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Le chiacchiere non servono a salvare la pace e la Terra: allarme di Francesco su guerra, lavoro, clima

Nei giorni del G20 e COP26 e nel ricordo dei morti il Papa si conferma un paziente pedagogo che spinge la politica, la Chiesa, l’economia a cambiare. E ricorre al neologismo di immigrati ambientali.

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
Foto Ansa
Foto Ansa

La denuncia del pericolo di fermarsi al bla bla bla anche nelle cose importanti che riguardano l’umanità intera, papa Francesco la formula a modo suo, facendo capire che chiacchiere e chiacchiericci non gli piacciono. Di chiacchiere può morire la politica inconcludente; di chiacchiericcio si alimenta l’inconcludenza popolana che scivola con facilità nelle trappole del populismo. Di questo rifiuto del Papa a uno stile enfatico senza costrutto per nascondere la scarsa o nessuna volontà nell’affrontare i problemi comuni e pressanti dell’umanità come la pandemia, la pace, l’ecologia, il fare comunità di fede, se n’è avuta l’ennesima prova negli ultimi giorni: sulla crisi climatica ha invitato i governi a chiudere accordi necessari e non rinviabili per non scaricare alle generazioni future il fallimento nella cura del creato.

Pur rilevando l’importanza di vertici internazionali come il G20 e il COP26 ha posto alla riflessione politica in corso il fallimento finora registrato. Nel serrato dibattito tra i grandi nell’incontro di Glasgow ricorda a tutti che nessuno ha finora onorato il precedente impegno del COP21 di Parigi del 2015 di ridurre le emissioni di gas serra dell’1,5%. Alle decisioni devono seguire i fatti specialmente in politica. “Mentre inizia la Conferenza di Glasgow, - afferma il papa nel messaggio letto ai partecipanti dal cardinale Pietro Parolin - siamo tutti consapevoli che essa ha l’importante compito di mostrare all’intera comunità internazionale se realmente sussiste la volontà politica di destinare con onestà, responsabilità e coraggio maggiori risorse umane, finanziarie e tecnologiche per mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico così come per aiutare le popolazioni più povere e vulnerabili, che sono quelle che ne soffrono maggiormente”.

Netto dunque il richiamo del Papa alla volontà politica di fare e realizzare gli obiettivi dal momento che le risorse ci sono. Perché accada si richiede anzitutto una svolta nel modo di fare politica, con una capacità di orizzonte ampio entro cui affrontare e risolvere i problemi interni di ciascun Paese. A questo scopo il Papa suggerisce gli ambiti che richiedono soluzioni nuove e ricorre addirittura a una categoria assente finora dal suo pur attento linguaggio sul fenomeno migratorio. Parla infatti di migranti ambientali. “Purtroppo – rileva nel messaggio al COP26 - dobbiamo constatare amaramente come siamo lontani dal raggiungere gli obiettivi desiderati per contrastare il cambiamento climatico. Va detto con onestà: non ce lo possiamo permettere! In vari momenti, in vista della COP26, è emerso con chiarezza che non c’è più tempo per aspettare; sono troppi, ormai, i volti umani sofferenti di questa crisi climatica: oltre ai suoi sempre più frequenti e intensi impatti sulla vita quotidiana di numerose persone, soprattutto delle popolazioni più vulnerabili, ci si rende conto che essa è diventata anche una crisi dei diritti dei bambini e che, nel breve futuro, i migranti ambientali saranno più numerosi dei profughi dei conflitti”.

La stessa onestà la si riscontra nel messaggio al direttore generale della FAO nella Giornata contro il lavoro minorile in agricoltura. Altra spinosa questione sulla quale da decenni si discetta senza giungere conclusione. L’organizzazione internazionale del Lavoro (Ilo) calcola che siano 112 milioni attualmente i minori schiavi del lavoro minorile in agricoltura. Sono migliaia – sottolinea il Papa - i minori “costretti a lavorare instancabilmente, in condizioni estenuanti, precarie e avvilenti, subendo maltrattamenti, abusi e discriminazione” e rimarca che la situazione è ancor più sconfortante quando i genitori sono costretti a mandare i figli a lavorare perché senza il loro contributo non sarebbero in grado di mantenere la famiglia.

Sobrietà ed efficacia di Francesco anche nel rifiutare la guerra ma sapendo condividere la tragedia di morte di milioni di soldati. Quando si era diffusa la notizia che il papa per ricordare i morti sarebbe andato a celebrare messa nel cimitero francese di Roma dove si conservano le tombe dei militari d’oltralpe morti in Italia, qualche voce critica si era levata. E’ infatti ancora vivo il ricordo nelle popolazioni del centro e sud d’Italia, specialmente donne, vittime di stupri da parte dei reparti militari marocchini delle truppe francesi. Veri spauracchi che gli stessi graduati faticavano a tenere a freno.

Ebbene, Francesco ha dato prova di saper conciliare giustizia e pietà in un caso scomodo come la messa nel cimitero francese di Roma. “Queste tombe sono un messaggio di pace: “Fermatevi, fratelli e sorelle, fermatevi! Fermatevi, fabbricatori di armi, fermatevi!”. Tombe anche senza nome. Ma “questa è la tragedia della guerra. Sono sicuro che tutti questi che sono andati in buona volontà, chiamati dalla patria per difenderla, sono con il Signore. Ma noi, che stiamo in cammino, lottiamo sufficientemente perché non ci siano le guerre? Perché non ci siano le economie dei Paesi fortificate dall’industria delle armi? ... Fermatevi, fratelli e sorelle, fermatevi! Fermatevi, fabbricatori di armi, fermatevi!”. L’ultimo tocco da pedagogia Francesco l’ha offerto all’udienza generale di oggi, numero 14 di quelle dedicate a spiegare la Lettera di san Paolo ai Galati che tratta di libertà, di legalità, di attenzione anziché di giudizio verso gli altri.

Il Papa ha concluso la catechesi così: “Quando siamo tentati di giudicare male gli altri, come spesso avviene, dobbiamo anzitutto riflettere sulla nostra fragilità. Quanto facile è criticare gli altri! Ma c’è gente che sembra di essere laureata in chiacchiericcio. Tutti i giorni criticano gli altri. Ma guarda te stesso! È bene domandarci che cosa ci spinge a correggere un fratello o una sorella, e se non siamo in qualche modo corresponsabili del suo sbaglio. Lo Spirito Santo, oltre a farci dono della mitezza, ci invita alla solidarietà, a portare i pesi degli altri. Quanti pesi sono presenti nella vita di una persona: la malattia, la mancanza di lavoro, la solitudine, il dolore…! E quante altre prove che richiedono la vicinanza e l’amore dei fratelli!... Ma tu ama sempre. La regola suprema della correzione fraterna è l’amore: volere il bene dei nostri fratelli e delle nostre sorelle. Si tratta di tollerare i problemi degli altri, i difetti degli altri in silenzio nella preghiera, per poi trovare la strada giusta per aiutarlo a correggersi. E questo non è facile. La strada più facile è il chiacchiericcio. "Spellare" l’altro come se io fossi perfetto. E questo non si deve fare. Mitezza. Pazienza. Preghiera. Vicinanza”. Sogno o realtà possibile perseguita da Francesco per l’umanità?

Carlo Di Ciccodi Carlo Di Cicco   
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