La giustizia climatica attacca l'arte: le tattiche di comunicazione di Just Stop Oil sono efficienti?

14 ottobre 2022: due attiviste climatiche inglesi, Phoebe Plummer e Anna Holland, appartenenti al gruppo “Just Stop OIl” (“fermiamo il petrolio”), entrano nella National Gallery di Londra e tirano il contenuto di due barattoli di zuppa sul capolavoro di Vincent van Gogh “I girasoli” (al sicuro dietro una lastra protettiva). A seguito delle loro azioni le due ventenni sono state arrestate per violazione aggravata e vandalismo. Nelle loro parole “Cosa vale di più, l'arte o la vita? Siete più preoccupati per la protezione di un dipinto o per la protezione del nostro pianeta e delle persone?" il seme di un fenomeno di attivismo dai tratti forti, e che apre molti interrogativi a livello etico e sociale. Di qualche giorno fa è il tentativo di un altro gruppo di attivisti (ndr Ultima Generazione) che ha sparso del colorante nero nella fontana della Barcaccia, in Piazza di Spagna. Un simbolo mondiale di arte e bellezza, preso di mira, in quello che sembra non essere l'ultimo atto di queste manifestazioni di protesta. Una comunicazione, quella degli attivisti, che va analizzata perché quando la “giustizia climatica” attacca l’arte, le conseguenze non sono mai a somma zero.
“… il modo in cui i cambiamenti avvengono”: la retorica di Just Stop Oil
Un passo indietro, per provare a capire il movimento, è doveroso. E per farlo, si può partire dalle parole del loro portavoce Alex De Koning, che ha poi dichiarato: "Non stiamo cercando di fare amicizia qui, stiamo cercando di apportare un cambiamento e sfortunatamente questo è il modo in cui i cambiamenti avvengono”. Un “cambiamento”, se così lo si vuole definire, che Nei mesi successivi ha coinvolto anche Il Louvre di Parigi, la National Gallery of Victoria a Melbourne, il Museo del 900 a Milano, il 'Dito' di Maurizio Cattelan, e di recente anche Palazzo Vecchio e gli Uffizi a Firenze. Gesti simbolici forti, con il pretesto del cambiamento climatico, che hanno portato ad una forte divisione all’interno dell’opinione pubblica.
La divisione nell’opinione pubblica: tra supporter e contrari
A riassumere il dibattito che si è generato attorno alle azioni del gruppo di attivisti, le parole di Jeff Sparrow del Guardian: “È molto meglio parlare troppo forte che rimanere in silenzio, se non vi piacciono le proteste degli attivisti per il clima nelle gallerie d'arte, organizzate qualcosa di meglio”.
Tra voci di dissenso (molte) e altre di comprensione, il gesto reattivo da parte del gruppo di attivisti è visto dalla maggior parte dell’opinione pubblica come un qualcosa di totalmente non condivisibile. Anche non avendo - come sostengono alcuni - di mira le singole opere, gesti come questo rischiano di non essere un’amplificazione per una veloce risoluzione dei problemi ambientali, spostando piuttosto l’attenzione sulla gestualità e non sulla tematica sottesa.
I gruppi di attivisti non adottano, per esempio, una concreta strategia comunicativa: non instaurano tavoli e non appaiono, almeno a prima vista, opinion leader da poter interpellare nella risoluzione delle problematiche ambientali.
Se poi, ad essere presi di mira, sono simboli dell’arte internazionale e nazionale, quale, ad esempio, “I girasoli” già citati in apertura, o Palazzo Vecchio a Firenze, è difficile trovare una giustificazione condivisa a questi gesti.
Come viene percepita la questione in Italia
Prendendo a riferimento lo scenario italiano, sono nitide nella memoria e molto recenti le scene che ritraggono il sindaco di una delle principali città italiane impegnarsi nel ripulire il municipio cittadino preso ad oggetto dagli ambientalisti. Tra gli accademici che per primi hanno provato ad analizzare da un punto sociale le azioni, la professoressa Carmen Leccardi, responsabile di Sociologia e ricerca sociale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, ha argomentato che alla base del contrasto a queste azioni risiede il fatto che non tutti condividono l’urgenza nel fermare la crisi ambientale, e, anche chi invece la condivide, non è pronta/o a spingersi così tanto a favore della causa.
Negli ultimi decenni del Novecento, in Italia sono stati molteplici i movimenti che, con metodologie radicalmente diverse rispetto a quelle degli attivisti di Just Stop Oil, hanno profondamente influenzato il clima culturale e il dibattito culturale attorno a determinate tematiche. Questi movimenti hanno accompagnato l’espansione economica, democratica e culturale del Paese, adottando a volte delle forme di protesta che, per il sentire del tempo, non erano considerate convenzionali. Nulla a che vedere, ovviamente, con l’attaccare le opere d’arte. Difficile dire se una similitudine, quanto meno nelle intenzioni finali, è possibile. Ma di sicuro era comune a tutti il voler adottare un cambiamento, radicale, totale e immediato, contro una situazione fattuale.
Un punto che mette d’accordo tutti: serve un maggior impegno per l’ambiente
Van Gogh, nelle sue numerose lettere al fratello, scrisse: “[…] Non è il linguaggio dei pittori ma quello della natura che bisogna ascoltare. Il sentimento che suscitano le cose stesse, la realtà infine, è più importante dei sentimenti che suscitano i dipinti” (Lettere a Theo, p. 153).
Se i gesti degli attivisti sono, per loro stessa natura, polarizzanti e fonte di divisione e dissenso, resta valido un pensiero che mette, forse, tutti d’accordo: serve un maggior impegno collettivo per far fronte alle sfide che il cambiamento climatico già in atto impone. E allora, ben vengano le partnership pubblico private, le iniziative di sostenibilità dei grandi gruppi industriali, i cambiamenti legislativi verso un risparmio della Co2. E’ una strada lunga, in salita, sicuramente difficile: ma la sostenibilità è un impegno concreto, quotidiano e non di sola tendenza.
Sperando, per il futuro, di avere meno vernice sull’arte e più azioni concrete per la natura: la prima a soffrire, insieme all’umanità, ad un mondo che respira sempre più al rilento.