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[L’analisi] Cambridge Analytica inchiodata da un testimone chiave: ha lavorato per la Brexit

Il puzzle inquietante che rivela fino a che punto sia giunta la manipolazione dei dati degli utenti e il tentativo di influenzare in modo mirato le loro scelte di voto: non soltanto nelle presidenziali americane del 2016, ma anche in occasione della Brexit, la campagna referendaria che due anni fa ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa

Il CEO del Cambridge Analytica Alexander Nix
Il CEO del Cambridge Analytica Alexander Nix

Il clamore suscitato dallo scandalo Cambridge Analytica, la società di analisi finanziata dal miliardario repubblicano Robert Mercer  e di cui è stato consulente Steve Bannon -consigliere strategico di Donald Trump fino allo scorso agosto-  non accenna a placarsi ed anzi, aggiunge di giorno in giorno nuovi tasselli a un puzzle inquietante che rivela fino a che punto sia giunta la manipolazione dei dati degli utenti e il tentativo di influenzare in modo mirato le loro scelte di voto:  non soltanto nelle presidenziali americane del 2016,  ma anche in occasione della Brexit, la campagna referendaria che due anni fa ha decretato l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa. E’ il quotidiano The Guardian ad inchiodare attraverso una testimonianza esclusiva  la Società di analisi statistiche, che ha sempre negato un suo coinvolgimento, a qualsiasi titolo, nel referendum inglese e che ora è sotto inchiesta da parte della Commissione elettorale britannica. 

A smentire la versione data ai deputati della Commissione dall’AD Alexander Nix è Brittany Kaiser,  direttrice del settore Business  di Cambridge Analytica negli ultimi 3 anni fino a due settimane fa.  La Kaiser non solo afferma che la Società ha lavorato nella campagna pro Brexit, ma spiega anche in che modo avvennero i primi contatti con Leave.Eu, il più grosso comitato di sostegno alla campagna e con l’Ukip, il partito di ultra destra di Nigel Farage. Era stato lo stesso Farage, nel novembre 2015, ad annunciare di aver affidato la gestione della campagna elettorale on line a un’azienda di big data che proponeva un modello di microtargeting. La Kaiser afferma che il lavoro con Leave.EU riguardava un’analisi dei dati forniti dall’Ukip. Dai documenti visionati da The Guardian emerge tutta la circospezione di Cambridge Analytica riguardo al fatto che si sapesse di questo lavoro. La società era preoccupate di parlare apertamente delle origini dei dati analizzati, e decise di non farlo.

La Kaiser parla di almeno sei o sette settimane di lavoro e di altrettanti incontri con dei rappresentanti della Leave.Eu, di cui è fondatore Arron Banks , un grande donatore dell’Ukip.  Banks ha assicurato che Leave.eu non ricevette nessun dato o lavoro da Cambridge Analytica, ma che fu l’Ukip a consegnare alla società un pacchetto di dati da analizzare. “Ma non fu utilizzato nella campagna per la Brexit”.  A sostegno di quanto affermato, Banks attesta di non aver mai pagato per quel lavoro. Kaiser conferma: Leave.eu non pagò ma ricorda in particolare un incontro coi rappresentanti del comitato elettorale e con quelli di Farage in cui questi misero a disposizione del responsabile scientifico di Cambridge Analytica David Wilkinson i dati proprietari di cui erano in possesso.  Particolarmente utile risultò l’archivio dati derivante da un sondaggio commissionato dall’Ukip sul motivo per cui le persone avrebbero voluto lasciare o meno l’Unione Europea, corredato dai dati dei partecipanti. “Da questo materiale siamo stati in grado di costruire dettagliatamente i diversi profili di utente tipo” –personas, nell’inbound marketing, a cui indirizzare messaggi mirati-. “Quello era un lavoro che normalmente sarebbe stato pagato ", ha detto la Kaiser, che ora dice di  sentirsi a disagio e di avere dei rimorsi per aver avvallato la linea di Cambridge Analytica che ha sempre sostenuto di non avere mai svolto “alcun lavoro, né retribuito tantomeno non retribuito” per Leave.Eu. 

“Ho mentito”, dice la Kaiser, che spiega di essersi sentita obbligata a dire che le cose erano andate come sosteneva l’azienda per cui lavorava. “Coi miei capi abbiamo avuto delle discussioni con toni molto accesi al telefono, non potevo credere che mi fosse stato detto di dire l’opposto di quello che mi era stato detto di fare per così tanti mesi. Mi era stato chiesto di essere il volto di questa campagna perché i miei capi, essendo inglesi non volevano essere coinvolti in una campagna così controversa”. Ma qual’era esattamente il compito di Cambridge Analytica nella campagna per la Brexit? “La proposta era di fare ciò che facciamo per qualsiasi altra campagna nel mondo, ovvero  di intraprendere un data audit. Facciamo ricerche per te, costruiamo modelli e poi ti aiutiamo a sfruttare quel database attraverso la posta digitale, la posta diretta, eventi, qualsiasi cosa".

Kaiser ha detto che la proposta completa comprendeva due fasi di lavoro, di cui solo la prima è stata portata avanti. Afferma di aver presentato questo lavoro iniziale di dati a 15 membri del team della campagna Leave.EU in una riunione informativa,  senza però fornire il solito rapporto finale in quanto non era  stato effettuato alcun pagamento. Tuttavia, ha stimato che il lavoro di modellazione dei dati svolto da Cambridge Analytica per Leave.EU e Ukip nel periodo precedente al referendum sia stato di circa 40.000 sterline.

Che cosa succederà adesso?  Ci sono ancora molte domande a cui Cambridge Analytica deve dare risposta. A Nix potrebbe essere chiesto dai parlamentari inglesi di spiegare la sua posizione sull’utilizzo dei dati di Facebook, ad esempio. Oltre che l’indagine della Commissione elettorale, Cambridge Analytica e Facebook sono al centro di un’inchiesta del Commissariato per le informazioni inglese. “E’ una storia che andava raccontata per far si che le persone possano proteggere se stesse e i loro dati”, conclude Brittany Kaiser, che in seguito a questa vicenda ha perso il suo lavoro.  “Bisogna dire che il modo in cui avviene la centralizzazione dei dati non è più da tempo il modo in cui il mondo dovrebbe funzionare”. 

 

Paola Pintusdi Paola Pintus, esperta di esteri   

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