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[L’inchiesta] “Berlusconi ha pagato Cosa Nostra per 20 anni, anche dopo le stragi. E Riina appoggiò Forza Italia”

Nelle motivazioni della sentenza Trattativa vengono dettagliate le elargizioni di Silvio Berlusconi (già a Palazzo Chigi) ai mafiosi tramite il co-fondatore di Forza Italia Dell’Utri: "È determinante rilevare che tali pagamenti sono proseguiti almeno fino al dicembre 1994". Non solo. Secondo i giudici, lo stalliere di Arcore - e rappresentante dei clan - Vittorio Mangano era informato in anteprima di novità legislative relative alla custodia cautelare direttamente dal fondatore di Publitalia "per provare il rispetto dell'impegno assunto con i mafiosi"

Antonio Mennadi Antonio Menna, editorialista   
Silvio Berlusconi
Silvio Berlusconi, leader di Forza Italia

 

“Nella seconda metà del ’93, quando si è deciso di appoggiare Forza Italia, è venuto fuori Marcello Dell’Utri che si era preso delle garanzie nei confronti di Cosa nostra per i suoi problemi. E quindi da tutto questo noi diciamo che è nato questo appoggio da parte di Cosa Nostra nei confronti di Forza Italia. Sono stato chiaro?”. Lo dice nero su bianco, Nino Giuffré, 73 anni, uno dei collaboratori di giustizia più importanti. Lo dice nel processo sulla cosiddetta trattativa Stato-mafia, durante la stagione stragista di Cosa nostra. E oggi, i suoi e gli altri racconti, sulle connessioni politiche della mafia sono pubblicate nelle motivazioni della sentenza emessa lo scorso 20 aprile dalla Corte d’assise di Palermo.  

Nuova mafia 

Presieduta da Alfredo Montanto, con giudice a latere Stefania Brambilla, la corte ha depositato un corposo documento di 5252 pagine, che si apre con l’annuncio solenne che Giovanni Falcone aveva ragione. “La mafia è sconfitta”, si legge nelle motivazioni della sentenza. “Sconfitta perché come diceva Falcone, è un fenomeno umano e in quanto tale finirà”. Ma la corte poi precisa: sconfitta la mafia storica, Cosa nostra, quella che abbiamo conosciuto fino agli anni Novanta. Non sconfitta, certamente, la sua capacità di riorganizzarsi con forme nuove e nuove strutture. Non come l’antica Cosa nostra, quindi, ma come una organizzazione criminale più parcellizzata. 

Condanne pesanti 

E proprio su Cosa nostra, sul periodo del capo Bontate e poi del nuovo capo Riina, si concentra gran parte del lavoro investigativo che poi, a processo, con i Pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Francesco Del Bene e Vittorio Teresi, ha portato a condanni pesanti: tra queste dodici anni per Marcello Dell’Utri, ex senatore di Forza Italia, già condannato definitivamente dalla Cassazione nel 2014 e oggi a casa dopo la sospensione della detenzione in carcere per motivi di salute. 

Vicino a Cosa nostra 

“Dell’Utri com’era conosciuto da lei?”, chiede durante il dibattimento un avvocato a Giovanni Brusca, noto mafioso. “Un imprenditore, una persona che era vicina a Cosa nostra, originariamente vicina a Stefano Bontate, guardato con sospetto da Totò Riina, sospetto negativo”. E la dichiarazione di Brusca trova riscontro incrociato nei racconti di vari collaboratori di giustizia, che chiamano in causa pesantemente anche Forza Italia. 

