunae” di cui parlavano i Padri dei primi secoli – cioè la Chiesa è autentica soltanto alla luce di un Altro” cioè alla luce di Gesù. “È bella, è evangelica, è giovane – ha detto il papa nell’omelia - una Chiesa che esce da sé stessa e, come Gesù, annuncia ai poveri la buona notizia”.

“Siamo dentro a una storia segnata da tribolazioni, violenze, sofferenze e ingiustizie, in attesa di una liberazione che sembra non arrivare mai. Soprattutto, - ha precisato il papa - a esserne feriti, oppressi e talvolta schiacciati sono i poveri, gli anelli più fragili della catena. La Giornata Mondiale dei Poveri, che stiamo celebrando, ci chiede di non voltarci dall’altra parte, di non aver paura a guardare da vicino la sofferenza dei più deboli, per i quali il Vangelo di oggi è molto attuale: il sole della loro vita è spesso oscurato dalla solitudine, la luna delle loro attese è spenta; le stelle dei loro sogni sono cadute nella rassegnazione ed è la loro stessa esistenza a essere sconvolta. Tutto ciò a causa della povertà a cui spesso sono costretti, vittime dell’ingiustizia e della disuguaglianza di una società dello scarto, che corre veloce senza vederli e li abbandona senza scrupoli al loro destino”.

Ai cristiani oggi è richiesto “di nutrire la speranza di domani risanando il dolore di oggi. Sono collegati: se tu non vai avanti risanando i dolori di oggi, difficilmente avrai la speranza di domani. La speranza che nasce dal Vangelo, infatti, non consiste nell’aspettare passivamente che un domani le cose vadano meglio, questo non è possibile, ma nel rendere oggi concreta la promessa di salvezza di Dio. Oggi, ogni giorno. La speranza cristiana non è infatti l’ottimismo beato, anzi, direi l’ottimismo adolescente, di chi spera che le cose cambino e nel frattempo continua a farsi la sua vita, ma è costruire ogni giorno, con gesti concreti, il Regno dell’amore, della giustizia e della fraternità che Gesù ha inaugurato”.

E oggi è come se la Chiesa ci dicesse: “Fermati e semina speranza nella povertà. Avvicinati ai poveri e semina speranza... La speranza di quella persona, la speranza tua e la speranza della Chiesa. A noi è chiesto questo: di essere, tra le quotidiane rovine del mondo, instancabili costruttori di speranza; di essere luce mentre il sole si oscura; di essere testimoni di compassione mentre attorno regna la distrazione; di essere amanti e attenti nell’indifferenza diffusa. Testimoni di compassione. Noi non potremo mai fare del bene senza passare per la compassione. Al massimo faremo cose buone, ma che non toccano la via cristiana perché non toccano il cuore. Quello che ci fa toccare il cuore è la compassione: ci avviciniamo, sentiamo la compassione e facciamo gesti di tenerezza. Proprio lo stile di Dio: vicinanza, compassione e tenerezza. Questo ci è chiesto oggi”. Specialmente verso i poveri.

Richiamandosi alla figura del vescovo Tonino Bello secondo il quale non possiamo limitarci a sperare, dobbiamo organizzare la speranza, Francesco ha insistito: “Se la nostra speranza non si traduce in scelte e gesti concreti di attenzione, giustizia, solidarietà, cura della casa comune, le sofferenze dei poveri non potranno essere sollevate, l’economia dello scarto che li costringe a vivere ai margini non potrà essere convertita, le loro attese non potranno rifiorire”.  Sta a noi “superare la chiusura, la rigidità interiore, che è la tentazione di oggi, dei “restaurazionisti” che vogliono una Chiesa tutta ordinata, tutta rigida: questo non è dello Spirito Santo”.  All’Angelus Francesco ha sottolineato l’importanza di investire nella vita su cose davvero importanti, quelle che non passano. E a ben vedere la sola cosa che non passerà è la carità, l’amore. E in questa luce ha ricordato il grido dei poveri, unito al grido della Terra che “è risuonato nei giorni scorsi al Vertice delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico COP26, a Glasgow. Incoraggio quanti hanno responsabilità politiche ed economiche ed agire subito con coraggio e lungimiranza; al tempo stesso invito tutte le persone di buona volontà ad esercitare la cittadinanza attiva per la cura della casa comune. A questo scopo proprio oggi, Giornata Mondiale dei Poveri, si aprono le iscrizioni alla piattaforma Laudato si’, che promuove l’ecologia integrale”.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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