Ottant’anni di cappellani del lavoro: chi sono cosa fanno e perché il loro ruolo è fondamentale
Questa dei cappellani del lavoro è invece una storia che nasce nell’alveo della Curia di Genova con il cardinal Pietro Boetto e che cresce negli anni del cardinale Giuseppe Siri, l’uomo che fu dato quattro volte fra i papabili,
È un fenomeno tutto genovese e assolutamente unico che, per capirci, non ha nulla a che vedere con i preti operai, esperienza che nasce in Francia, che furono numerosi anche alle nostre latitudini dopo il Sessantotto e oggi sono quasi tutti in pensione, tanto che ne restano meno di venti in tutta Italia. E il nostro non è un giudizio di valore, è semplicemente la descrizione di due storie molto differenti.
Perché questa dei cappellani del lavoro è invece una storia che nasce nell’alveo della Curia di Genova con il cardinal Pietro Boetto e che cresce negli anni del cardinale Giuseppe Siri, l’uomo che fu dato quattro volte fra i papabili, cioè in tutti i conclavi a cui partecipò nei 41 anni in cui restò alla guida della Curia genovese, soprattutto in quello del 1958, in cui secondo molti sarebbe stato eletto Papa, ma poi fu costretto a rinunciare e uscì Giovanni XXII. E ancora in quello dell’agosto del 1978 che poi elesse Papa Giovanni Paolo I, che prevalse di poco su cardinale di Genova, e ancor più in quello di tre mesi dopo quando divenne Papa Giovanni Paolo II, che secondo le ricostruzioni prese due o tre voti in più rispetto a Siri.
Insomma, le volte che il cardinal Siri andò a un passo dal Pontificato lo perse sempre perché ritenuto troppo “conservatore” e la parte più progressista dei cardinali temeva che in qualche modo potesse fare marcia indietro rispetto alle scelte del Concilio Ecumenico Vaticano II.
Ma, in realtà, nella pratica quotidiana, Siri fu un cardinale tutt’altro che reazionario e sempre attento agli ultimi e ai lavoratori, come dimostra questa storia. Infatti potenziò i cappellani del lavoro per portare assistenza pastorale nelle fabbriche, ma volle espressamente che fossero solo sacerdoti e non lavorassero alle catene di montaggio pur condividendo con i lavoratori anche e soprattutto i momenti aziendali più difficili.
Da allora il ruolo dei cappellani è sempre stato importantissimo, soprattutto in un mondo operaio sempre in prima linea come quello genovese e al centro di tutte le tensioni economiche e sociali di quegli anni: lo scontro fra i blocchi degli anni Cinquanta, gli scontri per la nascita del governo Tambroni il 30 giugno 1960 e negli anni successivi, il Sessantotto, gli anni del terrorismo con l’uccisione di Guido Rossa, le crisi economiche e quelle aziendali, in cui i cappellani del lavoro sono sempre stati presenti.
Ecco, c’è tutto questo al centro dei primi ottant’anni della Fondazione ARMO, questo il nome tecnico della cappellania dei lavoratori con l’acronimo che sta per Assistenza Religiosa Morale Operai, e che ha portato a una mostra nella storica sede di via del Molo a Genova, a fianco del Porto Antico di Renzo Piano, con l’aria delle banchine e delle riparazioni navali che si sente fortissima, e a un convegno con la partecipazione di addirittura due vescovi e cardinali: quello odierno di Genova, Marco Tasca, e il suo predecessore Angelo Bagnasco, che è stato a lungo presidente di tutti i vescovi italiani, la CEI, e oggi guida i vescovi europei.
E partiamo proprio dalla specificità di questa storia, come detto, solo genovese: “Quando eravamo con i miei colleghi vescovi nelle sessioni della Conferenza Episcopale Italiana – racconta sorridendo Bagnasco – io provavo a spiegare loro l’importanza dei cappellani del lavoro, insistendo sull’importanza della loro istituzione, ma evidentemente non sono stato abbastanza convincente”. E gli fa eco Giovanni Mondini, vicepresidente della Erg e numero uno di Confindustria Liguria: “A Roma ai miei colleghi imprenditori racconto sempre quanto siano importanti i cappellani”.
E – in un trionfo di presenze di peso, Edoardo Garrone, che del gruppo Erg è presidente, ma lo è anche del Gaslini, l’ex ministro della Difesa Roberta Pinotti, l’ex governatore Claudio Burlando, gli assessori allo Sviluppo Economico di Comune e Regione Mario Mascia e Alessio Piana, l’ex segretaria della Cisl Annamaria Furlan, decine di capi e dirigenti d’azienda, sindacalisti e lavoratori - parte qui, in un video, ma anche dal vivo, una serie di racconti che fotografa il ruolo dei cappellani del lavoro come meglio non si potrebbe.