Il discorso unitario 

“Su Forza Italia – si legge nella sentenza, riportando le dichiarazioni di Giuffré - si è coagulato un discorso unitario, c’è stato un accordo e c’era anche una stanchezza dell’opinione pubblica verso la Democrazia (Cristiana). Il successo è stato strepitoso e non solo per merito di Cosa nostra”. “Quando parliamo di buone mani – aggiunge Brusca - parliamo di Dell’Utri e del nuovo movimento politico diciamo che si affaccia…siamo nel ’93, nella seconda metà del ’93, dovremmo essere, quando siviene a sapere ufficialmente, anche se in tutta onestà potrei dire che ufficiosamente già qualche mese prima girava voce di questa discesa in campo. Marcello Dell’Utri era ultimamente in contatto con Brancaccio e in modo particolare con i fratelli Giuseppe e Filippo Graviano. Parliamo di appoggi elettorali dati appositamente con la speranza di trarne dei vantaggi”. Nelle motivazioni della sentenza, si legge ancora che “verso la fine del 1993 il ruolo che in precedenza era stato svolto da Vito Ciancimino nell’interesse di Cosa nostra era stato poi assunto da Marcello Dell’Utri. “Questo lo posso tranquillamente asserire – dice Giuffré”. 

La memoria 

I giudici della Corte d’Assise alla figura di Dell’Utri dedicano molte pagine. Non a caso è colui che ha beccato la condanna più pesante, dopo Bagarella (28 anni), e insieme a Mori e Subranni, confermando, almeno in primo grado, quel profilo di uomo cerniera tra la Sicilia e gli interessi prima economici e poi politici di Silvio Berlusconi. Le motivazioni della sentenza citano altri dispositivi a carico di Dell'Utri: "Con l'apertura alle esigenze dell'associazione mafiosa Cosa nostra, manifestata da Dell'Utri nella sua funziona di intermediario dell'imprenditore Silvio Berlusconi nel frattempo sceso in campo in vista delle politiche del 1994 – si legge nelle carte -, si rafforza il proposito criminoso dei vertici mafiosi di proseguire con la strategia ricattatoria iniziata da Riina nel 1992". E ancora: "Se pure non vi è prova diretta dell'inoltro della minaccia mafiosa da Dell'Utri a Berlusconi, perché solo loro sanno i contenuti dei loro colloqui, ci sono ragioni logico-fattuali che inducono a non dubitare che Dell'Utri abbia riferito a Berlusconi quanto di volta in volta emergeva dai suoi rapporti con l'associazione mafiosa Cosa nostra mediati da Vittorio Mangano". 

Un rapporto ininterrotto

“La nuova direzione mafiosa voluta da Riina – si legge nella sentenza -, subentrato a Bontate nella Cosa nostra palermitana non aveva inciso sugli equilibri sanciti tra Cosa nostra, Dell’Utri e Berlusconi con il patto del 1974 che è rimasto del tutto immutato ed è proseguito senza soluzione di continuità fino al 1992”. “Incontestabile – si dice in un altro passaggio - che, nel periodo successivo alla morte di Stefano Bontade e durante il dominio di Salvatore Riina, non è registrata alcuna interruzione dei pagamenti cospicui da parte di Silvio Berlusconi”. “Il gruppo imprenditoriale milanese facente capo a Silvio Berlusconi pagava somme di denaro alla mafia, a titolo estorsivo, e ciò fino agli inizi degli anni 90”. 

Il ruolo chiave di Dell’Utri 

“La peculiarità del comportamento di Dell’Utri – si legge ancora nelle carte del processo - è consistita nel suo modo speciale e duraturo di rapportarsi con gli esponenti di Cosa nostra non provando mai in un ventennio nessun imbarazzo o indignazione nell’intrattenere rapporti conviviali con loro, sedendosi con loro allo stesso tavolo”. “Un soggetto – si legge - che pur non essendo intraneo all’associazione mafiosa, ha voluto consapevolmente interagire sinergicamente con soggetti acclaratamene mafiosi, rendendosi conto di apportare con la sua opera di mediazione un’attività di sostegno all’associazione senza dubbio prezioso peril suo rafforzamento”.

 

Antonio Mennadi Antonio Menna, editorialista   
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