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[Il commento] Aspettando su Rai2 il Freccero sovranista: le sue idee in tv ancora non si vedono

Lasciamo giudicare agli altri se ci riesce e no, e adesso comunque è ancora troppo presto per valutare il suo lavoro in Rai

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
[Il commento] Aspettando su Rai2 il Freccero sovranista: le sue idee in tv ancora non si vedono

Carlo Freccero può anche non piacere, e adesso a leggere i giornali non piace a un mucchio di gente oltre che a Bruno Vespa, molto probabilmente, che lui ha definito «un ricco giornalista leninista che in Rai impone il suo punto di vista, diciamolo, un po’ basico», eppure resta geniale tutte le volte che parla di tv, e quindi di società e di mondo, e che difende le sue scelte, che le spiega e le crea. Non si vedono ancora le idee che raccontava nel suo libro, «Televisione», ma noi ci crediamo. Le aspettiamo.

Orgogliosamente ligure e savonese, classe 1947, italiano di provincia e di scogli, Carlo Freccero è stato catapultato in tv, agli inizi degli Anni 80 del secolo scorso, dalla sua passione per il cinema, a dimostrazione di come i percorsi individuali a volte non abbiano sempre un senso compiuto, e ha attraversato Fininvest, Rai, Prodi e Berlusconi, licenziamenti, allontanamenti, insulti, epurazioni, editti, e poi ritorni, il populismo del Cavaliere e quello di adesso, la tv commerciale, il satellite e il digitale terrestre, in Francia a La Cinq e in Spagna a Telecinco, sempre sognando la sua idea rivoluzionaria di una televisione ancorata alla realtà, che insegue l’audience, ma anche una missione, una tivù situazionista e visionaria.

Lui è l’uomo di Drive In e di Dallas, di Michele Santoro e di Daniele Luttazzi, il bizzoso inventore di programmi e concetti contrari, di un mondo che guarda sempre al futuro, qualunque esso sia, brutto o bello. Carlo Freccero è stato in ogni tempo un uomo contro, scovato e inventato - in un certo senso - da Berlusconi e finito dall’altra parte della barricata, grande regista della Raidue prodiana che ha subito l’editto bulgaro, ma che poi all’epoca di Renzi arrivò a sostenere che quell’editto in confronto a quello che faceva il leader fiorentino «era un atto poetico.

La censura berlusconiana nella tv generalista è ruspante, mentre quella dei politici 2.0 è subdola, invisibile, avvolgente». A forza di guardare il futuro, ha cominciato a profetizzarlo, come succede - appunto - ai geniacci. In tempi non sospetti disse: «Per mandare a casa Renzi, mi alleo anche con la destra». Era il 21 settembre 2016, quando un governo gialloverde non era nell’agenda di nessuno. Freccero aveva già svoltato. Ormai sovranista, contro il pd, dichiarava di votare 5 stelle alle comunali e spendeva già belle parole per Salvini.

Ma chi pensa a lui come a un opportunista commette un errore fatale. In realtà, la sua geniale vena provocatoria è qualcosa di più di bizzosa, persino un po’ folle, ed è più facile prevederlo in lite prima o poi con i suoi datori di lavoro, come ha sempre fatto fino adesso e come ha cominciato a fare l’altro giorno in commissione vigilanza litigando con il leghista Paolo Tiramani, accusato di essere «culturalmente» troppo lontano da lui. Freccero, docente di linguaggio televisivo e comunicazione all’Università di Roma 3 e di Genova, è così innamorato della televisione da metterla sempre davanti a tutto e al centro di tutto, come fa qualsiasi innamorato.

In fondo bisogna capirlo, lui ci nasce e ci cresce dentro, in quella tv che dispiega il suo immenso potere taumaturgico dagli Anni 80 in avanti con l’avvento della post modernità, sull’onda del nuovo capitalismo che ha abbandonato le fabbriche e si sta spostando sul mercato e sulla finanza, soprattutto, imponendo una realtà nuova, di massa, non di rado trash e volgare, ridisegnando il gusto medio degli italiani. La televisione, e in particolare quella commerciale, diffonde e sostiene valori diversi da quelli del passato, come il disimpegno, l’affermazione individuale, la schiavitù dei consumi, iniziando a trasformare i rapporti da verticali a orizzontali, anticipando così la rivoluzione del web, svincolando la dialettica da ogni forma di rispetto per gerarchie e autorità. Freccero è a tutti gli effetti uno dei creatori e dei padroni di questo mondo culturale.

Quando con Berlusconi il messaggio viene trasferito nella politica, elaborando questo linguaggio ereditato dalla tv che sostituisce il marketing alla filosofia e all’ideologia, e i sondaggi alle opinioni dei professori - i sondaggi non distinguono i pareri ma li contano in maniera orizzontale, non riconoscendo nessuna autorevolezza -, Freccero viene allontanato, come Indro Montanelli, e come tutti quelli che non erano d’accordo. In quegli anni, però, dal 96 in poi, Carlo Freccero è quello che ha fatto l’unica tv di opposizione mai esistita in Italia, con le sue trasmissioni giornalistiche e quelle di satira, dai fratelli Guzzanti a Luttazzi, da Santoro alla Dandini.

Ma si può ancora fare adesso una tv così? A proposito di Povera Patria, la prima nuova trasmissione voluita da Freccero, Agenzia Radicale ha scritto ironicamente che «il genio della televisione non è solo un maestro di costruzioni affascinanti sul piccolo schermo. Asseconda le traiettorie televisive alle posizioni politiche di chi lo ha voluto in quel posto. E non devono esistere altre posizioni. Proprio così: ... Povera Patria...».

Di tutte le critiche che gli hanno rivolto in questi giorni, questa sarà la più scontata, ma è l’unica vera. Solo che così va il mondo, alle nostre latitudini, anche se vengono quelli che dicevano mai più i partiti dentro la Rai. Eppure, noi continuiamo a credergli. Lui scrisse una volta che «la bellezza è tale perché inconsapevole, insensata, priva di contenuti e di significati. Galleggia sulla nostra vita perchè leggera e disancorata da qualsiasi legame reale. E’ naturalmente stupida e proprio per questo gradevole. La vita è un vuoto. La bellezza la rende accettabile, ma la bellezza è a sua volta un vuoto».

Questa esaltazione del Nulla, di una Assenza che danza leggiadra sulle nostre esistenze è pure il ritratto di questa epoca che ancora dobbiamo cominciare a decifrare e che proprio per questo è Nulla come il Grande Vuoto che rappresenta, tutto da riempire, ma che tutto può ingoiare nella sua vastità eterea. Ma questo è quello che ha sempre cercato di fare Freccero. Lui è uno che riempie i vuoti, che per professione cerca di nutrire la bellezza.

Lasciamo giudicare agli altri se ci riesce e no, e adesso comunque è ancora troppo presto per valutare il suo lavoro su Raidue. Però, in quel suo libro, «Televisione», Freccero ha sostenuto che può nascere una nuova televisione, quasi purificata da quella dei suoi anni migliori, una televisione in grado di rappresentare nuove forme di complessità, anche di livello elevato come le fiction americane, e dentro a tutto questo ci sarebbe spazio per progettare un nuovo servizio pubblico pedagogico, a patto che fosse in grado di spaziare tra culture diverse e valorizzare l’intelligenza dello spettatore. Questo ha raccontato Carlo Freccero. E questo ci aspettiamo da lui. Saremo degli ingenui, ma ci crediamo ancora. 

Pierangelo Sapegnodi Pierangelo Sapegno   
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