[L’intervista] "Le piccole medie imprese italiane dovrebbero sfruttare l'opportunità del Brand Journalism"
Tiscali News ha sentito Roberto Zarriello, uno dei massimi esperti italiani nella nuova disciplina di comunicazione che coinvolge giornalisti e aziende
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In Italia uno dei primi giornalisti ad occuparsi di Brand Journalism è stato Roberto Zarriello con un incessante lavoro di promozione e divulgazione. Da poche settimane è disponibile per l’acquisto online la seconda edizione di “Brand Journalism” saggio in cui Zarriello riprende ed amplia i contenuti pubblicati nella prima edizione del 2016. Pubblicazione che in questi anni è diventata uno dei testi di riferimento per tutti coloro che vogliono avvicinarsi alla materia. Tiscali News lo ha sentito per fare il punto sullo stato dell'arte nel nostro Paese di questa nuova forma di giornalismo.
Nonostante non sia più una novità assoluta il Brand Journalism è ancora poco conosciuto al grande pubblico. Di cosa si tratta esattamente?
"E’ un tipo di giornalismo che si occupa dell’impresa, ovvero di tutto ciò che ruota attorno a un marchio, o brand, con una precisa finalità: informare i lettori sulla storia dell’azienda, utilizzando gli strumenti e le regole proprie del professionista della notizia”.
Chi è l’editore di questa nuova forma di giornalismo?
"Le aziende stesse che decidendo di fare Brand Journalism decidono di diventare delle media company. Perché, e questo è importante sottolinearlo, bisogna svolgere l’attività in modo strutturato ovvero bisogna avere una redazione e un preciso piano editoriale”.
Sembrerebbe una opportunità professionale per i giornalisti?
“Lo è ma non solo per loro. I team che si occupano di Brand Journalism dovrebbero essere multidisciplinari per sfruttare appieno le potenzialità offerte dai media digitali. Perciò affianco ai giornalisti dovrebbero esserci anche grafici, video makers e social media managers”.
Concretamente di quali notizie dovrebbe occuparsi il Brand Journalism?
"Possono essere di vario tipo. Per esempio approfondimenti di data journalism (quindi con grafici e numeri) sull’andamento del proprio mercato di riferimento, storie sulle eccellenze del settore ma anche notizie collegate all’attualità.
Ci puoi fare un esempio con riferimento all’ultimo caso da te indicato?
"Il primo che mi viene in mente potrebbe interessare le aziende che si occupano di selezione del personale. Potrebbero riprendere gli ultimi dati sulla disoccupazione pubblicati dall’Istat per parlare delle competenze più richieste dalle aziende loro clienti. Questo ovviamente è solo uno tra i tanti casi possibili. Ecco perché in un team che si occupa di Brand Journalism le figure chiave sono proprio i giornalisti che più di tutti hanno la capacità di individuare e creare notizie partendo dall'osservazione dell'attualità".
Quali sono i benefici derivanti alle aziende dal fare Brand Journalism?
“Per rispondere bisogna prima chiarire un punto: questa nuova forma di comunicazione non è pubblicità. Non deve vendere prodotti o servizi ma informare rispettando i principi deontologici più importanti del giornalismo, primo fra tutti la verità dei fatti. Il Brand Journalism può essere utilizzato per informare il mercato su tutto ciò che ruota attorno al marchio ma anche per trasmettere una certa sensibilità verso i temi valoriali più cari all’azienda. E’ dunque una attività utile in primo luogo al brand e indirettamente anche alle vendite”.
Quale è lo stato dell’arte del Brand Journalism in Italia?
"Anche da noi ci sono ormai esperienze consolidate di questa nuova forma di giornalismo. Rimane però una sfida ancora da vincere che dipende dalla peculiarità del nostro sistema produttivo: la presenza massiccia di pmi ovvero piccole e medie imprese. Fare Brand Journalism è ovviamente più semplice per le aziende di grandi dimensioni ma anche quelle più piccole possono e devono sfruttare questa grande opportunità per raccontare se stesse al mercato. Le nostre pmi possono raccontare storie molto belle e i costi per aprire un blog sono ormai davvero limitati. Bisogna solo avere il coraggio di innovare per cogliere appieno le opportunità offerte dalle tecnologie digitali”.
Nel tuo libro ti occupi anche di Social Media. La fase di euforia iniziale verso queste nuove piattaforme di comunicazione sembra essersi spenta. Ci sono addirittura importanti aziende che hanno annunciato la chiusura dei loro canali social. E’ una scelta corretta?
"A mio avviso no. Chiudere canali di comunicazione non può essere una scelta strategica. Può esserlo invece fare una scelta di focalizzazione. Evitare cioè di essere presenti su tutti i social esistenti e puntare solo sulla piattaforma più in linea con le necessità dell’azienda. Potrebbe essere Facebook ma, per esempio, anche Linkedin. La comunicazione moderna non può fare a meno dei social.”