[La polemica] Il questore: "Se gli avessero sparato con la pistola elettrica Aldrovandi sarebbe vivo”. L’ira della famiglia
Si riapre la ferita del giovane ucciso a diciotto anni coi manganelli. La rabbia della madre: "Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto”
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“Col taser, Federico non sarebbe morto”. È bastata questa frase improvvida per riaprire le ferite di un caso che ancora scuote, soprattutto nei giorni in cui sugli schermi corrono le immagini di Stefano Cucchi, nel film con Alessandro Borghi, e la pelle è viva, e l’orrore è grande quando chi dovrebbe tutelarti diventa il tuo carnefice. Se la sarebbe cavata, Federico, dice il questore di Reggio Emilia, Antonio Sbordone, in una intervista al Resto del Carlino. Sarebbe stato meglio tacere.
Poveri agenti
"Io ho visto cosa è accaduto a Ferrara dopo il caso Aldrovandi - ha detto Sbordone al giornale emiliano - anche se non ero io il questore presente quell'anno. Questo ragazzo, se ci fosse stato il taser, sarebbe ancora vivo. Per fermare un giovane alto un metro e 90 agitatissimo hanno dovuto usare anche i manganelli". E poi hanno dovuto ucciderlo, poveri agenti, che magari se avessero avuto lo storditore elettrico si sarebbero risparmiati quel delitto. In realtà le cose non andarono proprio così.
Condannati
Intanto, quel ragazzo non era alto un metro e 90 ma un metro e 75 e pesava 60 chili. Aveva appena diciotto anni, era disarmato. Fu fermato da 2 poliziotti nel settembre del 2005. Se ne aggiunsero altri due. In quattro lo bloccarono a terra. Il ragazzo morì per asfissia da posizione: torace schiacciato a terra dalle ginocchia dei poliziotti. All’arrivo dell’ambulanza era incosciente e non rispondeva. Arresto cardio-respiratorio e trauma cranico-facciale. I quattro poliziotti furono condannati in primo grado a 3 anni e 6 mesi per eccesso colposo nell’uso legittimo delle armi (i manganelli, due si spezzarono). Condanna confermata in Cassazione.
Delirio
"Federico era già a terra e chiedeva aiuto. Io so che gli hanno spezzato il cuore e che lui non li ha nemmeno toccati", fu la testimonianza di una donna durante il processo. Il procuratore generale della Cassazione definì i poliziotti: “schegge impazzite in preda a delirio”. "Mi viene da pensare che quella maledetta mattina il taser non sarebbe stato da usare su Federico, ma su chi lo stava uccidendo 'senza una ragione'", dice oggi il padre di Federico, rispondendo su Repubblica al questore.
Ferita di sangue
"Ogni volta è una ferita di sangue innocente che si riapre in tutta la sua devastante realtà – dice ancora l’uomo a Repubblica -. Federico quella mattina non aveva commesso alcun reato, non so perché gli abbiano fatto tutto quel male, ma l'hanno fatto e lui ce l'ha raccontato con il suo cuore spezzato di 18 anni. Forse qualcuno sarebbe meglio si andasse a rileggere quanto ormai si è scritto processualmente dall'ottobre del 2007 (inizio del primo grado di giudizio) fino al giugno del 2012 (sentenza definitiva di condanna) e forse capirebbe".
La mamma
"Federico è morto perché hanno continuato a pestarlo, schiacciarlo e a dargli calci nella testa quando era già stato immobilizzato e stava chiedendo aiuto”, si sfoga la mamma, Patrizia Moretti, che con la sua battaglia ha fatto di questa vicenda un caso nazionale. “Mi dispiace che si possa giustificare uno strumento pericolosissimo come il taser con questo paragone che non ha senso ".
Italia nervosa
Ci mancava il taser, in questa Italia nervosa e nevrotica che non vede l’ora di menare le mani, che cova una violenza rabbiosa in ogni parola, anche quella più innocua, e che sembra sempre sull’orlo di urlare bavosa ai bordi di un ring. Più sangue, più sangue, sembra di sentire: come se fossimo sotto assedio. Ci mancava il taser, per inasprire ancora di più gli animi. Ci mancava questa strana pistola elettrica, nota anche come storditore o, per chi ama ammorbidire il peso delle parole, dissuasore elettrico. Insomma, una nuova arma che invece di sparare pallottole, centra il bersaglio con scariche elettriche.
Tortura
L’Onu l’ha inserita nella lista degli strumenti di tortura e ne ha sconsigliato l’uso. Ma in molto paesi è in dotazione alle forze dell’ordine, autorizzate a utilizzarla con regole di ingaggio più flessibili delle normali pistole. Un’arma considerata meno offensiva. Non da fuoco ma arma propria, per il nostro ordinamento. Nessun civile può portarla senza licenza. Dal 4 luglio scorso, è entrata in dotazione sperimentale in Italia. Potranno usarla carabinieri, poliziotti e finanziari in dodici città, da Milano a Caserta, da Bologna a Brindisi.
Mortale?
È un’arma potenzialmente mortale, il taser? La ditta che la fabbrica dice di no. Secondo loro non causa decessi. Ma le statistiche portano qualche numero alla voce morti: in Canada sono decedute tre persone in un mese, negli Usa 334 in sette anni. Ma non è il taser, dicono i costruttori, quanto i problemi di salute che le vittime avevano: cardiopatie o altre patologie che, a contatto con la scarica elettrica, si sono rivelate insostenibili. Resta il fatto che la scarica ha un suo effetto e che quando la lanci non sai chi hai di fronte.
Fare male
Ma sempre meglio di un’arma da fuoco, dicono i sostenitori del taser. E questo forse voleva anche dire il questore Sbordone. Col taser, Federico sarebbe stato immobilizzato più facilmente e non sarebbe morto. Con la differenza, però, che quei 4 poliziotti non hanno sparato. Ma hanno usato manganelli e maniere forti. Così forti da provocarne la morte. Ricordandoci che alla fine non è lo strumento ma l’uomo, non è l’arma ma la persona, che fa la differenza. Se perdi di vista il senso del tuo ruolo, puoi fare male anche con le sole mani. O con una dichiarazione senza senso.