La parte accademica, perfetta, spetta a Marco Doria, ex sindaco di Genova e ordinario di storia economica nell’ateneo genovese, quella maieutica a Massimo Minella, che ormai ha una padronanza del palco tale che gli permette di essere un moder-attore, ma a fare la differenza sono proprio le testimonianze dei cappellani e anche di coloro che hanno da sempre a che fare con loro.
Così è proprio Giovanni Mondini a ricordare come monsignor Luigi Molinari, che dei cappellani è una sorta di pontefice massimo, spesso e volentieri gli manda messaggini via SMS come presidente di Confindustria prima di Genova e poi della Liguria. “Vorrei sentirla”. Convocazioni a cui è ovviamente impossibile dire di no. Come conferma Sandro Scarrone, storico capo del personale di Fincantieri, che parla di Molinari con la riverenza solitamente riservata ai Santi.
Anche perché Giuseppe Zampini, che è stato anche lui alla guida di Confindustria Genova prima e Confindustria Liguria poi, e soprattutto è stato lo storico amministratore delegato di Ansaldo Energia, ricorda: “Un giorno un signore mi chiese di parlare delle dilatazioni termiche differenziali alle riparazioni navali ed era lo stesso che, quando ero ad, veniva ogni quindici giorni nel mio ufficio ad informarsi sullo stato delle commesse e del lavoro. Era monsignor Molinari”.
E poi ci sono Antonio Benvenuti, console dei camalli di Genova, che è all’incontro con lo storico rappresentante Fiom di Fincantieri a Sestri Ponente Giulio Troccoli, entrambi rappresentanti di Lotta comunista. Benvenuti racconta: “Io sono ateo, ma ci siamo sentiti sempre accolti dai cappellani del lavoro e nella più dura delle vertenze fra noi camalli e la dirigenza del porto, quando chiesero chi aveva vinto, la risposta fu “Ha vinto il prete”.
Ateo è anche Massimo Bisca, capo dell’Anpi genovese, che ricorda che i cappellani furono al suo fianco nella battaglia per salvare Ansaldo Energia così come Armando Palombo, storico rappresentante dei lavoratori dell’ex Ilva, le acciaierie di Cornigliano: “Non sono credente, sono comunista internazionalista, ma ogni volta che ho bussato alle porte dei cappellani del lavoro li ho trovati”. E Paolo Olmari, sindacalista della Cisl, che invece è religioso, ricorda come i suoi portino sempre la cassa al Corpus domini insieme ai cappellani. E non manca la Uil con Mario Ghini e Alfonso Pittaluga, con i cappellani che mettono d’accordo tutti i confederali.
Il cardinale Bagnasco ricorda quando il fondatore Boetto disse “dovete fare la vostra opera sempre sulla predella dell’altare, senza interferire nella gestione dell’azienda”, né direttamente nelle vertenze sindacali, ma a fari spenti. L’attuale arcivescovo Marco Tasca, francescano, bergogliano, che è stato ministro generale dell’Ordine dei Frati minori conventuali, ricorda le regole base dei cappellani del lavoro: “Agire senza clamore, con discrezione, senza attirare l’attenzione, tessere relazioni” e ricorda di quando arrivò a Genova e il sindaco Marco Bucci come prima cosa gli disse: “Per me la cosa più importante sono i cappellani del lavoro. E io allora non sapevo bene cosa facessero….”.
E poi le parole di Enzo Melillo, giornalista Rai di grande sensibilità, che ha dedicato loro un libro e ricorda di quando i dipendenti Italimpianti istituirono una cassa comune di mutuo soccorso per affrontare una fase difficile aziendale e sindacale, “e si fidavano solo dei cappellani del lavoro per gestirla”.
O ancora, come ricorda Minella, quando l’allora console dei camalli Paride Batini, comunista, andò dal cardinale Siri per chiedergli aiuto e Siri: “Se venite da me, siete davvero messi male”. Il viceconsole Matteo Fusaro, socialista, disse: “Ci serve semplicemente avere il pane tutti i giorni”. E Siri: “Il pane va bene, ma il pandolce (un panettone genovese, riservato alle feste ndr) anche non tutti i giorni”.
Monsignor Molinari ringrazia “il signore che in questi ottant’anni ha sempre tenuto le mani su di noi”, i suoi cappellani nelle testimonianze raccolte anche con la collaborazione di Enrico Pignone e di Fondazione Ansaldo festeggiano insieme a lui: don Massimiliano Moretti e don Gian Piero Carzino ricordano gli incontri più divertenti con alcuni lavoratori, solitamente non religiosi, e raccontano lo straordinario rapporto di fiducia nato con loro, don Mauro Mazzone, che da ingegnere Elsag è diventato cappellano proprio di Elsag, grazie alla sua vocazione tardiva, racconta il giorno che si scordò la tovaglia per l’altare per la messa di Natale in fabbrica e le tovagliette e i tavoli della mensa divennero l’altare.
Ecco, sono i cappellani del lavoro.